“Bullet” Bob Hayes (1942 – 2002)
Robert Lee Hayes nacque il 20 dicembre 1942 a Jacksonville, Florida. A East Jacksonville passò la sua infanzia ed adolescenza correndo su e giù nelle strette vie del suo quartiere come tutti gli altri ragazzi della sua età. Ebbe il suo primo momento di notorietà durante l’estate del 1962, quando il quotidiano locale Times-Union uscì con la sua foto in prima pagina ed il titolo a nove colonne “WANTED”, aggiungendo una breve descrizione che suonava come “un diciannovenne nero nativo di Jacksonville chiamato Bob Hayes“. Il fatto era che tutta Jacksonville conosceva Bob come “l’essere umano più veloce del mondo”, ma nessuno sapeva di preciso dove abitasse. I selezionatori della nazionale di atletica leggera volevano Bob in squadra per un meeting in Svezia, ma per questo Hayes avrebbe dovuto essere a New York il giorno dopo per partire insieme alla squadra. Al giornale si unirono anche le stazioni TV locali e la polizia, in una massiccia caccia all’uomo. Era come se metà degli abitanti della River City cercasse quel ragazzo.
Fortunatamente la caccia diede i suoi frutti: Earl Kitchings, allenatore di Bob alle superiori e lui stesso eroe sportivo locale, trovò il ragazzo che faceva il bucato in una lavanderia a gettone. Corsero insieme a casa della madre di Bob, che nel frattempo aveva preparato le sue cose per il viaggio. Prima di lasciarlo partire, Kitchings e Jimmy Thompson (preside della Matthew Gilbert High School, il liceo frequentato da Bob) diedero a quel ragazzo con gli occhi spauriti qualche centinaio di dollari per le emergenze e per le sue spese personali, e poi lo guardarono incamminarsi lungo quella strada che avrebbe segnato la sua vita.
Nonostante non fosse molto veloce in partenza, Hayes fu il primo a correre sotto i sei secondi sulle 60 yards, ed il primo a fare 9,1 sulle 100. Nel 1963 eguagliò il record del mondo di 20,6 secondi sui 200 metri piani, nonostante corresse contro un vento a sfavore di 3,6 m/s. Ma la sua abbagliante velocità veniva esaltata nelle gare di staffetta, con la partenza lanciata. Ai Giochi Olimpici di Tokyo nel 1964 fu l’ultimo frazionista della 4×100: prese il testimone 4 metri dietro il primo, arrivando davanti a lui di 3 metri. La squadra stabilì il primato mondiale con 39 secondi netti, e la frazione corsa da Hayes venne stimata di 8,6 secondi sui 100 metri e di 7,7 secondi sulle 100 yards. Hayes vinse anche la medaglia d’oro nei 100 metri piani in quell’Olimpiade, dopo essere stato Campione AAU sulle 100 yards dal 1962 al 1964 e campione sui 200 metri piani nel 1964 con Florida A&M.
“Bullet” Bob arriva ai Dallas Cowboys nel 1964, scelto al settimo giro del draft dopo Appleton e Renfro, ma prima di un giovane quarterback di Navy che deve svolgere ancora quattro anni di servizio militare, un certo Roger Staubach scelto al decimo giro.
Bob sconvolge il training camp di Dallas, ed i Cowboys sono costretti a prendere un altro quarterback col “braccione” per sfruttare Hayes, Craig Morton. La situazione è surreale: “E’ come se ribollisse, è così veloce!” dice Frank Clarke, che era il miglior ricevitore dei Cowboys, fino a Bob Hayes. “L’arma più pericolosa nel football, e tutti lo sapevano” ha dichiarato Peter Gent, che è stato il più colto wide receiver che Dallas abbia mai avuto (tra l’altro autore del libro “North Dallas Forty“, da cui venne tratto il film “I Mastini del Dallas“). “Spaventoso” disse Gil Brandt, capo reclutatore dei Cowboys, dopo averlo visto. “La velocità che ha… francamente, è incredibile“. Tom Landry, più pragmatico degli altri, non rilasciò alcuna dichiarazione, limitandosi ad un sorrisino. E poi corse ad aggiornare la lavagna degli schemi.
Sette stagioni dopo, il 16 gennaio 1972 Landry, Renfro, Staubach ed Hayes vinsero il loro primo Super Bowl. Da allora, “Bullet” Bob detiene o ha detenuto molti dei primati di squadra dei Cowboys: ha segnato quattro touchdowns nella stessa partita contro gli Houston Oilers nel 1970, ha segnato più TDs di tutti in 4 diverse stagioni, compreso il suo anno da rookie, quando scioccò la Lega costringendo tutti a giocare la zona difensiva (prima di lui praticamente mai usata), e segnando 13 TDs su sole 46 ricezioni per 1.003 yards in 14 partite. Parlando nel gergo del baseball, se “Bullet” Bob prendeva quattro palle, una di quelle era un fuoricampo. Meglio di “Babe” Ruth!
“Bullet” Bob è tuttora il terzo miglior marcatore nella storia dei Cowboys con 76 TDs, dietro Emmitt Smith (che ha indossato il suo stesso numero) e Tony Dorsett, entrambi runningbacks. Per cinque volte l’Uomo Proiettile è stato il miglior ricevitore – come yards totali – della squadra. In una partita ha ricevuto per 246 yards, incluso un passaggio da 95 yards di Don Meredith, contro i Washington Redskins nel 1966. Entrambi questi numeri sono tuttora records di squadra per i Cowboys. Ha avuto una media in carriera di 20 yards nette a portata, compresi i punt returns, comprese le stagioni giocate con infortuni alle gambe. Nel 1970 la sua media è stata di 26,1. L’anno dopo di 24,0. Significa un quarto del campo, ogni volta che Hayes toccava palla. In parole povere, una vera e propria ira di Dio. Ed i numeri non riescono a descrivere la paura che riusciva a mettere a tutta la NFL!
I difensori erano terrorizzati all’idea di affrontarlo in uno-contro-uno, sapendo di non poterlo gestire se non avendo a disposizione una motocicletta o un jetpack. Ed ancora oggi chi lo ha visto giocare, in gara o in allenamento come Gent, continua ad affermare che non c’era nessuno come Bob Hayes. Quello che il libro dei records non dice è quanto fosse dura per “Bullet” la vita normale. Era un ragazzo proveniente da un ambiente di rigida segregazione razziale che arrivava a Dallas, in quel tempo non propriamente la Mecca della tolleranza sociale. Bob era guardato come una specie aliena a cui non si potevano applicare le regole degli esseri umani. E quando correva, le battute su di lui si sprecavano. Inoltre, ebbe la sventura di vivere tempi non facili. Durante il suo secondo anno nella NFL, venne ucciso Malcolm X. Due anni dopo, Martin Luther King, con i disordini razziali che seguirono. L’anno successivo, alle Olimpiadi di Mexico City, Tommie Smith e John Carlos opposero il grande rifiuto alla premiazione, alzando il pugno guantato di nero sulle note dell’inno nazionale USA. Bob dichiarò che non si andava ad allenare volentieri in quell’autunno, perché “non ero un ragazzo colto e preparato, e non volevo rispondere a chi mi chiedeva cosa volesse la mia gente. Semplicemente non sapevo cosa rispondere. A me piaceva correre…“.
Fiorirono le più strane teorie sulla fisiologia di Bob e sulle sue capacità: era visto come un mostro, un idiota sapiente, una specie di Venere Ottentotta della velocità; ma comunque fosse successo, lui correva, e quando correva nulla poteva preoccuparlo, perché niente di brutto lo poteva prendere. Le sue gambe erano la sua vita, la sua leggenda, tutto. E lui è stato ed è tuttora l’unico a potersi fregiare di una medaglia d’oro olimpica e di un anello del Superbowl. E badate bene, non una medaglia qualsiasi, ma la medaglia d’oro nei 100 metri piani, quella del campione che incarna più di ogni altro atleta l’immagine delle Olimpiadi moderne. Bob Hayes fu l’erede di Jesse Owens, e quando negli Stati Uniti si parla oggi di atletica leggera, si parla di Carl Lewis, Owens e Hayes.
Ma nonostante ciò, al termine della sua carriera, Bob ebbe un crollo, non riuscendosi ad adattare alla sua nuova vita. Venne arrestato per una bravata, il tentativo di vendere droga ad un agente sotto copertura: le sbarre si chiusero alle spalle dell’Uomo Proiettile, fermandone la corsa. Per ben dieci mesi. E questo probabilmente ha arrestato anche la sua corsa verso la Hall of Fame: introdotto in quella dell’atletica leggera nel 1976, venne sistematicamente ignorato dal comitato di Canton. “Mi sento un reietto: è come se tutta la Nazione mi avesse dimenticato. Provo molto dolore, perché in fondo ciò che ho fatto non è stato meno importante di ciò che hanno fatto altri“, dichiarò nel 1999. “Non ci perdo il sonno, certo. Ma ogni anno, quando arriva il periodo delle nomine, ci faccio attenzione“.
E non è stato solo nel suo rammarico: Tex Schramm, il mitico GM dei Cowboys è stato uno di quelli che non si è mai dato pace per l’assenza di Bob Hayes dalla Hall of Fame: “L’assenza di Hayes è una delle cose più ingiuste che ho vissuto da quando frequento il mondo del football professionistico“.
A questa ingiustizia posero parzialmente rimedio i Cowboys quando introdussero “Bullet” Bob come undicesimo membro del “Ring of Honor” nel 2001.
“Sono sorpreso. Sono grato. Sono commosso” disse Hayes alla folla il giorno della cerimonia. “Ho giocato per la squadra professionistica più grande del mondo nella storia di questo sport. Una volta Dallas Cowboy, Dallas Cowboy per sempre!“. A metà degli anni ’90, Bob tornò a vivere nella sua Jacksonville, in relativo anonimato. Continuò a combattere contro problemi di droga ed alcool, e partecipò per tre volte a programmi di recupero. “Ho vinto delle medaglie rappresentando questo Paese, ma ho ricevuto maggiori riconoscimenti in giro per il mondo che nel mio stesso quartiere“. Continuò a seguire le gesta sportive della sua Alma Mater fino al 18 settembre 2002, quando lasciò i blocchi di partenza per l’ultima volta a causa di un’insufficienza renale.
In un parco di East Jacksonville campeggia una scultura di Kristen Visbal chiamata “Passing the torch“. Rappresenta Bob Hayes che corre sulle punte degli alluci, con la fiaccola olimpica nella mano sinistra. Alla domanda sul perché la statua poggiasse solo sugli alluci, la scultrice ha risposto: “Tutte le foto che ho potuto vedere di Bob Hayes che corre hanno una particolarità: i suoi piedi non toccano mai il terreno. E’ questo l’effetto che ho tentato di rendere realizzando la mia scultura“.
L’Uomo Proiettile è stato vicino all’ingresso nella Pro Football Hall of Fame nel 2004, ma non arrivò fino alla nomina tra mille polemiche, in una sessione molto controversa. Si parlò di razzismo, e di prevenzione verso i giocatori dei Dallas Cowboys e di qualche altra franchigia. Ma qualcosa dovette succedere, perchè subito dopo la nomina dei nuovi membri del 2004, il grande giornalista di Sports Illustrated Paul Zimmerman si dimise dal Comitato di Selezione per protesta contro l’esclusione di Bob Hayes dalle nomine.
Chi ama questo sport, spera tanto che questa “vergognosa ingiustizia” venga sanata, e che “Bullet” Bob possa tagliare il traguardo ancora una volta, come solo lui sapeva fare.
Nota dell’Autore – Il 30 gennaio 2009 la commissione di Canton rende nota la classe 2009 per la Pro Football Hall of Fame: a sette anni dalla sua scomparsa, “Bullet” Bob Hayes è finalmente introdotto nell’Arca della Gloria, sanando un’ingiustizia che faceva vibrare le vene dei polsi ai veri appassionati di football ed ai tifosi dei Dallas Cowboys. Bob divide quest’onore con Randall McDaniel (Guard – Minnesota, Tampa Bay), Bruce Smith (Defensive end – Buffalo, Washington), Derrick Thomas (Linebacker – Kansas City), Ralph Wilson (dirigente – Buffalo), e Rod Woodson (Defensive back – Pittsburgh, San Francisco, Baltimore, Oakland).
Il suo busto viene scoperto il 9 agosto 2009 da suo figlio e dal grande Roger Staubach, suo quarterback, che pronuncia anche il discorso ufficiale a suo nome.
Affascinante: non c’
Diego, mi lasci senza parole… :red:
Semplicemente toccante. Complimenti Marcello, in questo articolo pi
30/01/2008 Giustizia
Avevo solo 18anni quando attraverso la TV di notte dato il fuso orario ….ancora a distanza di 48 anni … l’impressione è stata cosi forte a vedere sulla pista ancora ” convenzionale “di Tokio
un essere umano che poteva correre in 10.06 con tempo automatico che
valeva almeno 9.86 manuale per quei tempi…in semifinale aveva fatto ,ventoso,se ricordo 9.92…fantastico….
ma più fantastico forse secondo me quando in staffetta ha recuperato 4 metri e dato 3 metri … non sono sicuro se la senzazione era maggiore…. per me e stato il più grande de xx secolo …. peccato
che non ha continuato per altri due anni….forse……… grazie Bob
9″91 ventoso in semifinale e lanciato in staffetta in 8″89