Benvenuti nell’Arena

La prima volta che ho visto in Rete qualche occasionale immagine di Arena Football League ho pensato, con un sorrisetto sarcastico: “Hey, e dove sono i trampolini?”. Quando ho potuto assistere ad una partita intera, però, quel sorrisetto è svanito ed è stato sostituito da un’espressione mista di curiosità e sorpresa. In effetti mi sono presto reso conto che quanto stavo vedendo non aveva nulla a che spartire con quegli sport-spettacolo prettamente televisivi spuntati come funghi negli ultimi anni. Ho scoperto palazzetti gremiti, giocatori con eccezionali doti tecnico-atletiche e, soprattutto, una grande serietà di fondo nell’approccio al gioco. Il tutto, arricchito da una copertura televisiva che la maggior parte degli sport si sogna, mi ha subito colpito. E parecchio. Devo confessare che il pensiero “Ok, però sarà la solita americanata…” mi è balenato in qualche remoto angolo del cervello, ma non gli ho mai dato la possibilità di materializzarsi perché, più concretamente, ho subito contro-pensato: “Beh, per la stragrande maggioranza della popolazione italiana, lo stesso football NFL è la solita americanata…”. Conoscendo ed amando alla follia il football NFL (per me il più grande spettacolo sportivo del mondo, punto) ho cercato di non fare lo stesso errore pregiudiziale che fanno gli occasionali telespettatori nostrani. E’ così che ho imparato a rispettare la AFL. Ed è così, partita dopo partita, che ho imparato ad amarla.

La storia dell’Arena Football League comincia nei primi anni ’80, quelli del grande sviluppo della televisione e degli sport da essa trasmessi, come imitazione di un’altra disciplina. Che, strano ma vero, non è il football. L’11 Febbraio 1981 il suo ideatore Jim Foster, executive di NFL prima e USFL poi, ebbe l’idea di questo nuovo sport assistendo, al Madison Square Garden di New York, all’All-Star Game del campionato MISL (Major Indoor Soccer League), una variante indoor del calcio “con le sponde” giocata nei palazzetti polifunzionali del basket e dell’hockey. Foster ebbe l’illuminazione di adattare a quel contesto così elasticamente personalizzabile anche il suo amato football, cosa peraltro più facile da dirsi che da farsi. Seduto in tribuna abbozzò qualche disegno e scrisse qualche appunto, ma l’idea era ancora embrionale ed i tempi ancora non maturi per poterla sviluppare. Però, credendo moltissimo nella validità della sua intuizione, negli anni successivi Foster affinò e perfezionò questo progetto tanto da arrivare, nel 1986, a far disputare una serie di partite d’esibizione. Fu un piccolo-grande successo, tanto che già l’anno successivo partì la prima, storica stagione di AFL, con sole quattro squadre a contendersi il primo ArenaBowl. Dopo più di un decennio di basso profilo (piccole città, piccoli numeri, piccolo business e piccola, piccolissima esposizione mediatica) nel Nuovo Millennio la Lega ha finalmente svoltato. Grazie anche alla favola che ha trasformato uno dei tanti sconosciuti “ranocchi” dell’AFL, Kurt Warner, nel Principe Azzurro del Superbowl, una di quelle storie che non possono non trafiggere il grande cuore della Grande America, l’Arena Football League ha rapidamente scalato le classifiche di gradimento degli sportivi e, soprattutto, si è proposta come adeguato supplemento primaverile alla stagione corta tipica del football ad ogni livello. L’ingresso di ESPN nella struttura azionaria della Lega ha dato l’ultimo, decisivo impulso al suo sviluppo. I numeri parlano chiaro: le grandi squadre ora risiedono nelle grandi città, molti giocatori hanno trascorsi più o meno prestigiosi in NFL o sono in procinto di tentare il grande salto, i palazzetti sono gremiti (folle di 18000 persone in diverse arene e una media quest’anno superiore alle 14000 presenze non possono certo essere un caso) ed il Monday Night viene trasmesso in diretta nazionale. Per non parlare di una copertura dei Playoff degna di campionati ben più prestigiosi e culminante nella diretta dell’ArenaBowl da parte della ABC. O ancora della trasmissione di circa venticinque partite a stagione in Europa, metà delle quali in diretta, su Eurosport. Insomma, un campionato in piena espansione e sempre più popolare.

A differenza di quanto si potrebbe pensare, però, il grande successo di questo sport non trae origine dalle sue evidenti affinità con il football, bensì dalle ancor più evidenti discordanze. Sebbene chi vi si avvicina lo faccia principalmente perché già appassionato di football, è lampante che un semplice paragone NFL-AFL sarebbe quantomeno mortificante per la giovane Lega indoor. La quale, infatti, ha da sempre cercato una propria identità nella differenziazione. Inizialmente, soprattutto con la ferrea regola che impediva le libere sostituzioni e obbligava quasi tutti gli atleti a rimanere sempre in campo (i cosiddetti “Ironman”). Poi, una volta lasciato il giusto via libera agli specialisti, con lo sviluppo di uno stile di gioco particolarmente contestualizzato. La prima cosa che balza all’occhio guardando un campo di AFL, a parte le dimensioni ridotte (50×28 yards) e le balaustre di stampo hockeystico, sono le grandi strutture metalliche che sorreggono quattro enormi reti lungo i due lati corti del perimetro. Nate come protezione per gli spettatori seduti dietro alle endzone, queste reti sono diventate da subito parte integrante del gioco e sua peculiare caratteristica (tanto che il gioco stesso è stato coperto da brevetto fino al 2007). Quando la palla rimbalza contro queste reti, sia che si tratti di un’azione di passaggio che di una di calcio, essa rimane viva dando così origine a situazioni inedite ed imprevedibili. Imprevedibili, sì, per gli spettatori… ma non certo per allenatori e giocatori che, anzi, cercano intenzionalmente queste situazioni al fine di trarne vantaggi impensabili nel football outdoor. Inoltre, l’affollamento provocato da otto giocatori per squadra in un campo di dimensioni così ridotte rende la velocità di esecuzione dei giochi preponderante rispetto alla complessità degli stessi. E allora via libera ad azioni più simili agli alley-oop del basket, all’apertura laterale del rugby, agli scontri alla balaustra dell’hockey e ad altre situazioni col tempo divenute peculiari di questo sport. Strada sbarrata, invece, per i tipici, complicatissimi e spesso macchinosi schemi del football tradizionale. E meno attenzione allo stile, soprattutto da parte dei quarterback. I quali difficilmente possono permettersi un comodo drop-back ed un rilascio ragionato del pallone, dovendo principalmente preoccuparsi di liberarsi prima possibile dello stesso. Per gli stessi motivi, il gioco sulle corse è particolarmente sacrificato. Tanti giocatori in così poco spazio rendono molto più vantaggioso il ricorso al gioco di passaggio, aumentando contestualmente l’immediata spettacolarità delle partite. Anche perché da un punto di vista difensivo il gioco è disciplinato da ferree regole che poco hanno a che vedere con quelle del football. La necessità di evitare che le partite si trasformassero in succedanei delle royal rumble tipiche del Wrestling e la volontà di avere partite spettacolari e punteggi alti (molto amati, come si sa, dagli americani) hanno portato ad impedire, da un lato, l’utilizzo selvaggio dei blitz e, dall’altro, il ricorso ai difensive back aggiuntivi. In soldoni: obbligo di tre uomini di linea, obbligo di due linebacker (di cui uno solo libero di effettuare blitz) e conseguente limitazione a tre difensive back. Tutto questo si traduce in un gioco veloce, quasi frenetico, ed assolutamente imprevedibile. Ed in un grande, grandissimo divertimento per chi assiste alle partite sia nei palazzetti che davanti alla TV.

Fin qui, le basi. Ma per capire bene che cos’è l’Arena Football League il mio consiglio è di guardare qualche partita sforzandosi di volerne cogliere gli aspetti peculiari e, soprattutto, senza effettuare paragoni qualitativi (peraltro abbastanza assurdi, essendo due sport diversi) con l’inimitabile football NFL.
Il tutto, possibilmente, senza sorrisetto sarcastico stampato sul volto…