March Madness in Chicago
Mentre il mese di marzo ve a concludersi spostando tutta l’attenzione del popolo sportivo americano sul campionato NCAA di basket ormai prossimo alle Final Four in quel periodo che è da sempre definito come March Madness, gli amanti della palla ovale non abbandonano comunque la posizione di attenti osservatori del mercato free agent in attesa del draft di fine aprile. E, a Chicago, di carne al fuoco ne è stata gettata tanta, creando una “pazzia di marzo” singolare nella città che ha sfiorato il titolo di campione NFL meno di due mesi fa. Le notizie sono note ormai a tutti, le principali, lo ricordiamo, l’addio di Thomas Jones, le minacce di holdout di Lance Briggs e l’arrivo di Adam Archuleta.
Cominciamo da Briggs. Tutti avranno ormai saputo che il franchise tag imposto dalla società al giocatore non è stato digerito dal forte linebacker esterno (134 placcaggi nel 2006) il quale, assistito dal tristemente noto Drew Rosenhaus, maestro in litigi con le società dei suoi “curati”, sembra voler rifiutare i 7.2 milioni di dollari che verranno versati nelle sue tasche per il solo 2007. Perché? Difficile dirlo. I problemi con Briggs cominciano nel marzo 2006 quando, dopo un primo incontro con Jerry Angelo, il giocatore rifiuta un contratto da 33 milioni per 6 o 7 stagioni (le stime cambiano in base alle fonti) senza che sia noto quanto sarebbe stato il salario garantito dal signing bonus. Lance Briggs, scelto al terzo round nel draft 2003 dai Bears, ha trascinato la propria situazione fino a dopo il Super Bowl, senza però voler mai incontrare la società se i numeri della prima offerta non fossero cambiati.
I dirigenti si sono dovuti muovere diversamente, prolungando contratti importanti e ritrovandosi con una situazione di tetto salariale poco invidiabile, ma anche con la possibilità di bloccare Lance Briggs attraverso il tag. Dopo l’ennesimo rifiuto del linebacker, il tag è arrivato e qui, apriti cielo. Briggs, che ancora rifiuta l’incontro, ha rilasciato soprattutto dichiarazioni televisive e radiofoniche, asserendo una volta di voler un contratto a lungo termine, un’altra di voler essere il Kobe Bryant (The Kobe, per la stampa americana) della situazione in altri lidi; praticamente non più “l’altro linebacker di Chicago” rispetto a Brian Urlacher, ma il leader assoluto. Dove stia la verità è difficile dirlo, ma siamo chiaramente di fronte ad una semplicissima questione di tanti bigletti raffiguranti ex presidenti americani. “Amo Chicago, la città, i tifosi, i coach e i miei compagni di squadra”, ha detto Briggs poco dopo il tag ricevuto, “ma non i dirigenti e voglio dire che non giocherò mai più per questa gente. Mi diano un contratto serio, di lunga durata, o mi scambino con qualche squadra, ma io non giocherò più per Chicago”. Quanto vale la minaccia di Briggs? In realtà poco. Per lui l’holdout, rimanere fuori una stagione, significherebbe perdere anche i soldi del tag e se Jamar Williams, considerato il suo successore a roster, riuscisse a dargli il cambio in modo dignitoso, a guadagnarne sarebbe il sistema difensivo del team e Briggs si troverebbe a perdere valore sul mercato e credibilità come giocatore. Conviene giocare, prendere i soldi e vedere cosa si può fare per il 2008; Angelo difficilmente cercherà una trade anche perchè difficilmente otterrebbe una scelta abbastanza in alto nel draft per potersi ritenere soddisfatto. Ma nulla può essere escluso oggi…
Thomas Jones, dal canto suo, si è comportato in modo decisamente diverso. Ha incontrato Angelo, ha espresso i suoi dubbi sul contratto che, a fine 2007, gli sarebbe stato proposto e ha mostrato la solita insofferenza nel suo scomodo backup, prima scelta dei Bears nel 2005: Cedric Benson. L’accordo è stato trovato, Jones inserito in una trade che ha garantito a Angelo di alzare la chiamata al secondo giro e di guadagnare ancora qualcosa dalla cessione di un giocatore vicino ai trenta e, soprattutto, esploso a Chicago dopo tre stagioni da signor nessuno come riserva in giro per la NFL. Jones andrà ai New York Jets, i quali hanno firmato anche il DE Michael Haynes, tagliato lo scorso anno e finito in FA dopo un breve periodo a New Orleans.
Cedric Benson avrà così l’opportunità di dimostrare se la sua scelta è stata o meno un buon investimento, ma soprattutto la trade di Jones ci dice quanto fosse ormai matura l’idea di spostarlo a titolare. Adrian Peterson può essere un ottimo backup, mentre per il terzo posto nella posizione di RB ancora non è chiaro come si muoverà Chicago.
Infine gli arrivi e le conferme. Il primo nome è quello di Adam Archuleta, strong safety che porterà esperienza e profondità a un reparto che, con la perdita di Mike Brown per infortunio, si è trovato in seria difficoltà da ottobre in avanti. Archuleta darà esperienza, come detto, e potrebbe permettere a Brown di spostarsi in posizione di free safety, dando la possibilità a Danieal Manning di maturare, inserendo l’irruente Chris Harris solo in determinate situazioni. La speranza è anche quella di vedere, finalmente, Brandon McGowan, altra safety molto giovane che nei primi due anni ha accusato problemi fisici che lo hanno spesso tenuto lontano da un esordio più duraturo rispetto alle scarse apparizioni avute a disposizione. Bisogna comunque sottolineare che, tolti i grossi problemi alla schiena che hanno torturato Adam Archuleta negli anni scorsi, le migliori stagioni della safety ex Washington siano state proprio quelle a St. Louis con Lovie Smith allenatore difensivo.
L’arrivo di Archuleta cambia anche le carte in tavola per il draft dove Lovie Smith e Angelo, pur focalizzandosi per la prima scelta sul miglior prospetto in circolazione, potranno stare comunque lontani dalle safety, cercando magari di ringiovanire, e rinforzare, la linea offensiva visto che quella attuale è sì solida, ma anche piuttosto avanti con l’età media il che la rende poco affidabile per un’intera stagione. Vedremo; di certo in un attacco che, con Cedric Benson e il confermato Rex Grossman in cabina di regia, si prospetta come sperimentale, trovare la continuità dopo una stagione saltante passerebbe probabilmente proprio dal miglioramento della linea.
La difesa, Briggs o non Briggs, non sembra essere un problema. La partenza di Ron Rivera, finito clamorosamente a seguire i linebacker per San Diego, non preoccupa l’ambiente che, al contrario, lo ha accusato di una tattica troppo conservativa durante il Super Bowl (ricordate le urla del numero 54 verso la sideline nel terzo periodo?); al suo posto Bob Babich, grande amico e uomo di fiducia di Lovie Smith che già di suo è un ottimo stratega difensivo. Smith e il general manager Jerry Angelo hanno prolungato i propri contratti dando così un chiaro segnale di come il duo voglia continuare sulla strada intrapresa insieme dal 2004; in tre stagioni la coppia ha portato i Bears da ultimi nella NFC North a giocarsi un Super Bowl. Le menti che sanno pensare servono sempre, vedremo se lo staff riuscirà a dare continuità a un progetto che sembra avere tutte le basi per continuare ad essere vincente. Certo, l’anno dopo un Super Bowl perso non è semplice, portarsi appresso il fardello di una sconfitta nell’ultimo capitolo di una stagione esaltante non è facile e gli esempi delle ultime stagioni evidenziano le difficoltà delle squadre che hanno “solo” vinto la conference. Spesso, addirittura, non è facile nemmeno per chi quell’ultimo agognato passo è riuscito a farlo come dimostra la stagione appena conclusa dai Pittsburgh Steelers, fuori dai playoffs con l’anello al dito.
La società ha inoltre rinnovato il contratto a otto assistenti: il defensive coordinator Bob Babich, come già detto, Tim Spencer (running backs), Darryl Drake (wide receivers), Rob Boras (tight ends), Harry Hiestand (offensive line), Steven Wilks (defensive backs), il coordinatore per le condizione fisico-atletiche Rusty Jones e l’offensive coordinator Ron Turner il quale, a quanto pare, non desta preoccupazioni nella Halas Hall quando, al contrario, molti tifosi non sembrano apprezzare molto il lavoro svolto a livello di playbook e, soprattutto, nella gestione del fragile Rex Grossman. In una stagione che si presenta come piena di dubbi e un attacco paradossalmente sperimentale, ecco che, il sottoscritto, trova certamente forti dubbi in questa conferma.