The Bus ferma a Detroit
Laddove tutto era iniziato, tutto è giunto a conclusione.
Dove nacquero i sogni e le speranze di Roney (così lo chiamava sua mamma), lì hanno trovato forma reale, materializzandosi nelle mani di Jerome Bettis sotto forma di Vince Lombardi Trophy.
Una carriera, quella di The Bus, iniziata in una “blue-collar town” (alla McKenzie High School di Detroit, dove giocava Runningback e Linebacker), passata per Notre Dame (dal 1990 al 1993) e vissuta, a parte una parentesi con i Rams che lo avevano scelto al primo giro del draft, in un’altra città operaia: Pittsburgh, la cui squadra di Football, gli Steelers, rispecchia i valori della gente comune: lavoro, sacrificio, tenacia, coraggio e forza, tutte qualità che sono alla base dei successi ottenuti da questa storica franchigia, l’ultimo dei quali si chiama Super Bowl XL.
Quella di The Bus è una storia che assomiglia molto ad una favola, infatti ha chiuso la carriera alzando il trofeo che premia i sacrifici di una vita nello stadio della propria Città natale (Detroit appunto), diventando un eroe locale (e nazionale) e uno di quei “profeti in patria” che nello sport sono l’eccezione più che la regola.
Il cerchio, insomma, si è chiuso con un lucchetto a forma di anello di Campione del Mondo, a sua volta chiuso con la chiave della città di Detroit, consegnata a The Bus pochi giorni prima del Super Bowl. Si può chiedere di più?
Possiamo, noi, immaginare l’emozione di Jerome Bettis quando, presentato allo stadio e al mondo sintonizzato con The Game, ha fatto il suo ingresso solitario al Ford Field acclamato da più di 60.000 persone?
Possiamo capire la sua gioia al momento della premiazione?
No, non possiamo. Solo lui può ed è giustissimo così, perché queste emozioni se le è guadagnate, così come si è guadagnato l’immortalità nei cuori sia dei suoi concittadini, sia degli Steelers fans.
Noi possiamo solo essere contenti per lui, applaudire ad un’impresa che non è solo sportiva.
The Bus è un esempio per tutti quei giovani che devono trovare la propria strada e che, guardando a lui, possono convincersi che col lavoro,il sacrificio e la forza di volontà è possibile raggiungere traguardi che sembrano distanti, irraggiungibili e, a volte, addirittura invisibili.
Come in molte favole ci sono le difficoltà, la povertà, la forza, il coraggio e… il lieto fine, ma, soprattutto, c’è quella cosa detta “morale”, il significato, cioè, che dobbiamo capire e senza il quale una favola resta una storiella senza senso.
Questa non è una favola per bimbi; non c’è il bene contro il male, il cattivo contro il buono. Questa è una favola per tutti, una favola nella quale tutte le componenti già citate sono come un puzzle che, ricomposto, può dare a molti la prova reale che se si vuole e si è disposti a sacrificarci, nessun traguardo ci è precluso.
Jerome Bettis ha corso per oltre 13.600 yards, ha ricevuto per quasi 1500, ha segnato oltre 90 Touchdowns, ha vinto premi (tra gli altri. NFL comeback player of the year 1996), ma soprattutto ha raggiunto l’anello nella città che lo ha visto nascere e con la squadra con la quale è nato un binomio che il suo ritiro non cancellerà mai dalla memoria non solo dei tifosi coi Terrible Towel, ma di tutti gli appassionati di Football.
Pensi a Bettis associandolo agli Steelers, pensi agli Steelers e li associ a The Bus.
Alla fine del Super Bowl XL, Jerome guardava i suoi tifosi e si toccava il cuore, loro guardavano lui e si toccavano il cuore. Quell’immagine conta più di mille parlole.
Io, pur non tifando Pittsburgh, dico:
GRAZIE BUS!, anche tu hai contribuito a farmi amare questo meraviglioso Sport e tra qualche anno sarò orgoglioso di applaudirti mentre verrai introdotto nella Hall of Fame. Meritatamente!