La Storia dei Giants
Da 80 anni, pur tra mille vicissitudini, questa squadra è una parte di storia della NFL: sono i New York Giants.
Per evitare che venisse confusa con l’omonima squadra di baseball, Mara la ribattezzò New York Football Giants (nome della Società che ne è ancor oggi proprietaria, n.d.r.).
A quell’epoca, il pro football era oscurato dal baseball, dalla boxe e dal college football; mentre diverse squadre erano sorte nelle piccole città di Dayton, Rochester e Columbus, i dirigenti della Lega si convinsero che avere una franchigia in una piazza come quella di New York era esattamente quello che ci voleva per mantenere in vita la NFL, fondata solo da pochi anni.
Nonostante le prestazioni di alto livello, nella loro prima stagione, i Giants corsero il serio rischio di finire in bancarotta.
La partita d’esordio vide i Giants, allenati da Bob Folwell, soccombere per mano dei Frankford Yellow Jackets; a quella sconditta ne seguirono altre due, dopodiché i Giganti conquistarono ben 7 successi consecutivi.
Ma ancor più importante delle vittorie e delle sconfitte fu la sistemazione della posizione economica: una data importantissima in tal senso fu l’11 Dicembre, con la sfida che vide i Giants opposti ai Chicago Bears del grande Red Grange.
L’incontro attirò ai Polo Grounds la bellezza di 70.000 tifosi, e consentì non solo ai Giants di risollevarsi finanziariamente, ma anche al football professionistico di rimanere a pieno titolo nella Grande Mela.
I Giants vinsero la partita, e chiusero con un positivo 8-4.
Tim Mara
La seconda stagione, che vide il Dott. Joseph Alexander al posto di Folwell in panchina, ebbe un andamento simile alla prima: dopo una partenza ad handicap, con 3 sconfitte nelle prime 4 gare, i Giants seppero riprendersi alla grande, perdendo uno solo dei restanti incontri e terminando con un ottimo 8-4-1.
Il tratto dominante della stagione 1927 fu la difesa: la franchigia newyorchese, agli ordini del nuovo coach Earl Potteiger, concesse agli avversari la miseria di soli 20 punti in 13 partite, installandosi al primo posto in classifica e conquistando infine il titolo con uno straordinario record di 11-1-1.
In stagione, i Giants lasciarono a secco gli avversari per ben 10 volte, e non consentirono segnature nel primo quarto.
Ben diverso fu l’andamento della stagione successiva: la difesa non seppe ripetere le magnifiche prestazioni sciorinate in precedenza, ed i Giants chiusero con un un deludentissimo 4-7-1, che valse loro il 6° posto in classifica.
Per una sorta di contrappasso dantesco, questa volta furono i Giants a restare a secco di punti per ben 6 volte in stagione, realizzando soli 79 punti in 12 partite.
Potteiger venne silurato, ed insieme a lui 18 giocatori fecero le valige.
Nel 1929, nel tentativo di riportare il titolo a New York, Tim Mara acquistò i Detroit Wolverines, e portò nella Grande Mela il loro QB Benny Friedman ed i giocatori più forti della squadra.
Venne ingaggiato anche un nuovo allenatore capo, LeRoy Andrews.
I Giganti dimostrarono di essere tali, riprendendosi prontamente dalle delusioni della stagione precedente, e realizzando un impressionante 13-1-1.
Tuttavia, i sogni di perfect season si infransero contro i Green Bay Packers, che si imposero per 20-6 il 24 Novembre.
Nel 1930, quasi al termine di un’altra stagione decisamente positiva (13-4), l’allenatore capo LeRoy Andrews venne sostituito da Benny Friedman e Steve Owen.
Nella off-season, Owen assunse il ruolo a tempo pieno, e rimase sulla panchina dei Giants per i successivi 23 anni.
Una piccola nota di colore: durante la stagione, venne giocata una partita di esibizione contro la formazione universitaria di Notre Dame, allenata dal leggendario Knute Rockne.
I Giants vinsero l’incontro, ma ciò che più conta è che il ricavato della vendita dei biglietti (ben 100.000 $) fu devoluto alle vittime della Grande Depressione.
Steve Owen
Il 1931 vide un significativo mutamento nei vertici societari; la Grande Depressione attanagliava la NFL, e Tim Mara, che temeva di perdere sia il suo giro d’affari che la squadra, cedette le redini di quest’ultima ai suoi due figli, Jack, di 22 anni, e Wellington, solo quattordicenne.
Wellington Mara divenne il più giovane proprietario di una squadra di football, e diede inizio ad una lunga ed onorata carriera nell’organizzazione del Giants.
La squadra chiuse con un mediocre 7-6-1.
Per la seconda volta nella loro storia, nel 1932 i Giants terminarono con un record negativo (4-6-2), mentre la NFL si preparava ad entrare nell’era moderna, con la creazione delle Divisions.
L’inizio della nuova era fu decisamente positivo: i newyorchesi dominarono la Eastern Division con un eccellente 11-3, guadagnandosi un posto nella prima finalissima NFL, che ebbe luogo al Wrigley Field di Chicago contro i Bears.
La partita fu combattutissima, ed i Giants passarono in vantaggio 21-16 nell’ultimo quarto.
Con meno di un minuto sul cronometro, la difesa di New York non seppe resistere all’assalto dei Bears, che si portarono avanti grazie ad un passaggio laterale da 19 yards trasformato in meta.
Gli ospiti cercarono di realizzare un identico gioco, ma il grande Red Grange placcò Dale Burnett alla vita, ed il tempo a disposizione finì.
Nonostante la mediocrità della loro Division ed un record di 8-5, nel 1934 i Giants si qualificarono nuovamente per la finale, ancora una volta contro i Bears, reduci da una stagione perfetta.
Questa volta l’incontro si disputò ai Polo Grounds.
Nel primo tempo, i Giants ebbero seri problemi di equilibrio, a causa del fondo ghiacciato.
Il loro coach tentò il tutto per tutto, facendo indossare ai suoi giocatori scarpe da basket nel secondo tempo.
I Giants stavano perdendo 13-3, ma nell’ultima frazione di gioco la mossa di Owen diede i suoi frutti: ora erano i Bears ad avere problemi di aderenza sul campo.
L’ultimo quarto si aprì con il TD pass da 28 yards di Ed Danowski per Ike Franklan.
Ken Strong, poco dopo, corse per ben 42 yards, realizzando la meta del sorpasso (17-13).
Danowski e Strong andarono ancora a segno, portando il risultato finale sul 30-13, nell’incontro che passò alla storia come “The Sneaker Game” (la partita delle scarpette da ginnastica).
Il 1935 vide il terzo successo consecutivo dei newyorchesi nella Eastern Division, e l’accesso alla finale, in trasferta contro i Detroit Lions.
I padroni di casa si portarono velocemente in vantaggio sul 13-0 nel primo quarto, grazie alle segnature di Leroy “Ace” Gutowsky ed Earl “Dutch” Clark.
I Giants accorciarono le distanze nel terzo periodo, grazie ad un TD pass da ben 42 yards di Ed Danowski per Ken Strong.
Tuttavia, la difesa dei Lions andò a segno ancora per due volte nell’ultimo quarto, grazie ad un punt bloccato e ad un intercetto, mettendo la parola fine al sogno del secondo titolo per i Giants.
Anche il dominio nella Estern Division si interruppe bruscamente, allorquando i Giants, nel 1936, chiusero al terzo posto con un deludente 5-6-1.
Nel primo draft NFL della storia, i Giants scelsero Art Lewis, tackle proveniente dall’Università dell’Ohio.
Il 1937 vide un parziale recupero, con il secondo posto nella Division, grazie ad un buon 6-3-2; tuttavia, due sconfitte contro i Washington Redskins (poi Campioni NFL), non consentirono ai Giants di aggiudicarsi il titolo divisionale.
Piccola curiosità: in quell’anno, la dirigenza introdusse le nuove maglie del team, di colore blu.
Dopo una partenza infelice (1-2), nel 1938 i Giants divennero dei veri e propri rulli compressori, e non persero più alcun incontro fino al termine della stagione, chiudendo con un eccellente 8-2-1, che valse loro il titolo divisionale e l’accesso alla finalissima.
Gli sfidanti dei newyorchesi furono i Green Bay Packers; ben 48.120 spettatori si radunarono ai Polo Grounds per assistere all’incontro, un vero record per quell’epoca.
I padroni di casa bloccarono due punts all’inizio dell’incontro, e riuscirono a capitalizzare immediatamente, dapprima con un FG da 13 yds di Ward Cuff e poi con un TD su corsa da 6 yds di Tuffy Leemans.
Arnie Herber imbeccò Carl Mulleneaux con un TD pass da 50 yards, tenendo i Packers in partita, ma Danowski rispose prontamente, pescando libero Hap Barnard con un lancio da 20 yards, che portò il risultato sul 16-7.
I Packers accorciarono le distanze con un TD da 6 yards di Clark Hinkle, portandosi sul 16-14 all’intervallo.
Nel terzo quarto, passarono addirittura in vantaggio per 17-16, grazie ad un FG di Engebretsen. Tuttavia, i Giants si aggiudicarono l’incontro, grazie ad un TD pass da 23 yards di Danowski per Hank Soar.
Con quella vittoria, i Giants divennero la prima squadra a conquistare il titolo per due volte dall’introduzione delle Divisions.
Anche nel 1939 i Giants dominarono incontrastati la Eastern Division, con un ottimo 9-1-1 che li condusse nuovamente alla finale, ancora opposti ai Green Bay Packers.
Questa volta l’incontro si giocò ai Milwaukee Fair Grounds, con un vento polare, che impedì ai Giants di sfruttare al meglio il gioco di passaggio.
I Packers fecero letteralmente a pezzi gli ospiti, piegandoli con un impietoso 27-0, ed aggiudicandosi il titolo.
Battuta d’arresto per i Giganti nella stagione 1940: un mediocre 6-4-1, che valse solo un terzo posto nella Division.
Il Centro Mel Hein fu nominato All-Pro per il decimo anno consecutivo.
Il 07 Dicembre 1941, i Giants affrontarono i Brooklyn Dodgers nel derby di New York.
Pur avendo perso la partita di andata a Brooklyn, i Giants, giunti sul 8-2, avevano già in tasca il titolo divisionale.
Il risultato della gara, persa per 21-7, scomparve presto dalla memoria collettiva.
A rimanervi impresso, invece, fu il comunicato dell’Esercito letto all’altoparlante dei Polo Grounds: Pearl Harbor era stata attaccata, e gli Stati Uniti erano entrati in guerra.
Nella successiva gara, grazie ad un FG e ad una meta negli ultimi 50 secondi dell’incontro, i Giants sconfissero i Redskins, aggiudicandosi così il titolo divisionale.
Con lo spettro incombente del conflitto, girava voce che la finalissima NFL sarebbe stata cancellata. Ciò fortunatamente non avvenne, e l’incontro venne programmato 2 settimane più tardi
I Giants si portarono subito in vantaggio per 6-3 contro i fortissimi padroni di casa, i Chicago Bears. Questi ultimi, tuttavia, passarono a condurre grazie a due FGs, e si aggiudicarono l’incontro con un pesante 37-9, mettendo a segno ben 4 touchdowns nel secondo tempo.
Nel 1942, una striscia perdente di 3 incontri impedì ai Giants di ritornare in finale; i newyorchesi chiusero al terzo posto sul 5-5-1.
Partenza stentata quella della stagione 1943, con un pessimo 2-3-1, che sembrò far scomparire le speranze di conquistare il titolo divisionale.
Ma i Giants vinsero i successivi 2 incontri, portandosi sul 4-3-1, con ancora 2 partite da giocare contro i primi in classifica, i Washington Redskins.
Se avessero battuto i Pellerossa in entrambi gli incontri, avrebbero potuto giocare la “bella” per il titolo divisionale.
I Giants si imposero in casa il 05 Dicembre per 14-10, ed in trasferta una settimana più tardi a Washington, col punteggio di 31-7.
La terza e decisiva sfida, tenutasi ai Polo Grounds, vide però i newyorchesi soccombere in casa per mano dei Redskins, che li piegarono per 28-0 e staccarono il biglietto per la finalissima.
Una piccola curiosità: a causa del conflitto in corso e della scarsità di giocatori, solo 9 squadre parteciparono al campionato.
La difesa fu il tratto dominante nel 1944: il reparto arretrato dei Giants concesse soli 76 punti agli avversari in 10 partite (8-1-1), ed il team della Grande Mela la spuntò contro i Philadelphia Eagles per il titolo della Eastern Division.
I Giants si trovarono di nuovo opposti ai Green Bay Packers nella finale NFL, disputatasi ai Polo Grounds.
I padroni di casa ebbero seri problemi in fase realizzativa, ed i Packers chiusero il primo tempo in vantaggio per 14-0.
I Giants misero punti sul tabellone sul primo gioco dell’ultimo quarto, accorciando le distanze grazie ad un TD.
Quella fu l’ultima segnatura dell’incontro, che vide imporsi i Packers per 14-7 e conquistare il titolo.
La fine del secondo conflitto mondiale, nel 1945, coincise con il ritorno di molte stelle della NFL. Una di esse, Al Blozis, che aveva lasciato i Giants all’inizio del 1944, perse invece la vita in battaglia, e la squadra ritirò il numero 32 per onorarne la memoria.
Quella stagione fu decisamente negativa per la formazione newyorchese, e si chiuse con un deludentissimo 3-6-1.
In cerca di riscatto, i Giants si ripresero prontamente nel 1946, conquistando il titolo divisionale con un ottimo 7-3-1.
Tuttavia, nulla poterono nella finalissima NFL contro i Chicago Bears ed il loro QB Sid Luckman, che trascinò i suoi alla vittoria per 24-7 ai Polo Grounds.
La partita fu preceduta da voci riguardanti il coinvolgimento di due giocatori newyorchesi in un tentativo di condizionare l’esito dell’incontro.
Falsa partenza quella della stagione 1947, con i Giants in evidente difficoltà.
Il digiuno di vittorie si interruppe solamente il 30 Novembre, ed i Giants si trovarono relegati all’ultimo posto in Division con un terrificante 0-7-2.
La stagione si chiuse col record negativo di 2-8-2.
A differenza di quanto successo poche stagioni prima, nel 1948 la difesa dei Giants si dimostrò quantomai porosa, concedendo la bellezza di 388 punti agli avversari, e 35 o più in 7 partite stagionali.
Tra queste, vanno segnalate le figuracce casalinghe rimediate rispettivamente contro i Chicago Cardinals (63-35) ed i Los Angeles Rams (52-37).
Quella stagione si chiuse con un pessimo 4-8, ma merita di essere segnalato l’ingaggio del DB Emlen Tunnell, il primo afro-americano a giocare tra le fila dei Giants.
Emlen Tunnell
Qualche segno di risveglio giunse nel 1949: a 2 sole partite dalla fine, i Giants si trovavano sul 6-4, nonostante le speranze di titolo divisionale fossero ormai svanite. Tuttavia, i Giants avrebbero potuto terminare in modo onorevole la stagione sconfiggendo i Philadelphia Eagles in uno dei restanti 2 incontri.
Ciò non accadde, in quanto gli Eagles si dimostrarono fortissimi, e concessero ai Giants solo un FG a partita.
In quell’anno, i Giants divisero i Polo Grounds con un’altra squadra, i New York Bulldogs.
L’inizio del nuovo decennio vide i Giants installarsi al vertice della ribattezzata American Conference, con un ottimo 10-2, frutto anche della duplice vittoria sui Cleveland Browns.
Anche questi ultimi, tuttavia, chiusero col medesimo record; si rese così necessario uno spareggio per l’accesso alla finalissima.
A rendere ancor più difficile la situazione, i Giants persero il lancio della monetina, e la partita si svolse a Cleveland, dove i padroni di casa si imposero per 8-3, in un incontro dominato dalle difese.
Piccola nota di colore: dopo che la All-American Football Conference ebbe chiuso i battenti, Giants e Bulldogs si spartirono equamente i giocatori dei defunti Yankees; tra questi, giunse tra le fila dei Giants un certo Tom Landry.
Altra stagione positiva per i Giants nel 1951, con un eccellente 9-2-1.
Tuttavia, furono ancora i Browns a conquistare il titolo dell’American Conference.
Una sconfitta di troppo costò ai Giants il primato nel 1952. In quella stagione, chiusa sul 7-5, la formazione newyorchese piegò per due volte i primi in classifica, i fortissimi Browns.
La sconfitta casalinga contro il fanalino di coda, i Washington Redskins, nell’ultima giornata di campionato, si rivelò fatale ai Giants.
Il 1953 vide grandi cambiamenti per i Giants: mentre un’era finiva, ne cominciava un’altra.
Il coach Steve Owen si ritirò al termine di una deludente stagione, chiusa sul 3-9.
La sua carriera di allenatore era iniziata con un interim nel 1930, e abbracciò un lungo arco temporale, dall’era pre-moderna passando attraverso la Grande Depressione, la Seconda Guerra Mondiale fino ai mutamenti degli anni ‘50, quando la Lega si preparava ad esplodere.
Al contempo, come una luce nelle tenebre, ecco comparire sulla scena un runningback tuttofare: Frank Gifford, prodotto di USC e prima scelta del draft 1952, visse un’ottima stagione, mettendo a segno ben 7 TDs.
Frank Gifford in azione
A sedere sulla panchina dei Giants, nel 1954, venne chiamato Jim Lee Howell.
La squadra partì a spron battuto, con un ottimo 6-2, in corsa per il titolo divisionale.
Quest’ultimo, però, divenne una chimera, a causa di 3 sconfitte nelle ultime 4 partite.
I playoffs si rivelarono un miraggio anche nella stagione successiva, nella quale i Giants persero 5 delle prime 7 gare.
Tuttavia, con un buon rush finale, i newyorchesi si risollevarono, e chiusero sul 6-5-1.
Dopo ben 31 stagioni ai Polo Grounds, nel 1956 i Giants si trasferirono allo Yankee Stadium.
La partenza della stagione fu eccezionale, con 6 vittorie nelle prime 7 partite.
I Giants chiusero sul 8-3-1, sufficiente per la conquista del titolo divisionale della Eastern Conference.
A trascinare la squadra fu Frank Gifford, NFL MVP con 9 TDs, e 1.422 yards combinate all’attivo. Nella prima finalissima disputata allo Yankee Stadium, i padroni di casa affrontarono i Chicago Bears.
La partita si chiuse praticamente all’intervallo, con i Giants in vantaggio per 34-7; l’incontro terminò poi sul 47-7 per i newyorchesi.
I migliori tra i Giants furono il QB Charlie Conerly ed il FB Alex Webster, che calpestò i Bears dall’inizio alla fine.
La finalissima giunse al momento giusto, sia per la Lega che per i Giants; la NFL stava per sperimentare una vera e propria esplosione in termini di popolarità, ed i New York Giants stavano diventando familiari.
I Big Blue divennero la squadra più riconoscibile della NFL; stelle del calibro di Frank Gifford e Sam Huff (insignito del titolo di Rookie of The Year, n.d.r.) entrarono nelle case degli americani grazie alla pubblicità.
Una piccola curiosità: nel coaching staff dei Giants vi erano due allenatori che avrebbero fatto la storia della NFL; uno era l’Offensive Coordinator Vince Lombardi, l’altro il Defensive Coordinator Tom Landry.
Sam Huff
Dopo una sconfitta all’esordio della stagione 1957, per mano dei Cleveland Browns, i Giants si ripresero alla grande, con un ottimo 7-2 dopo 9 incontri.
Ma 3 sconfitte furono determinanti, impedendo ai Campioni in carica di difendere nuovamente il titolo.
La stagione si chiuse sul 7-5.
Nel 1958, dopo 11 partite, i Giants si trovavano sul 7-3, ma ancora alle spalle dei Browns, per una sola partita di differenza, nella lotta per il titolo della Eastern Conference.
In questo scenario ebbe luogo la resa dei conti nell’ultima di campionato, con i Browns ospiti allo Yankee Stadium.
I Giants si imposero per 13-10, costringendo gli avversari alla “bella” per il titolo divisionale una settimana dopo.
Ancora una volta tra le mura amiche, la difesa dei Giants, guidata da Sam Huff, ingabbiò Jim Brown, rivelandosi determinante nella vittoria per 10-0, che spalancò ai newyorchesi le porte della finalissima NFL.
L’incontro si svolse nuovamente nella Grande Mela; gli avversari di turno furono i Baltimore Colts, guidati dal giovane QB Johnny Unitas.
Quella gara fu anche uno straordinario evento mediatico, dato che per la prima volta una rete televisiva nazionale seguì una finalissima NFL.
Furono milioni i telespettatori a sintonizzarsi, e la Lega cominciò ad emergere dall’ombra.
Davanti a ben 64.185 spettatori, i Giants si portarono sul 3-0 grazie ad un FG da 36 yards di Pat Summerall.
Tuttavia, i Colts andarono a segno due volte, chiudendo in vantaggio il primo tempo sul 14-3.
I padroni di casa rientrarono in partita grazie ad una corsa da 1 yard di Mel Triplett, che giunse dopo un lancio da ben 86 yard di Charlie Conerly per Kyle Rote, il cui fumble era stato recuperato da Alex Webster.
In seguito, i Giants si portarono in vantaggio per 17-14 grazie ad un TD pass da 15 yards di Conerly per Frank Gifford.
A soli 7 secondi dalla fine, il PK dei Colts, Steve Myrah, mise a segno una FG da 13 yards, che impattò il risultato.
Per la prima volta nella storia della NFL, i supplementari si resero necessari per decidere l’esito di un incontro.
Le regole erano semplici quanto spietate: la prima squadra a segnare avrebbe vinto, di qui l’importanza di avere il primo possesso.
I Colts vinsero il lancio della monetina, ma non andarono a segno nel primo drive offensivo.
I Giants fecero altrettanto, e riconsegnarono palla agli avversari, che si aggiudicarono l’incontro grazie ad una corsa da 1 yard di Alan Ameche.
I Colts vinsero la finale, che diede la stura all’esplosione della NFL, la quale conquistò nuovi appassionati in tutto il Paese.
A detta di molti esperti, quella fu la più grande partita di tutti i tempi.
Alex Webster
Il 1959 vide i Giants conquistare il titolo divisionale, guidati dal QB Charlie Conerly, che venne altresì nominato NFL MVP.
Nella finalissima, i Giants affrontarono nuovamente i Colts, ma questa volta in trasferta.
Gli ospiti iniziarono l’ultima frazione di gioco in vantaggio 9-7, ma i Colts diedero fuoco alle polveri, imponendosi alla fine col punteggio di 31-16.
Il mese di Febbraio di quell’anno vide due importanti avvenimenti; il giorno 04, Vince Lombardi abbandonò il coaching staff dei Giants, divenendo l’allenatore capo dei Green Bay Packers, con i quali sarebbe entrato nella leggenda.
Tredici giorni dopo, il fondatore Tim Mara se ne andò per sempre.
Nel 1960, sul 5-1-1, i Giants avevano il titolo divisionale nel mirino, e si apprestavano alla doppia e decisiva sfida contro i Philadelphia Eagles.
Tuttavia, la stagione degli uomini in blu si interruppe praticamente nel primo dei due incontri; il DB degli Eagles, Chuck Bednarik, livellò senza pietà Frank Gifford, che perse conoscenza per alcuni giorni, e saltò il resto di quel campionato e l’intera stagione del 1961.
I Giants conquistarono un solo successo fino alla fine del campionato, che si concluse sul 6-4-2.
Anche Tom Landry se ne andò da New York, accettando l’incarico di head coach dei neonati Dallas Cowboys.
Il 1961 vide significativi mutamenti non solo nel look della squadra (il cui logo comparve sui caschi), ma anche sulla sideline e nel reparto offensivo.
Allie Sherman rimpiazzò Jim Lee Howell in qualità di allenatore capo, mentre l’ex 49er Y.A. Tittle soffiò il posto di titolare in cabina di regia al non più giovanissimo Charlie Conerly.
Tittle disputò una stagione eccezionale, passando per ben 2.272 yards, prestazioni che si rivelarono di fondamentale importanza, considerando il fatto che Gifford stava ancora recuperando dopo il colpo infertogli da Bednarik.
Il record di 10-3-1 proiettò il team newyorchese alla finalissima.
In quella gara, i Giants vennero letteralmente schiantati dai Green Bay Packers, che si imposero per 37-0 e conquistarono il primo dei loro 5 titoli in 7 anni.
Grande protagonista dell’incontro fu il RB/PK di Green Bay, Paul Hornung.
Il grande QB Y.A. Tittle
Nel 1962, con l’atteso ritorno di Frank Gifford ed uno straordinario Y.A. Tittle (ben 3.224 yards di passaggio, con la bellezza di 33 TD passes), i Giants si aggiudicarono il titolo divisionale, chiudendo sul 12-2.
Nella finalissima, i newyorchesi sfidarono in casa i Packers.
Il freddo polare non impedì a ben 64.892 spettatori di radunarsi allo Yankee Stadium.
In una gara dominata dalle difese, a fare la differenza furono tre FGs calciati dalla guardia dei Packers Jerry Kramer.
L’unica segnatura dei Giants giunse grazie ad un punt di Max McGee bloccato da Erich Barnes, e ricoperto da Jim Collier in end zone.
I Packers si aggiudicarono l’incontro per 16-7.
Il 1963 vide un’altra stagione ad altissimi livelli per Y.A. Tittle, con 3.145 yards e 36 TD passes, che gli valsero il titolo di NFL MVP.
Grazie alle eccellenti prestazioni del loro QB, del WR Del Shoffner e del K Don Chandler (106 punti, frutto di 52 extra points e 18 FGs), i Giants, con un record finale di 11-3, staccarono nuovamente il biglietto per la finalissima.
La gara ebbe luogo a Chicago; dopo l’iniziale vantaggio dei Giants per 10-0, la difesa dei Bears salì in cattedra e rovesciò le sorti dell’incontro.
Gli ospiti subirono ben 5 intercetti, due dei quali trasformati in punti dai padroni di casa.
Tittle, infortunatosi al ginocchio nel primo tempo, strinse i denti e rientrò coraggiosamente in campo, ma sulla potè per evitare la sconfitta dei suoi, piegati per 14-10.
Una piccola curiosità statistica: il record di TD passes di Tittle rimase imbattuto fino al 1984, allorquando a superarlo fu Dan Marino con 48, primato a sua volta infranto da Peyton Manning nella stagione appena trascorsa.
Le primavere di molti giocatori cominciarono a farsi sentire nel 1964: il braccio magico di Y.A. Title realizzò soli 10 TD passes a fronte di ben 22 intercetti.
Ma anche Frank Gifford sembrava aver smarrito tutta la sua magia: soli 4 TDs su corsa.
Entrambi i veterani, oltre ad Alex Webster, si ritirarono al termine di quella stagione, conclusasi con un record negativo di 2-10-2.
Un altro evento luttuoso colpì la franchigia newyorchese: il 15 Giugno del 1965, dopo ben 31 anni di presidenza, Jack Mara scomparve
Al termine di una deludente stagione, conclusasi sul 7-7, i Giants scossero le fondamenta del pro football ingaggiando il PK Pete Gogolak.
Il giocatore, infatti, era già di proprietà dei Buffalo Bills, che militavano nella Lega rivale, la AFL.
Quest’ultima minacciò di adire le vie legali, ed avviò trattative con le stelle della NFL per rilevare i loro contratti.
I proprietari cominciarono a preoccuparsi seriamente di un possibile aumento dei salari, e ciò costrinse entrambe le Leghe ad incontrarsi, per un vicendevole rispetto dei contratti.
Quegli incontri andarono meglio del previsto, e condussero ad una progressiva fusione: in base agli accordi, vi sarebbe stata una finalissima tra le vincitrici delle due Leghe, a partire dall’anno successivo.
L’arrivo di Pete Gogolak non diede alcuna spinta ai Giants, che nel 1966 disputarono la peggior stagione nella loro storia, con un bilancio finale di 1-12-1, concedendo più di 500 punti agli attacchi avversari.
Pete Gogolak
Ben diversa fu la stagione 1967, che vide l’arrivo del giovane QB Fran Tarkenton dai Minnesota Vikings.
Il nuovo regista, un vero maestro dello scrambling, passò per 3.088 yards e mise a segno 29 TD passes, consentendo ai suoi di chiudere sul 7-7 nella Century Division della Eastern Conference.
Il bersaglio preferito di Tarkenton era un giovane WR, Homer Jones, che realizzò 13 TDs, ricevendo per ben 1.209.
L’esultanza di Jones dopo ogni meta, ovvero il lancio della palla a terra in endzone, sarebbe diventata un classico, sino ai giorni nostri.
Ottimo avvio dei Giants nel 1968, con 4 vittorie in altrettante gare.
Le speranze dei tifosi, tuttavia, svanirono presto, a causa di 6 sconfitte consecutive: presero a circolare voci sul possibile siluramento del coach Allie Sherman.
Le voci divennero ancor più insistenti dopo che i Giants persero le ultime 4 partite di campionato, chiudendo con un deludente 7-7, parzialmente mitigato dalle prestazioni di Homer Jones, che ricevette per più di 1.000 yards per la terza stagione consecutiva.
Nell’ultima gara di campionato allo Yankee Stadium, i frustrati tifosi dei Big Blue salutarono il loro coach, ormai con le valige in mano, cantando una strofa di “Goodbye Allie“.
A guidare la squadra, nel 1969 venne chiamata una vecchia conoscenza: Alex Webster.
In occasione della prima partita di pre-season, i Giants affrontarono i Jets nel derby della Grande Mela.
L’avvio della stagione agli ordini del nuovo coach fu positivo, con 3 successi nei primi 4 incontri.
I Giants precipitarono, però, in una spirale negativa, subendo 7 sconfitte consecutive, che infransero i sogni di playoff.
I newyorchesi vinsero le ultime 3 partite stagionali, chiudendo con un deludente 6-8 ed il secondo posto nella Century Division.
Nonostante il record negativo, Fran Tarkenton disputò comunque una buona stagione, con 23 Touchdowns e soli 8 intercetti.
Fran Tarkenton in maglia Giants
Pessimo esordio nel 1970, con 3 sconfitte, cui però fecero seguito ben 9 vittorie in 10 incontri.
I Giants potevano ancora agganciare la post-season vincendo nell’ultima di campionato.
Tuttavia, i newyorchesi vennero bastonati dai Los Angeles Rams per 31-3, e chiusero sul 9-5-1, non sufficiente per conquistare il titolo della NFC East.
Unico motivo di soddisfazione furono le prestazioni di Ron Johnson, primo RB dei Giants a superare la soglia delle 1.000 yards.
La stagione 1971 fu tra le peggiori per Fran Tarkenton, ed i Giants chiusero all’ultimo posto della NFC East, con un terrificante 4-10.
Nella off-season, Tarkenton venne rispedito ai Vikings, con i quali avrebbe poi disputato 3 Super Bowls in 4 anni.
Grazie a quella trade, giunse a New York il QB Norm Snead.
Norm Snead
Nel 1972, dopo 2 sconfitte, i Giants, trascinati da Norm Snead (miglior passatore della Lega in quell’anno) conquistarono 4 vittorie consecutive, ridando speranze ai propri tifosi..
Ma, come al solito, i Big Blue si sciolsero come neve al sole, e chiusero al terzo posto con un record negativo di 8-6.
Una di quelle 8 vittorie entrò nella storia della franchigia: mettendo a segno 8 TDs e 2 FGs contro i Philadelhpia Eagles, i Giants stabilirono il loro record assoluto di punti in una sola partita, imponendosi per 62-10.
Il 1973 vide la ristrutturazione dello Yankee Stadium, che però divenne un impianto destinato unicamente al baseball.
Ciò costrinse i Giants a cercarsi una nuova casa.
Quest’ultima venne trovata grazie ad un accordo tra la franchigia e la cittadina di East Rutherford, New Jersey, che prevedeva la costruzione di un impianto di alto livello.
Lo stadio, tuttavia, venne completato solo nel 1976, ed i Giants dovettero trovare una sistemazione temporanea.
I Giants volevano giocare presso la Yale University di New Haven, Connecticut.
Tuttavia, la dirigenza del college mostrò una certa riluttanza, a causa della c.d. “blackout rule” della Lega.
Questa norma impediva ad un network televisivo di trasmettere la partita nel caso in cui fossero stati venduti meno di 80.000 biglietti entro le 72 precedenti al kickoff.
L’allora Commissioner Pete Rozelle, con l’aiuto dei politici nazionali, riuscì a far modificare la norma, cosicchè la stessa avrebbe trovato applicazione (come ancor oggi) solo nel caso in cui l’incontro non avesse registrato il “tutto esaurito”.
Ciò significò luce verde per i Giants a New Haven, dopo aver giocato le prime due gare allo Yankee Stadium.
Tuttavia, il cambio di indirizzo non ebbe effetti positivi sui Giants, che chiusero con un terribile 2-11-1.
Il trend negativo proseguì nel 1974, specie nelle gare interne, tutte quante perse dai Giants allo Yale Bowl, tra le quali una all’overtime contro i Jets, nel primo scontro tra le due formazioni della Grande Mela in regular season.
I Giants, che avevano ceduto Norm Snead ai 49ers, chiusero con un pessimo 2-12, desolatamente ultimi in classifica.
Nel 1975, dopo due brutte stagioni a New Haven, i Giganti fecero ritorno a New York, ove divisero lo Shea Stadium con i Jets.
L’impianto venne utilizzato, in quella stagione, anche dai Mets e dagli Yankees, divenendo così lo stadio più inflazionato degli sport professionistici americani.
Il ritorno a casa non giovò comunque ai Giants, che vinsero sole 2 volte e persero 5 incontri interni, chiudendo un’altra stagione negativa, con un record di 5-9.
Dopo quattro gare esterne, nel 1976 i Giants poterono finalmente giocare nel loro nuovo stadio nelle Meadowlands, ad East Rutherford, NJ.
Situato a poca distanza dal Lincoln Tunnel, il nuovo ed eccellente Giants Stadium era diventato la casa dei Big Blue.
Le prestazioni di questi ultimi, che avevano ripreso Norm Snead ed acquisito il FB Larry Czonka dai Dolphins, non migliorarono, con 9 scontitte in altrettante partite: il bilancio finale di 3-11, e la conseguente ultima posizione in classifica, costarono il posto all’allenatore Bill Arnsparger, poi rimpiazzato da John McVay.
Una piccola nota di colore: per aver abbandonato la Grande Mela e per le loro pessime prestazioni, la stampa newyorchese aveva ribattezzato la squadra “New Jersey Dwarfs” (i nani del New Jersey, n.d.r.).
Quella del 1977 fu la quinta stagione consecutiva perdente per i Giants, e si concluse di nuovo con l’ultimo posto, frutto di un pessimo 5-9.
Si dice che una squadra, per tornare al successo, debba prima toccare il fondo.
Per i Giants, ciò avvenne nel Novembre 1978, in una sfida casalinga contro i Philadelphia Eagles. In vantaggio per 17-13 verso la fine della partita, ai Giants sarebbe bastato inginocchiarsi e far scorrere il tempo residuo.
Tuttavia, per motivi mai accertati, il QB Joe Pisarcik cercò di dare palla al FB Larry Csonka.
Il pallone colpì Csonka (che ovviamente non se l’aspettava) al petto, e cadde a terra, venendo raccolto dal DB degli Eagles Herman Edwards (attuale coach dei N.Y. Jets, n.d.r.) il quale lo riportò in meta per il TD che chiuse l’incontro.
Quella rocambolesca azione passò alla storia come “The Miracle in the Meadowlands.”
Se i Giants avessero vinto, avrebbero ancora potuto puntare ad una Wild Card, essendo fermi sul parziale di 6-6; invece, i newyorchesi si aggiudicarono solo una delle restanti partite, chiudendo con un pessimo 6-10.
“The Miracle in the Meadowlands”
Dopo 15 anni senza alcuna apparizione ai playoffs, e l’imbarazzante esito dell’incontro con gli Eagles, nel 1979 il proprietario dei Giants, Wellington Mara, non sapeva più a che santo votarsi.
Chiese allora consiglio al Commissioner Pete Rozelle, che gli segnalò il nome di George Young per occuparsi del team.
Young, che aveva lavorato con grande successo con i Baltimore Colts anni prima, ed era in quel momento nel front office dei Miami Dolphins, divenne il primo vero GM nella storia della franchigia newyorchese.
La sua prima mossa fu quella di rimpiazzare l’allenatore capo John McVay con Ray Perkins, proveniente dai San Diego Chargers.
Venne poi il momento di scegliere un giovane QB, intorno al quale costruire la squadra.
Il regista da lui indicato, tuttavia, fu un perfetto sconosciuto: Young utilizzò infatti la prima scelta nel draft per selezionare Phil Simms, prodotto del piccolo college di Morehead State.
I tifosi presenti al draft non apprezzarono per nulla la scelta, ed i quotidiani della Grande Mela titolarono “Phil Who???” (“Phil chi???”).
Simms ebbe invece una discreta prima stagione tra i pro, ed i Giants recuperarono da un avvio con 4 sconfitte consecutive, portandosi sul 4-4 al giro di boa.
Tuttavia, i Big Blue chiusero ancora con un record negativo, terminando la stagione sul 6-10.
A rendere ancora peggiore quell’annata, vi fu anche la tragica morte del defensive tackle Troy Archer, rimasto ucciso in un incidente stradale.
Phil Simms in azione
Nella sua seconda stagione, contrassegnata dai troppi intercetti, Simms giocò davvero male, venendo soprannominato “Phil Boo” dalla stampa e dai tifosi.
I Giants chiusero con un disastroso 4-12.
L’unico momento da ricordare fu la vittoria nella Week 10 contro i Dallas Cowboys, che probabilmente costò a questi ultimi l’accesso al Super Bowl.
Nel 1981, all’indomani di una stagione in cui i Giants avevano concesso 425 punti agli avversari, il GM George Young decise di rinforzare il reparto arretrato.
Con la seconda scelta assoluta al draft, Young puntò sul LB Lawrence “LT” Taylor, prodotto dell’Università di North Carolina.
Il suo impatto sulla squadra fu immediato: la difesa di New York giocò su livelli stratosferici, concedendo 200 punti in meno agli avversari, e Taylor si guadagnò i titoli di Defensive Rookie e Player of the Year.
I Giants giocarono alla grande, e giunsero sul 8-7 all’ultima giornata, con la possibilità di agganciare i playoffs in caso di vittoria.
I Giants ed i Cowboys lottarono strenuamente, in una partita prevalentemente difensiva che giunse ai supplementari.
Grazie al FG messo a segno dal PK Joe Danelo, i Giants tornarono ai playoffs per la prima volta in 18 anni.
Nell’incontro di Wild Card contro gli Eagles, i Giants vennero guidati dal backup di Simms, Scott Brunner.
I giovani Giganti sconfissero i padroni di casa, campioni NFC uscenti, per 27-21.
Al secondo turno, vennero però piegati in trasferta dai San Francisco 49ers (poi Campioni del Mondo) per 38-24, pur lottando strenuamente fino alla fine.
Il grande Lawrence Taylor
I Giants volevano tornare ai playoffs: per farlo, avrebbero dovuto, però, affidarsi a Scott Brunner.
Phil Simms, infatti, saltò l’intera stagione 1982 a causa di un serio infortunio, per il quale si guadagnò un nuovo soprannome, “Phil Ouch”.
La formazione newyorchese partì con 2 sconfitte consecutive, prima che uno sciopero dei giocatori interrompesse la stagione per ben 2 mesi.
Quando il campionato ricominciò, i Giants persero ancora, e si apprestavano a giocare contro i Detroit Lions nel giorno del Ringraziamento.
Con la partita bloccata in parità, Lawrence Taylor riportò in meta un intercetto per la bellezza di 97 yards.
La vittoria gli consegnò il secondo titolo consecutivo di Defensive Player of the Year, ma non solo. Essa diede il via ad una striscia vincente di 3 incontri di fila per i Giants.
Tuttavia, la squadra perse 2 delle ultime 3 partite, chiudendo sul 4-5, che impedì loro di accedere alla post-season.
Nonostante ciò, ben 4 giocatori dei Giants furono convocati al Pro Bowl: Harry Carson, Lawrence Taylor, Mark Haynes e Dave Jennings.
Poco dopo il termine del campionato, Ray Perkins diede le dimissioni, accettando l’incarico di allenatore capo all’Università dell’Alabama.
Nel 1983, Bill Parcells, in precedenza Defensive Coordinator dei Giants, fu promosso al ruolo di head coach.
Tuttavia, la sua prima stagione nella nuova veste fu davvero negativa, e si concluse con un terrificante 3-12-1.
Anche in quell’anno (putroppo nuovamente luttuoso, con la scomparsa dell’assistant coach Bob Ledbetter e del RB Doug Kotar), 4 giocatori newyorchesi volarono ad Honolulu: Taylor, Carson, Haynes ed il kicker Ali Haji-Sheik.
George Young prese in considerazione l’idea di silurare il Grande Tonno, ma dopo lunghe riflessioni decise di concedergli una seconda chance.
Bill Parcells, “The Big Tuna”
Il 1984 vide il ritorno di Phil Simms, che si riprese i galloni da titolare e passò per ben 4.044 yards; i Giants mostrarono sensibili miglioramenti, chiudendo sul 9-7 e guadagnandosi l’accesso ai playoffs.
Nell’incontro di Wild Card contro i Los Angeles Rams, i newyorchesi contennero alla grande il RB Eric Dickerson (che realizzò il record assoluto di yards su corsa in una singola stagione), e limitarono i californiani a soli 10 punti.
I Giants si imposero per 16-10 a Los Angeles, in parte grazie a ben 3 FGs calciati da Ali Haji-Skeeikh, che aveva invece faticato per tutta la stagione.
Al secondo turno, i Giants trovarono nuovamente sulla propria strada i 49ers, che li sconfissero per 21-10 a San Francisco.
Quella stagione fu comunque ricca di soddisfazioni: Taylor, Haynes e Carson si guadagnarono la terza convocazione al Pro Bowl; Bill Parcells venne eletto NFC East Coach of The Year; 5 rookies, Karl Nelson, Gary Reasons, Carl Banks, Byron Williams e Bobby Johnson vennero nominati per l’All-NFL Rookie Team.
Nel 1985, i Giants continuarono a migliorare, e trovarono una nuova stella: il RB Joe Morris, che realizzò ben 21 Touchdowns.
Lawrence Taylor si segnalò ancora come uno dei più feroci colpitori della Lega, come dimostrò il terrificante infortunio subito dal QB dei Washington Redskins, Joe Theisman.
I Giants si qualificarono nuovamente per i playoffs grazie ad un positivo 10-6, ospitando una partita di post-season per la prima volta in 23 anni.
Nella sfida di Wild Card, i Giants si vendicarono delle precedenti sconfitte rimediate contro i 49ers, imponendosi per 17-3.
Il cammino dei Giganti si interruppe bruscamente al turno successivo, con la sconfitta esterna rimediata per mano dei Chicago Bears, che staccarono così il biglietto per il Super Bowl.
Nonostante la sconfitta, Simms, Taylor, Leonard Marshall, Carson e Morris si meritarono la convocazione al Pro Bowl.
Joe Morris
Nel 1986, i Giants erano decisi a riscattarsi dopo l’inaspettata conclusione della stagione precedente.
Il campionato, tuttavia, non si aprì nel migliore dei modi, con una sconfitta per 31-28 nel Monday Night a Dallas. Il RB Hershel Walker fece un eccellente debutto nella NFL tra le fila dei Cowboys. Seguirono 5 vittorie consecutive, prima di una sconfitta esterna a Seattle contro i Seahawks.
Sul 5-2, i Giants si apprestavano ad affrontare un decisivo Monday Night contro i Washington Redskins in casa, di fronte ad un pubblico distratto dai New York Mets, che stavano giocando la gara 7 delle World Series.
I Giants superarono i Pellerossa per 27-20, mentre la folla cantava “Let’s Go Mets“.
La settimana successiva, i Giants piegarono i Cowboys per 17-14, ed i texani precipitarono in una spirale negativa.
Nonostante un football solido, i Giants si trovavano in svantaggio contro i Minnesota Vikings a Minneapolis.
Tuttavia, Phil Simms, che aveva faticato per la maggior parte della stagione, giocò benissimo, e consentì a Raul Allegre di calciare il FG che diede ai Giants la vittoria.
I Giants dovettero affrontare un altro incontro delicatissimo, un Monday Night a San Francisco contro i 49ers.
I padroni di casa si portarono sul 17-0, ma i Giants restarono in partita, grazie ad una superlativa prestazione del TE Mark Bavaro, che si trascinò dietro diversi difensori californiani in occasione di un decisivo primo down: i Giants si imposero per 21-17.
I newyorchesi conclusero sul 14-2, e le vittorie in trasferta si rivelarono decisive, consentendo ai Giants di ottenere il vantaggio campo nei playoffs.
Lawrence Taylor entrò nella storia, vincendo il titolo di Defensive Player of the Year per la terza volta, e divenendo il primo difensore in 15 anni a venire nominato NFL MVP.
Nel Divisional Playoffs, i Giants si trovarono nuovamente di fronte i 49ers.
La partita fu una vera disfatta per i californiani, piegati con un impietoso 49-3.
Joe Montana rimase privo di sensi a causa di un violento colpo di Jim Burt su un passaggio, poi intercettato e riportato in meta da Lawrence Taylor.
Nel Championship NFC, i Giants affrontarono i Redskins, in una giornata gelida.
La folla infreddolita assistette alla vittoria dei Big Blue per 17-0, e la difesa newyorchese colpì duramente il QB avversario Jay Schroeder, che riportò un trauma cranico.
Con quel successo, i Giganti staccarono il biglietto per il Grande Ballo, edizione n. XXI.
Il Rose Bowl di Pasadena sembrava il Giants Stadium, tanti erano i tifosi della formazione newyorchese.
I Giants erano favoriti contro i Denver Broncos, ma chiusero il primo tempo sotto per 10-9. Tuttavia, nel secondo tempo, i Giganti si scossero e misero a segno ben 24 punti.
Phil Simms, stavolta, si guadagnò il soprannome di “Phil Hero” ed il titolo di MVP dell’incontro, mettendo a segno l’88% dei passaggi, un vero record.
L’unico mistero, con la partita ormai sul 39-20, riguardava il momento in cui Bill Parcells (poi NFL Coach of The Year) si sarebbe guadagnato il suo bagno di Gatorade.
In stagione, il DE Harry Carson aveva annaffiato il coach ogniqualvolta il risultato era in cassaforte; sulle prime Parcells non aveva gradito, ma con l’arrivo dei successi, il tutto era diventato un rituale. Mentre il tempo stava scadendo, Carson, che aveva vissuto gli anni più bui della formazione newyorchese, si camuffò da uomo della security, sbucò alle spalle del Grande Tonno e lo inondò dalla testa ai piedi, sigillando così la vittoria.
Ben otto giocatori volarono alle Hawaii: Morris (con il record di yards su corsa, ben 1.516), Simms, Marshall, Taylor, Bavaro, Sean Landeta, Carson e Burt.
Mark Bavaro
Brutta partenza dei Campioni in carica nel 1987, con una sconfitta nell’atteso primo Monday Night della stagione, disputatosi a Chicago contro i Bears.
Una settimana più tardi i Giants vennero sconfitti in casa dai Cowboys e, sullo 0-2, i giocatori NFL scesero nuovamente in sciopero.
Dopo una settimana di pausa, le franchigie mandarono in campo delle riserve.
Quelle dei Giants furono tra le peggiori in assoluto, perdendo 3 incontri, e misero fine ai sogni di post-season.
Sullo 0-5, al loro rientro i titolari conquistarono 6 successi in 10 partite, ma con un deludente 6-9 fallirono l’appuntamento con i playoffs.
I Giants passarono così dal Super Bowl all’ultimo posto in classifica, potendo comunque vantare 4 convocazioni al Pro Bowl: quelle di Taylor, Banks, Carson e Bavaro.
Pessimo inizio quello della stagione 1988, con un bilancio di 2-2, aggravato dalla sospensione di Lawrence Taylor per i primi 4 incontri a causa dell’assunzione di stupefacenti.
Al ritorno di LT in squadra, i Giants esplosero, e giunsero all’ultima giornata sul 10-5, pronti ad affrontare i concittadini Jets.
I Giganti avevano bisogno di una vittoria per conquistare il titolo della NFC East; ma i Jets, imponendosi per 27-21, non solo impedirono loro di giungere al primo posto, ma anche di partecipare ai playoffs.
Solo due Giants se ne andarono alle Hawaii: Terry Kinard per la prima volta, Lawrence Taylor per l’ottava consecutiva.
Grazie ad un eccellente 12-4, i Giants tornarono a vincere il titolo divisionale nel 1989.
Ma il cammino dei newyorchesi si interruppe in occasione del Divisional Playoffs contro i Los Angeles Rams, che vinsero ad East Rutherford grazie ad una bomba di Jim Everett per Flipper Anderson in overtime, lasciando ammutolito l’intero Giants Stadium.
LT fu convocato per il suo nono Pro Bowl, insieme al rookie Dave Megget.
La stagione 1990 fu davvero eccezionale, con 11 successi consecutivi ed il primato nella NFC East.
La striscia vincente si concluse a Philadelphia, e sia i Giants che i 49ers subirono la prima sconfitta stagionale, una settimana prima di quello che sarebbe stato un duello all’ultimo sangue nel Monday Night a San Francisco.
I Giants, tuttavia, persero anche quella partita.
Dopo una vittoria casalinga contro i Vikings, i Giants si trovarono nuovamente ad affrontare un altro big match, contro i Buffalo Bills.
Sotto una pioggia fredda e battente, al Giants Stadium i padroni di casa vennero piegati per 17-32, e ad aggravare la situazione giunse anche l’infortunio al piede rimediato da Phil Simms, che mise la parola fine alla sua stagione
La squadra vinse gli ultimi 2 incontri, guidata dal backup Jeff Hostetler, che giocò un buon football.
Ma molti erano i dubbi sulle reali possibilità dei Giants di agganciare la post-season senza Simms.
Nel Divisional Playoffs, la difesa concesse ai Chicago Bears la miseria di 3 punti, ed i Giants avanzarono al Championship NFL con una squillante vittoria per 31-3.
I Giants affrontarono nuovamente i 49ers in trasferta; i californiani, in caso di vittoria, avrebbero partecipato per la terza volta consecutiva al Super Bowl.
I padroni di casa non permisero ai Giants di giungere in endzone, ma fu il PK Matt Bahr a tenere in partita i suoi, mentre la difesa concesse ai 49ers soli 13 punti, e colpì duramente Joe Montana, che dovette lasciare il campo.
I Giants si portarono a –1 grazie ad una finta di punt trasformata in meta dal LB Gary Reasons.
Il tempo correva inesorabile, e la difesa newyorchese salì in cattedra, strippando il pallone al RB Roger Craig, riconquistandone il possesso.
A 3 secondi dal termine, i Giants andarono ancora a segno con Matt Bahr, il cui FG diede ai suoi la vittoria e spalancò ai Big Blue le porte del Super Bowl XXV.
Il Grande Ballo, disputatosi a Tampa, Florida, vide i Giants opposti ai Buffalo Bills.
Senza Phil Simms, i Giants erano decisamente sfavoriti, in un Super Bowl all’insegna del patriottismo, a causa dell’Operazione Desert Storm, allora in corso nel Golfo Persico.
La manifestazione si aprì con l’inno nazionale cantato dalla splendida e bravissima Whitney Houston.
Buffalo si portò rapidamente sul 12-3, con i Giants in chiara difficoltà.
Bill Parcells sapeva che sarebbe stato difficile contenere l’attacco di Buffalo: pertanto, optò per un controllo di palla metodico da parte dei Giants, e ridusse le distanze sul 12-10 grazie ad un lungo drive, che si concluse con un TD allo scadere del primo tempo.
Con un altro lungo drive, durato più di 10 minuti, i newyorchesi passarono in vantaggio 17-12.
I Bills tornarono avanti grazie ad un TD su corsa di Thurman Thomas sul primo gioco dell’ultimo quarto, ma i Giants continuarono nella loro strategia, costringendo così l’attacco avversario a rimanere sulla sideline; così facendo, si riportarono in vantaggio per 20-19.
I Big Blue realizzarono un vero e proprio record, con ben 40’33” di possesso palla, ma i Bills avevano ancora la possibilità di vincere.
Il QB di Buffalo, Jim Kelly, portò i suoi in raggio da FG, con 10 secondi sul cronometro.
Il kicker Scott Norwood calciò un FG da 47 yards, che però finì largo, consegnando il secondo titolo di Campioni del Mondo ai Giants.
Lawrence Taylor si meritò la decima convocazione consecutiva al Pro Bowl.
In quell’anno, Wellington Mara cedette il 50% della franchigia a Preston Robert Tisch, che divenne il Chief Executive Officer dei New York Giants.
Il decisivo errore di Scott Norwood nel Super Bowl XXV
Colpo di scena nel 1991: a soli 5 mesi di distanza dalla vittoria nel Super Bowl, Bill Parcells si dimise dopo 7 stagioni alla guida della squadra.
Con l’annuncio dato così tardi dopo la fine della stagione, ed i 2 principali assistant coaches ormai migrati altrove, la franchigia fu costretta a puntare sull’allenatore dei runningbacks, Ray Handley.
Quest’ultimo, gettato nel fuoco della preseason, si trovò da subito con una brutta gatta da pelare: chi far giocare in posizione di QB? Phil Simms doveva tornare titolare? Doveva esserlo Jeff Hostetler, grazie alle sue performances in occasione dei playoffs?
Alla fine, fu “Hoss” a prevalere.
I Giants vinsero all’esordio, ma faticarono decisamente nelle settimane successive, e giunti sul 6-6 si trovarono di nuovo alle prese con la disputa tra i due QB.
Nel corso di una vittoriosa partita esterna contro i Buccaneers, Hostetler si infortunò, il che portò nuovamente Simms in cabina di regia, ma in una successiva conferenza stampa Ray Handley dimostrò la propria inadeguatezza per il proprio compito, sbottando per una domanda di un giornalista a proposito della situazione dei QBs.
I Giants persero 3 incontri consecutivi e chiusero sul 8-8, mancando l’appuntamento con i playoffs.
Il Centro Bart Oates volò a Honolulu per disputare il Pro Bowl.
Jeff Hostetler
I problemi nel ruolo di allenatore capo continuarono anche nel 1992, tanto quanto le pessime prestazioni sul campo del team newyorchese.
Man mano che la stagione si avvicinava alla fine, divenne sempre più chiaro che Handley aveva i giorni contati, ed i Giants terminarono con un terrificante 6-10.
Il 1993 vide l’arrivo, sulla panchina dei Big Blue, di Dan Reeves, che aveva in precedenza guidato i Denver Broncos a 3 Super Bowls.
Con Jeff Hosteler ormai migrato ai Raiders, il ruolo di titolare tornò nelle mani di Phil Simms, mettendo così fine ad una delle peggiori dispute tra QB nella storia recente della NFL.
I Giants ritornarono agli antichi splendori, e si piazzarono al primo posto sul 11-3, con ancora 2 partite da giocare in regular season.
Tuttavia, una brutta sconfitta per mano dei Cardinals ed un’altra in overtime contro i Dallas Cowboys in casa, costò ai newyorchesi il titolo divisionale.
I Giants disputarono la sfida di Wild Card ad East Rutherford, piegando i Minnesota Vikings per 17-10.
Tuttavia, furono ancora una volta i San Francisco 49ers a mettere loro i bastoni tra le ruote, facendoli letteralmente a pezzi per 44-3 al Candlestick Park una settimana più tardi.
Rodney Hampton fu convocato per il Pro Bowl.
I playoffs 1993 segnarono la fine di un’era: dopo 13 stagioni, Lawrence Taylor, uno dei più grandi difensori nella storia del football, si ritirò dall’attività.
I Giants diedero inoltre un’altra grossa delusione ai propri tifosi, rilasciando, con ben poca eleganza, il QB Phil Simms dopo 15 anni.
Il posto di regista venne preso da Dave Brown, al suo terzo anno tra i pro.
Il suo esordio con la nuova maglia fu positivo, con 3 vittorie in altrettante gare, ma giunsero poi ben 7 sconfitte consecutive.
Brown ed i Giants, tuttavia, rimontarono alla grande, vincendo le restanti 6 partite, ma il record di 9-7 non fu sufficiente per disputare i playoffs.
Rodney Hampton realizzò un nuovo primato, correndo per più di 1.000 yards per la quarta stagione consecutiva.
Piccola curiosità: la maglia n. 56, quella di Lawrence Taylor, venne ritirata nel corso di un Monday Night, il 10 Ottobre 1994.
Rodney Hampton
Pessima partenza quella della stagione 1995, con una sconfitta casalinga per 35-0 rimediata dai Dallas Cowboys nel Monday Night, che certamente rovinò la cerimonia del ritiro della maglia n. 11, quella di Phil Simms.
I Giants chiusero con un terribile 5-11, ed il corollario di quella brutta stagione furono le palle di neve tirate dai tifosi all’indirizzo della squadra ospite dei San Diego Chargers, che provocarono lesioni ad un assistant coach dei californiani.
Nel suo terzo anno da titolare, Dave Brown continuò a faticare, come tutta la squadra, che chiuse il campionato 1996 con un pessimo 6-10; un simile risultato portò all’abbandono di Dan Reeves.
Guidati dal nuovo allenatore capo, Jim Fassel, nel 1997 i Giants partirono ancora col piede sbagliato, perdendo 3 dei primi 4 incontri.
Nel tentativo di dare una svolta alle sorti della squadra, Dave Brown venne messo in panchina e sostituito da Danny Kannell, QB al secondo anno di NFL.
Anche se le sue prestazioni non furono molto migliori, i Giants diedero segni di progresso, grazie al DE Michael Strahan (poi convocato al Pro Bowl con il compagno Jessie Armstead, n.d.r.), che divenne il vero e proprio leader della difesa.
La formazione della Grande Mela chiuse sul 10-5-1, che valse loro il titolo della NFC East.
I Giants affrontarono i Minnesota Vikings nella sfida di Wild Card, che si svolse in un Giants Stadium innevato.
I padroni di casa si trovavano in vantaggio per 22-13 con 4 minuti ancora da giocare.
Ma i Vikings misero a segno un TD, ed i Giants non riuscirono a ricoprire il successivo onside kick; furono così gli ospiti ad aggiudicarsi l’incontro, grazie ad un FG che portò il punteggio sul definitivo 23-22 in loro favore.
Al termine della stagione, il GM George Young annunciò di voler abbandonare il suo ruolo per accettare un’offerta di lavoro della NFL, ed Ernie Accorsi prese il suo posto.
Wellington Mara venne invece eletto nella Hall Of Fame.
Wellington Mara
Nel 1998, alla sua prima stagione da titolare stabile, Danny Kannell giocò davvero malisismo.
Venne infine rimpiazzato da Kent Graham: con lui in cabina di regia, i Giants realizzarono una striscia di 4 successi consecutivi, chiudendo con un deludente 8-8.
In quell’annata, i Giants giocarono la 1000ma partita della loro storia.
L’incertezza in cabina di regia proseguì anche nel 1999, con Kerry Collins che tolse a Graham il posto da titolare.
Le prestazioni dei Giants furono realmente inconsistenti, e la stagione terminò col record negativo di 7-9.
Alla vigilia della stagione 2000, la quasi totalità degli esperti pronosticava i Giants all’ultimo posto in Division.
I Big Blue si presentarono con una divisa ispirata al passato, e con Kerry Collins stabilmente in posizione di QB.
I newyorchesi sorpresero un pò tutti, vincendo 7 partite su 9 ed installandosi al vertice della classifica.
Tuttavia, 2 sconfitte casalinghe consecutive fecero sorgere nuovi dubbi sulla reale consistenza della squadra.
Un Jim Fassel decisamente alterato dichiarò testualmente: “I Giants andranno ai playoffs“.
Le parole del coach sembrarono realmente ispirare i Giants, che vinsero tutte e 5 le restanti gare, il che diede loro non solo il lasciapassare per la postseason, ma altresì il vantaggio campo, dopo aver chiuso con un eccellente 12-4.
Il pubblico continuò a dubitare di loro, definendoli “I peggiori primi in classifica di sempre“.
Nel Divisional Playoff, i Giganti affrontarono i Philadelphia Eagles, e misero fine all’incontro nel terzo quarto, grazie ad uno straordinario gesto tecnico del CB Jason Sehorn, che intercettò un lancio sul profondo e lo riportò in meta.
Dopo essersi sbarazzati delle Aquile, i Giants si trovarono di fronte i Minnesota Vikings nel Championship NFC.
Ancora una volta, i Big Blue vennero quasi ignorati, dato che i Vikings erano i grandi favoriti.
Ma i Giants si portarono rapidamente sul a 14-0 dopo meno di 5 minuti dall’inizio dell’incontro, che si chiuse con una schiacciante vittoria per 41-0 e li proiettò al Super Bowl XXXV.
Al termine della gara, un ironico Wellington Mara ebbe modo di dire: “Siamo stati i peggiori primi in classifica di sempre a vincere un Championship. Vediamo se sapremo essere i peggiori primi in classifica di sempre a conquistare un Super Bowl”.
Tornati a Tampa 10 anni dopo, i Giants dovettero affrontare la fortissima difesa dei Baltimore Ravens.
Questi ultimi chiusero il primo tempo in vantaggio per 10-0, con i Giants assolutamente asfittici in attacco.
I Ravens sembravano pronti a prendere il largo dopo un TD pass da 49 yards che portò il risultato sul 17-0; ma a tenere i Giants in partita pensò Ron Dixon, grazie ad un ritorno di kickoff in meta da ben 97 yards.
I Ravens fecero altrettanto, portandosi sul 24-7, e chiudendo infine con il punteggio di 34-7.
Nel 2001, i Giants partirono col piede giusto, vincendo 3 delle prime 4 partite stagionali.
Michael Strahan sembrava sulla buona strada per battere il record stagionale di 22 sacks.
Tuttavia, 2 sconfitte consecutive per un solo punto di scarto, rispettivamente contro i St. Louis Rams ed i Philadelphia Eagles, fecero precipitare la squadra in classifica.
Jim Fassel cercò di ripetere la dichiarazione incoraggiante dell’anno precedente, ma numerose penalità e pessimi special teams portarono i Giants sul 5-7.
I Giants vinsero i 2 successivi incontri, pronti ad affrontare gli Eagles a Philadelphia, con ancora una chance di conquistare il titolo divisionale.
Gli ospiti si trovavano in vantaggio 21-14 verso la fine della gara, ma 10 punti negli ultimi 2 minuti portarono il risultato sul 24-21 per i padroni di casa, con soli 3 secondi da giocare.
Ai Giants serviva un vero miracolo, e quasi ci riuscirono, ma Ron Dixon venne placcato a sole 3 yards dalla linea di meta.
I newyorchesi chiusero con un deludente 7-9, ma Strahan conquistò il suo record, grazie ad un sack ai danni del QB dei Packers, Brett Favre, nell’ultima di campionato.
Lo stesso Strahan, con il LB Jessie Armstead e l’OG Ron Stone, vennero convocati al Pro Bowl.
Michael Strahan
La mediocrità fu il tratto dominante della stagione 2002: di ciò furono prova le frustranti sconfitte contro il fanalino di coda Arizona Cardinals e gli ultimi arrivati nella Lega, gli Houston Texans.
Dopo aver perso in casa contro i Tennessee Titans, pur in vantaggio per 8 punti negli ultimi secondi, i Giants parevano ormai spacciati.
Fermi sul 6-6, erano infatti costretti a vincere tutte le restanti partite per coltivare qualche minima speranza di playoffs.
L’attacco dei Giants si rianimò all’improvviso, mettendo a segno ben 108 punti nei 3 successivi incontri, arrivando all’ultima di campionato sul 9-6; vincendo quella gara interna contro i Philadelphia Eagles si sarebbero qualificati per i playoffs.
Grazie ad un Tiki Barber capace di realizzare il record personale in carriera di 203 yards, i Big Blue la spuntarono per 10-7 in overtime.
I Giants sembravano in stato di grazia, con un record di 10-6; Kerry Collins fu in grado di passare per 4.073 yards, Tiki Barber realizzò complessive 1.948 yards dalla linea di scrimmage ed Amani Toomer ricevette per 1.343 yards.
Da segnalare l’eccellente esordio del TE Jeremy Shockey (74 ricezioni per 849 yards in 15 partite, oltre a 2 TDs), che divenne un beniamino dei tifosi e fu l’unico rookie ad essere poi convocato al Pro Bowl.
Non possono essere dimenticate le prestazioni della difesa, con Michael Strahan che realizzò ben 11 sacks e 55 placcaggi, pur dovendo spesso affrontare la doppia copertura da parte degli avversari.
Nei playoffs, il reparto offensivo continuò a giocare alla grande, portandosi sul 38-14 nel terzo quarto a San Francisco contro i 49ers. Questi ultimi, tuttavia, misero a segno 25 punti consecutivi, passando in vantaggio 39-38 nell’ultimo quarto.
Nonostante la rimonta avversaria, i Giants avevano ancora una possibilità di vincere grazie ad un FG da 38 yards.
Tuttavia, i problemi degli special teams, che avevano afflitto la squadra durante la stagione, si ripresentarono: lo snap di Trey Junkin (ingaggiato proprio per la post-season) finì troppo basso, costringendo l’holder Matt Allen a tentare un passaggio disperato, che terminò incompleto, e la guardia Rich Seubert fu scaraventato a terra.
Nel caos che seguì, gli arbitri non si accorsero che Seubert era eleggibile, e che i Giants avrebbero dovuto avere un altro tentativo: qualche tempo dopo, la NFL inviò una lettera di scuse al team, che altro non fece se non accrescere il rammarico dei tifosi per la sconfitta.
Tiki Barber
L’avvio della stagione 2003 fu positivo per i Giants, la cui difesa limitò alla grande Kurt Warner, QB dei St. Louis Rams, forzando ben 6 fumbles e mettendo a segno la bellezza di 6 sacks, oltre ad un intercetto: quell’incontro si chiuse sul 23-13.
Ma, la settimana successiva, fu ancora una pessima prova degli special teams a rivelarsi determinante: il kickoff di Matt Bryant terminò fuori dal campo, consentendo ai Dallas Cowboys di giungere in raggio da field goal e di pareggiare allo scadere dei tempi regolamentari.
In overtime, i Giants vennero sconfitti per 35-32.
Dopo aver battuto, nuovamente ai supplementari, i Washington Redskins, l’attacco faticò oltremodo nelle successive 3 partite, tutte quante perse.
La striscia negativa si arrestò in trasferta contro i Minnesota Vikings (fino a quel momento imbattuti), che i Giants piegarono per 29-17.
Una settimana più tardi, i Big Blue sfidarono i concittadini New York Jets, con l’incombente spettro, per la perdente, di vedere infrante le speranze di playoff.
Quella che fu probabilmente la miglior sfida di sempre tra le formazioni della Grande Mela venne decisa ai supplementari, allorquando Brett Conway, sostituto dell’infortunato Matt Bryant, mise a segno il FG della vittoria.
Sul 4-4, con 2 vittorie consecutive, i Giants parevano essersi rimessi in carreggiata, e si apprestavano ad affrontare in casa gli Atlanta Falcons, che avevano totalizzato una sola vittoria e ben 7 sconfitte
Tuttavia, i Giganti incapparono in una delle loro peggiori serate, perdendo il possesso del pallone per ben 4 volte, e venendo sconfitti con un impietoso 27-7 di fronte ad un pubblico che li subissò di fischi.
Al termine dell’incontro, vennero colte chiaramente le parole pronunciate da Jim Fassel all’indirizzo della sua squadra: “State cercando di farmi licenziare?“.
Da quel momento in poi, le cose andarono di male in peggio: i Giants non vinsero più alcun incontro, perdendo tutte le restanti 8 gare e chiudendo col peggior record della Lega, un terrificante 4-12.
A rendere ancor peggiore la situazione, in 7 di quelle 8 sconfitte il distacco fu di 13 o più punti.
Conclusosi il campionato, Jim Fassel venne silurato, ed il team iniziò un processo di trasformazione, che vide i Giants porre in essere una trade per assicurarsi le prestazioni del QB Eli Manning, figlio del’ex All-Pro QB Archie e fratello di Peyton, in quell’anno MVP della Lega a pari merito con Steve McNair.
La stagione 2004, come quella precedente, è stata segnata ancora dagli infortuni: ben 16 giocatori, tra i quali Michael Strahan e Rich Seubert, hanno affollato l’infermeria dei Giants.
Oltre a Manning, si sono viste facce nuove ad East Rutherford: anzitutto il nuovo head coach, Tom Coughlin, già allenatore capo dei Jacksonville Jaguars, e Kurt Warner, in passato MVP della Lega e Campione del Mondo con i St. Louis Rams.
Proprio Warner è partito da titolare in cabina di regia, disputando alcune buone gare; tuttavia, due sconfitte consecutive gli sono costate il posto, e Coughlin ha deciso di gettare il giovane Manning nella mischia.
Dopo 2 brutte figure contro i Washington Redskins ed i Baltimore Ravens, il ragazzino ha mostrato buone cose, guidando i suoi alla vittoria nelle ultime 3 gare stagionali.
Nell’ultima sfida di campionato contro i Dallas Cowboys, Eli ha completato 18 passaggi su 27 per complessive 144 yards, mettendo a segno 3 TD passes e subendo 1 intercetto.
Queste confortanti prestazioni hanno dato speranza alla dirigenza ed ai tifosi per il futuro.
Tuttavia, il miglior giocatore dei Giants è stato il runningback Tiki Barber, protagonista di una stagione eccezionale: nell’ultima giornata ha infranto ben 3 records di franchigia.
Anzitutto, quello di yards in stagione, ben 1.518, 2 in più di Joe Morris nel 1986; in secondo luogo, è diventato il miglior runner di sempre dei Big Blue, con 6.927 yards contro le 6.897 di Rodney Hampton; infine, ha terminato con la bellezza di 2.096 yards dalla linea di scrimmage, record assoluto anche della NFL.
Le sue straordinarie prestazioni gli sono valse la prima e meritatissima convocazione al Pro Bowl.
La stagione dei Giants si è chiusa con un deludente 6-10, a pari merito con altre nobili decadute, i Dallas Cowboys ed i Washington Redskins.
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