Bitter Home Chicago
Domenica sera è finito un sogno. Il sogno di una squadra, dei suoi tifosi e, più in generale, di una città, che di sognare aveva proprio bisogno. La squadra sono i Santi e la città è New Orleans. A risvegliarli, nella neve di Chicago, sono stati gli Orsi, cinici, concentrati e opportunisti, come deve essere una squadra che si gioca un Championship e, di conseguenza, un biglietto per Miami il 4 Febbraio. Miami. Là dove Bears e Colts scriveranno un’altra pagina di Storia del Football, mentre tutti gli altri staranno a guardare.
Peccato.
Peccato soprattutto perché i Santi c’erano davvero vicini ed avevano, a mio parere, tutte le carte in regola per farcela. Tutte tranne una, che, forse è stata quella fatale: l’inesperienza. Quel brutto vermicello che genera la paura e fa tremare le ginocchia, quando invece dovrebbero essere ben salde. Il mio dolore più grande, oltre alla sconfitta, è stato quello di non vedere in campo i ragazzi che fino a questo momento avevo tanto apprezzato in questo campionato, quanto piuttosto i loro fantasmi: unici che si salvano dal crollo sono, a mio parere, Drew Brees (ok, la safety, lì ha sbagliato anche lui, ma per il resto ha fatto tutto quello che poteva fare) e Reggie “Boy Wonder” Bush, che corre, corre, corre e ci crede sempre, anche quando tutti i suoi compagni sembrano già con la testa a New Orleans e alla prossima stagione.
E che rabbia…che rabbia quando, dopo il suo TD record, quando le distanze potevano essere colmate e le speranze di tutti noi tifosi si stavano riaccendendo, invece di continuare a spingere sull’acceleratore i Santi sembrano perdere completamente la bussola, lasciando a Chicago spazio e modo di fare tutto quello che vuole. Hanno alzato per un attimo la testa, per poi riabbassarla di nuovo, e questo fa ancora più male.
Ok, i Bears erano veramente in forma ed hanno sbagliato veramente poco (a parte Grossman, che continua a dirmi poco), e forse avrebbero vinto anche con dei Santi al meglio della loro forma, ma la realtà è che per buona parte della partita, specialmente nel primo e nell’ultimo quarto, hanno giocato contro il niente, o meglio contro una difesa che li ha arginati come un recinto di filo di nilon può contenere un toro imbizzarrito. Anche l’attacco dei nostri, dal canto suo, non è stato quasi mai incisivo: è mancato quel gioco di corse (McAllister non si è praticamente visto) che fino a questo momento era stata una delle armi vincenti della squadra gigliata, mentre sono abbondati errori grossolani e pagati a caro prezzo, come quei fumbles ad inizio gara, che, al di là della potenza difensiva di Chicago, la dicevano lunga soprattutto sulla mancanza di concentrazione di New Orleans. Nella seconda metà della partita, dopo la safety subita da Brees e l’incredibile svarione della difesa, che va a farfalle sul lancio chilometrico di Grossman in TD, i Bears hanno giocato da soli, potendosi permettere di dilagare e chiudere sul risultato di 39-14.
Lo ripeto: peccato.
Ma se devo fare delle considerazioni più generali, non posso che applaudire questi Santi che, se confermeranno quello che hanno saputo costruire fino ad ora, avranno tutte le carte in regola per diventare una realtà delle prossime stagioni. E magari, quando la neve e le lacrime di Chicago saranno solo un ricordo, potranno scrivere anche la loro pagina di Storia del Football.