Michael “A-Train” Alstott

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Difficile descrivere Michael Joseph Alstott. per tutti semplicemente Mike, per molti fan A-Train, Mr. 40.

Difficile perchè limitarsi a citare momenti della sua carriera e numeri sarebbe riduttivo, persino offensivo per un uomo come lui. Difficile per chi, come me, è stato un suo grande fan.

Partiamo dalla fine. 24 Gennaio 2008: Mike annuncia il suo ritiro alla stampa. Era già nell’aria, dopo due operazioni delicatissime al collo; ora è ufficiale: Mike Alstott finisce la sua carriera.
Viene presentato alla stampa da Bryan Glazer (vice presidente esecutivo), da Bruce Allen (G.M) e da Jon Gruden, suo allenatore nelle ultime 5 stagioni.
Disse Glazer: “Dal 1990 ad oggi, 7.325 atleti hanno giocato nella NFL. Di questi, solo 17 finora hanno giocato 10 anni o più e si sono ritirati con la stessa maglia. Il 18esimo è seduto ora affianco a me. E’ una straordinaria figura per uno straordinario uomo“.
Poi sale sul palchetto Mike. Lui non è mai stato un chiacchierone, non ha mai amato parlare tanto alla stampa. Uomo riservato ma non schivo, si trova in difficoltà. Ha portato con sè i suoi fogli, per non scordarsi di ringraziare qualcuno. Legge i fogli ma la voce trema, a più riprese si ferma. Ringraziando i fans che lo hanno sostenuto durante il primo infortunio al collo, quei fans che lo hanno sostenuto…..gli esce qualche lacrima. E vedere un omone come lui piangere è veramnete qualcosa fuori dal comune. Ringrazia la città, altra lacrima. Quella città a cui lui ha dato tanto, sia come sportman che come persona, con le fondazioni e gli aiuti agli ospedali.
Dopo il discorso frammentato da pause dovute all’emozione, le domande. Una mi colpisce: “Qual’è stato il momento più importante nella tua carriera?” “Molti mi ricorderanno per le vittorie contro Eagles, magari per il Td contro i Raiders nel SB. Certo, sono stati momenti importanti, non lo nego. Ma senza dubbio preferisco ricordare quei momenti che voi non potete conoscere: in allenamento, in ritiro, nel training camp, negli spogliatoi. Sono molto legato ai miei ragazzi, e forse è la cosa che mi mancherà di più. Mi hanno dato tanto dal punto di vista umano. E gliene sarò sempre grato“.

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Il giorno dopo essere saliti sul tetto del mondo Mike si trova al R.J Stadium, Tampa, a festeggiare la più dolce delle vittorie

Rende bene la descrizione di un uomo semplice, rimasto tale anche dopo la chiamata ricevuta da Tony Dungy, il quale lo avvisava che sarebbe stato scelto: 2 giro, 35esima scelta assoluta al draft del 1996. Destinazione: Tampa Bay Buccaneers. Inizio di un grande sogno. Il nostro. E la realizzazione del suo.
Lo aveva voluto fin da bambino, fin da quando giocava sia a baseball che a football, in quel della Joilet Catholic Accademy. Sognava di giocare nella NFL. E ci è ampiamente riuscito, non facendo la comparsa, bensì recitando un ruolo principale.
Uomo restato semplice anche dopo aver trasformato insieme ad altri (Brooks e Dungy su tutti) una franchigia da sempre snobbata in una squadra da playoffs. Ed A-train è restato un simple man anche dopo aver portato Tampa Bay alle stelle, al SB XXXVIII vinto e stravinto contro i Raiders.
Cioè dopo aver trasformato una squadra di perdenti, di incapaci (ci chiamavano gli Yuccaneers), la barzelletta del Football, in una squadra che ora fa parte della storia che conta, quella degli anelli.
Uomo onesto: non ha mai rinunciato ad assumersi le sue responsabilità. Anzi, pur di mettere tutti d’accordo a volte si è caricato pure colpe non sue. Così come in partita si caricava spesso l’intero attacco sulle spalle.
Uomo fedele: oltre che alla moglie Nicole, da chi ha avuto 2 figlie (Hannah e Lexie), fedele alla franchigia. Ha accettato riduzioni importanti di ingaggi, ha accettato di restare ancora ai Buccaneers nel 2002, ben sapendo che con l’arrivo di Gruden il suo impiego sarebbe sensibilmente diminuito. Infatti, in questo secondo periodo della sua carriera venne utilizzato spesso in situazioni di 3° e corto, e in situazioni di goal line all’interno della red-zone. Accettò tutto questo per la squadra, per quella squadra che lo aveva portato a realizzare il suo sogno, che gli aveva dato fiducia, che lo aveva pazientemente ed affettuosamente aspettato durante gli infortuni.
Per i tifosi, che gli vogliono un bene immenso, come ad un fratello. E in questi periodi di free-agency, di hold-out incredibilmente lunghi, di primedonne che richiedono ingaggi faraonici e abusano dei media per acquistare visibilità, uno come Mike è difficile da trovare.

Prodotto dell’università di Purdue, si allenava trascinando e spingendo la Jeep nel parcheggio del campetto. Ha portato la sua squadra a vincere col record di 14-0 il campionato statale. Ovviamente detiene tutti i record di corsa del suo college ed è stato l’unico giocatore di Purdue a correre più di 2.500 yards ed a riceverne più di 1.000, il che la dice lunga sulla sua versatilità.
Le stats su di lui dicono questo: 1359 portate per un totale di 5088 yards. Ma, forse più sorprendente per un fullback, 305 ricezioni per 2284 yards.

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Una volta draftato, diventa un uomo fondamentale per la ricostruzione dei Buccaneers, dopo il passaggio di proprietà ai Glazers. All’inizio fa coppia con Warrick Dunn, altro RB mai dimenticato in quel di Tampa. E fa scintille, mettendosi subito in mostra. I Bucs, anche grazie all’aiuto di Dungy ed a delle scelte del draft molto ben ponderate, fanno tappa regolarmente ai play-offs. Tutto sembra andare per il verso giusto. Manca però il cosiddetto “salto di qualità” della squadra. Il problema maggiore si registra in cabina di regia. Il ruolo resta scoperto. Al cambio di allenatore, Dungy emigra ad Indianapolis alla corte dei Colts, e subentra un giovane coach strapagato dai Glazers per portarlo via dai Raiders, Jon Gruden. Di filosofia attaccante, gioca in modo diverso rispetto a Dungy, e ben presto si capisce che il periodo d’oro di Alstott è finito. Ora lo aspetta il ruolo di comprimario. Lui va personalmente da Gruden, chiedendo quale sia il suo destino e quest’ultimo risponde che c’è ancora spazio per A-train. Arriva quel SB in cui lui ha addirittura l’onore di segnare per primo, impresa negata a tanti, tra i quali ricordo un immenso RB: Walter Payton. Vinto il SB, inizia la discesa. Gioca meno, ma il suo contributo alla causa comune della squadra è comunque inestimabile. Prima ha come compagno di reparto Pittman, poi si drafta il giovane ma fragile Carnell “Cadillac” Williams. Lui continua imperterrito a fare il suo dovere fino al 2006, quando un primo infortunio al collo lo mette sulla injured reserved list. La prima volta che termina la stagione in anticipo. Durante la conferenza stampa, si dispiace per la squadra e promette di tornare al più presto. Poi il secondo infortunio, un periodo di riflessione con la moglie, la famiglia e tutte le persone a lui vicine. Poi la decisione. Il motivo: “Mentalmente sarei tranquillamente dei vostri, ma fisicamente non posso. Ed è la cosa che mi fa più male“.

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A-Train in maglia bianco-arancio

Io lo ricordo, come giocatore, per la sua enorme vesatilità. Gli ho visto fare di tutto: bloccare efficacemente linemen, ricevere tutto ciò che il suo corpo enorme gli permetteva, correre in mezzo a guardie, tackles, in pitch. E ho visto tanti linebackers e cornerbacks tramortiti dalla sua corsa. Perchè Alstott, fondamentalmente, era un RB che correva di potenza. Potenza pura. Ma era tutt’altro che lento, anzi. Seppur non agile nei cambi di direzione (e vorrei vedere voi a correre con circa 110 chili), in condizioni di campo aperto mostrava una più che discreta velocità.

E’ stato e resterà sempre uno dei giocatori più amati dai tifosi dei Buccaneers. Forse, azzardo, il più amato. Persino più di Derrick Brooks.
La particolarità che rendeva Mr. 40 molto popolare era che tante persone si identificavano in lui. Gran lavoratore, uomo onesto, ha conquistato ogni yarda col sudore e lacrime.
E’ l’immagine di un sogno diventato realtà.
Per questo è come un eroe, come un personaggio delle favole, e molti cercano di identificarsi con lui. Questo in parte spiega il suo rapporto speciale coi tifosi, a cui ha dato tanto dentro e fuori dal campo. Ti ricorderemo con affetto, Michael Joseph Alstott, nato il 21 Dicembre del 1973 a Joilet, Illinois.
Grazie Mike. Ci mancherai davvero.

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Il minicamp ideato da Michael, testimonianza del suo interessamento per la comunità.