Rinnovato il Collective Bargain Agreement
Dopo aver rinviato due volte l’inizio della free agency, e quindi l’inizio dell’anno fiscale, per due volte e avere più volte interrotto e ripreso le trattative, i proprietari delle 32 franchigie si sono accordati e hanno approvato con 30 voti favorevoli e 2 contrari una estensione di 6 anni del Collective Bargain Agreement. E’ un documento fondamentale, in cui è previsto il primo garante della parità che ha reso la NFL la lega professionistica migliore al mondo. Il secondo garante è il cosiddetto “revenue sharing plan” ovvero il piano di redistribuzione degli introiti. Difatti, per garantire le stesse possibilità alle squadre che risiedono in mercati enormi (come Dallas, New York, Foxboro, Washington) e a quelle che invece si trovano in mercati relativamente piccoli (come Jacksonville, Cincinnati, Buffalo e Indianapolis) è necessario che gli introiti vengano in qualche modo distribuiti equamente all’interno della lega.
Nella versione precedente del CBA, le “revenues” venivano in parte poste in un fondo comune da cui poi venivano redistribuite equamente alle squadre. Ognuna delle 32 franchigie contribuiva al fondo con la stessa percentuale, e riceveva la stessa percentuale. Il sistema però rischiava di andare in crisi davanti alle nuove richieste dei giocatori, che hanno ottenuto con la nuova versione del CBA il 59.5% di tutte le forme di introiti delle squadre. Nel precendete CBA i giocatori ricevevano poco più del 60% degli introiti, ma la percentuale era calcolata solo su una parte degli introiti, da cui erano esclusi gli introiti definiti “locali”, come per esempio quelli provenienti dai parcheggi dello stadio, dai contratti con le tv locali e con le radio locali. Con la nuova formula il cap è destinato a salire vertiginosamente nei prossimi anni, e le franchigie più piccole si sarebbero trovate in grave difficoltà con il vecchio piano di redistribuzione.
Ecco allora che già nell’estate dell’anno scorso Waybe Weaver, presidente dei Jacksonville Jaguars, e Dan Rooney, presidente dei Pittsburgh Steelers presentano un piano (noto come Jacksonville-Pittsburgh plan) che prevede la redistribuzione del 34 percento delle “Total Football Revenues”, ovvero di tutti gli introiti delle franchigie, compresi quelli locali. Il principio da cui partono Rooney e Weaver è semplice: le franchigie di mercati più grossi sono un costo per quelle dei mercati più piccoli, perchè con i loro introiti maggiori alzano il salary cap, e sono perfettamente in grado di coprire questi costi con gli introiti locali, che non vengono messi in comune. Rooney, Weaver e tutti gli altri proprietari delle franchigie di mercati piccoli si chiedono come mai debbano dividere i costi con i mercati più grandi se non dividono con loro gli introiti.
Nei mesi a seguire diventa chiaro che questo è il vero punto fondamentale su cui si discuterà prima ancora dell’accordo con i giocatori per la percentuale a loro destinata. Le franchigie dei piccoli mercati sono in maggioranza e non hanno nessuna intenzione di mollare, concedendo alle franchigie più grandi la possibilità di ricreare uno squilibrio come quello degli anni 70, o se preferite come quello del calcio europeo.
Ma all’ultimo giorno utile per le negoziazioni, ovvero mercoledì scorso, è risultato chiaro che un accordo basato sul Jacksonville-Pittsburgh plan è impossibile. I proprietari delle franchigie dei mercati più grandi hanno ancora abbastanza voti per respingere qualsiasi offerta non sia di loro gradimento (per passare una proposta deve avere 24 voti, mentre al massimo con il Jacksonville-Pittsburgh plan e i suoi derivati i proprietari erano arrivati a 18 favorevoli, 14 contrari), e la situazione è in stallo. Ma come aveva previsto Tagliabue, è all’undicesima ora dell’ultimo giorno che spesso gli accordi vengono firmati. Mercoledì, mentre si avvicinava la scadenza fissata dalla NFLPA (la lega dei giocatori) per la ratifica della proposta, due nuovi “piani” si sono fatti strada: un “Jets-Patriots plan” e uno “Steelers-Ravens plan”. John Mara dei Giants, Pat Bowlen dei Broncos e Jerry Richardson dei Panthers hanno poi incontrato Tagliabue per mettere insieme le idee dei due piani. Jerry Jones dei Cowboys e Arthur Blank dei Falcons hanno portato avanti un ibrido dei due piani e la versione finale è stata stesa con l’aiuto di Dan Rooney e Rich McKay, General Manager dei Falcons. L’ultima votazione, avvenuta probabilmente dopo la scadenza prevista, ha dato finalmente esito favorevole, insieme anche all’ulteriore spostamento dell’inizio della free agency, ora previsto per le 12.01 (ET) di sabato.
Il nuovo CBA prevede per quest’anno un cap di 102 milioni di dollari, ben superiore ai 94.5 previsti dal precedente, e per il 2007 la cifra salirà a 109 milioni, con un incremento di 16.5 milioni in tre anni, che rappresenta di gran lunga il più importante mai vistosi fino ad ora.
Ma la parte più importante del piano è la nuova formula di revenue sharing: l’accordo prevede che le prime 15 squadre per introiti siano responabili per i due terzi di un fondo da cui le squadre con meno introiti possono attingere se la loro porzione di introiti destinata ai giocatori dovesse eccedere il 65%. In pratica, se un proprietario di una squadra di piccolo mercato dovesse utilizzare più del 65% del totale dei guadagni della sua franchigia per pagare i giocatori, la spesa in eccesso sarà rifondata dal fondo creato dalle prime 15 squadre. E’ un sistema piuttosto complesso, ed è difficile prevedere il suo reale funzionamento, ma ci sono buone ragioni per credere che sia un buon sistema se 30 proprietari hanno votato a favore.
Gli unici due voti contro sono venuti da Ralph Wilson, presidente dei Buffalo Bills, e da Mike Brown, presidente dei Cincinnati Bengals. Il primo ha dichiarato che non è stato in grado di capire come il nuovo sistema dovesse funzionare, e non è certo da biasimare, mentre Mike Brown ha dichiarato che non pensa che questo sistema sia sufficente a garantire ai mercati più piccoli una adeguata protezione finanziaria. Senza dubbio, l’accordo mette pressione sui proprietari di franchigie in mercati piccoli perchè riescano a trovare dei modi per generare più introiti locali, come sottolineato da Wayne Weaver, ma in generale è un accordo che serviva disperatamente alla lega, ai proprietari, ai giocatori e non ultimi a noi fans, per continuare a godere dello spettacolo della NFL così come lo conosciamo e lo abbiamo apprezzato negli ultimi 12 anni.