Un nemico imbattibile
Se ne sta davanti all’armadietto, premendo i tasti del suo cellulare, portandoselo all’orecchio e sperando.
Dopo qualche momento, che sembra durare un’eternità, riaggancia e riprova di nuovo.
I risultati sono sempre gli stessi per Patrick Surtain. Il segnale dà sempre occupato, od un messaggio automatico spiega che tutte le linee sono occupate, o il telefono suona ad oltranza, ma nessuno risponde.
Seduto nell’asciutto e fresco spogliatoio dell’Arrowhead Stadium, i suoi pensieri sono tutti per quello che avviene all’altro capo di quelle chiamate senza risposta, nella sua città natale di New Orleans, devastata dalla furia degli elementi.
Surtain sta cercando disperatamente di raggiungere suo padre, con il quale non parla da diversi giorni.
Sua madre ed altri membri della sua famiglia sono con lui a Kansas City, dove sono arrivati per assistere all’incontro di sabato scrorso, e non sono potuti ritornare a casa.
Ma suo padre è laggiù, da qualche parte. E così anche altri parenti, zie, zii, cugini e gli amici di tutta una vita.
Quando l’uragano Katrina si è abbattuto sulla costa all’inizio di questa settimana, si è lasciato alle spalle una scia di morte e devastazione così spaventosa da non riuscire a comprenderne bene le dimensioni.
Le immagini che giungono da New Orleans hanno gettato un’intera nazione nella disperazione.
Surtain guarda la sua città e si domanda se le cose potranno mai tornare ad essere le stesse.
“Vedere il posto in cui sei cresciuto, in cui hai passato tutta la tua vita, dove la tua famiglia abita ancora oggi – dall’80 al 90% della mia famiglia vive lì – vedere l’intera città sommersa, è come un vecchio film” dice Surtain.
Ma non ci sono DVD, nè produzioni hollywoodiane ricche di effetti speciali.
E’ tutto molto reale. E’ la vita. E’ la morte.
“Quando le acque defluiranno, tanta gente non ci sarà più”, aggiunge. “New Orleans è, in fondo, una piccola città; tutti conoscono tutti”.
Surtain sa che alcuni dei corpi nell’acqua, altri nascosti sotto le macerie della sua zona, ad est e a nord del Quartiere Francese, saranno facce note per lui.
“A vederla così, non c’è più una città” dice Surtain. “Tutto quel che possiamo fare è pregare che la nostra famiglia si sia messa in salvo”.
Attualmente, Surtain passa ogni momento libero attaccato al telefono ed al televisore, seguendo i servizi giornalistici da New Orleans.
Va agli incontri con i compagni ed i coaches, lavora sul campo di allenamento e cerca di scacciare i brutti pensieri dalla mente.
Questo può durare per pochi momenti, poi la realtà torna ad affacciarsi prepotentemente, in tutta la sua terrificante concretezza.
Ogni volta che le immagini dagli elicotteri mostrano la città, cerca di individuare dei punti di riferimento, qualche particolare familiare, qualcosa che gli dica se quello è il suo quartiere o no.
“C’è troppa acqua”, dice il giocatore. “Con quell’acqua, arrivano tante altre cose: malattie, alligatori, coccodrilli, serpenti. Vedere quella gente che cammina con l’acqua fino alla vita, altri sui tetti…“.
“Spero che tutto si risolva per il meglio alla svelta, ma per ora non sembra così. Dicono che la vita va avanti, ma adesso va tutto al rallentatore. Guardi le immagini, e niente migliora”.
E non c’è niente che lui possa fare. Non sarà così, in futuro. Tuttavia, al momento, deve starsene lì seduto, ad aspettare e preoccuparsi.
“Non so quale sarà il futuro di New Orleans”, dice Surtain. “Anche se dovesse riuscire a risollevarsi, ci vorrà comunque molto tempo. Quando sarà il momento, tutti noi, che siamo cresciuti in quelle strade, dovremo restituire quanto ci è stato dato, ed aiutare New Orleans a rimettersi in piedi”.
Questo succederà in futuro.
Adesso, Patrick Surtain vorrebbe solo che qualcuno rispondesse al telefono.