Scout On the Road: Boston College.

Mancavano pochi minuti all’alba quando mi svegliai. Feci una rapida colazione, ripiegai le lenzuola del letto, afferrai borsone e chiavi e così uscii.
Azionai la mia Chevrolet Aveo, parcheggiata di fronte casa e partii. Pochi minuti dal mio risveglio e già stavo in auto con la radio sintonizzata su MRC, Maine Radio Country. La stazione radio trasmetteva della musica folk, ma per fortuna durò poco e fui salvato dal notiziario mattutino. Una voce squillante diede inizio alla giornata con il solito saluto hollywoodiano: Good morning Maaaiinne!

Era la tipica giornata primaverile e stavo abbandonando tranquillamente il Maine. La mia testa era zeppa di “sogni” e soprattutto ero molto curioso sui vari college che avrei visitato da lì a poche ore.
Erano passate circa tre ore dalla partenza. Ero in una piccola strada che terminava nel Vermont, illuminata dal tipico sole pallido di Marzo. La usavo come scorciatoia per arrivare nel New Hampshire.
“La terra di nessuno”. E’ così che chiamano il Vermont. E nonostante penso più volte alla vera ragione per la quale milioni di statunitensi si convincono ad usare quel soprannome, non la considero mai valida, se non, talvolta, stupida e banale.

In poche ore attraversai due spicchi di stati federali, complici l’ assenza di traffico ed uno strano zelo, che mi riservai prima di partire nel segnarmi accuratamente tutte le routes che avrei dovuto percorrere. Erano appena le otto e mi fermai per una breve sosta. Da poche miglia ero entrato nel New Hampshire. Impiegai circa 3 ore da Naples (Maine) al New Hampshire. Versai qualche litro di benzina nella Chevy e approfittai per fare un assaggio della torta di mele, che era messa in mostra dal negozietto vicino al self-service. La torta era buonissima.

Il mio obiettivo era di arrivare a Grafton (NH). Così fu. Vi giunsi dopo una mezz’oretta. Mentre guidavo, osservavo gli interminabili campi di cereali circondati dalle stupende catene montuose, con le cime ancora un po’ innevate, campi costellati da numerosi allevamenti di bovini. Rimasi scioccato. Contemporaneamente, per ogni miglio fu impossibile non imbattermi in una targa commemorativa che facesse riferimento alla storia dello stato. “Colonia inglese, fu annessa agli USA nel 1788… bla… bla”. Sembrava davvero che quello Stato facesse parte dell’UK, non sentivo ancora quel calore americano.

Finalmente mi diressi verso la New Hampshire Mascoma High School (Mascoma HS, NH 03741) . E’ la solita e banale scuola privata, dalla quale vedi uscire ragazzi ben vestiti, ben pettinati, ben muscolosi e con ragazze al seguito etc… quell’ambiente mi diede subito una brutta impressione, eppure ne avevo viste di high school.
In primo luogo, ad alimentare questo disgusto fu il tragitto. La scuola si trovava tra la parte montuosa della città, nei pressi di una strada che porta ad un parco federale sulle White Mountains, e la valle del New Hampshire. Lì avevo un appuntamento con il mio vecchio amico Jeff Colter. Era diretto nel New Jersey. Gli davo uno strappo per qualche chilometro.

Parcheggiai l’auto poco prima dell’edificio scolastico, vicino al parcheggio riservato agli alunni, così come d’accordo con Jeff. Sperando di non dare nell’occhio, mi calai subito nella parte. Incominciai ad osservare gli allenamenti di una manciata di ragazzi, che in particolare si dedicavano a corse ed esercizi atletici. In effetti, la stagione del football finiva verso dicembre, ed era ormai tempo per un’adeguata preparazione in vista dell’impegno al college e quindi nella NCAA. Inoltre, quell’istituto non eccelleva di certo nel football.
Il New Hampshire non eccelle nel football in generale.

Non erano molto “dotati” tecnicamente. Vidi qualche pallone lancicchiato qua e là. Quasi nessuno raggiungeva i 6-3. Tuttavia, alcuni alzavano pesi, che alla loro età me li sognavo (ho amato lo sport sempre dalla poltrona), in compenso però posso dire che ero più alto. Dopo una decina di minuti fermai un ragazzo che stava entrando in campo. Gli domandai, con il mio inglese mediocre, se avesse visto un tipo sui 30 anni, atletico, con cappellino e alto circa 6 piedi, ma la sua risposta fu un WTF, molto probabilmente suggerita da una comprensione non proprio totale della mia domanda.
Ancora oggi amo pensare che quell’acronimo, tanto usato nello slang giovanile, significasse what the fat, riferendosi al suo Atlethic Coach, che è un bisonte sui 200 kg.

Jeff comparve subito dopo, mi tranquillizzò svelando che i ragazzi dei paesini come quelli del Maryland, New Hampshire, Connecticut erano piuttosto permalosi, e non avrei trovato questo tipo di clima nel resto degli States. Jeff montò sulla macchina e propose di guidare per un centinaio di chilometri, permettendomi di riposare un pò. Ci dirigemmo verso Boston. Era arrivato il momento di visitare il primo vero college della tappa: Boston College.

Jeff superava spesso i limiti di velocità, che variavano a distanza di poche miglia, e azzardava sorpassi piuttosto pericolosi, ma non lo rimproverai, perché in fondo anch’io ardevo d’arrivare in quell’università, definita da molti come un’élite della costa est.

Arrivammo al campus verso le undici e mezza. Trovammo un po’ di traffico nel prendere la I-93 S verso Plymouth/Concord, una lunga interstatale che permetteva un ingresso comodo nel Massachussets. Quando uscimmo dalla 93 e svoltammo verso la College Road, che incrocia la Mount Alvernia Road, incontrammo immediatamente ragazzi con le famose felpe collegiali con la scritta: BC-Boston College. Si notava subito che il colore simbolo dell’Università è il rosso. Jeff parcheggiò in uno spazio adiacente all’istituto, in quanto l’ingresso era vietato agli “estranei” ed era ben vigilato. Entrambi possedevamo il pass dei talent scout, ma preferimmo non attirare l’attenzione degli studenti e quindi non li utilizzammo per entrare con l’auto.
Gli spazi verdi non mancavano nelle vicinanze e forse, a memoria d’uomo, non avevo mai visto un college negli USA con tanto verde. Dappertutto c’erano gazebo con la foto di Matt Ryan, uno dei migliori QB prospect, ormai proiettato verso il mondo dei professionisti.

Boston College non ha mai avuto grandi giocatori. Spesso università tipo LSU, UCLA, Notre Dame hanno una certa puntualità nello sfornare “campioni”, mentre il college Gesuita di Boston si fa un pò attendere nel mostrare dei veri prospetti.

Webcam Live sul Lower Live Dining Hall, frequentatissima struttura del college

In quei giorni, il campus era in fermento per vari motivi, oltre al famoso March Madness. In primis politici. Qualche giorno prima il governatore del Massachusetts, Deval Patrick, aveva tenuto un simposio a favore di Obama. Non a caso i due erano amici intimi. In secondo luogo, il motivo era sportivo. Matt Ryan si stava facendo largo saggiamente tra i pro, ed anche se non era considerato come uno dei migliori prospetti della classe 2008, brillava comunque nel reparto dei quarterbacks.

Avevo visto Matt giocare qualche anno prima, nel suo primo anno da starter, più o meno nel 2004, sul campo di Boston. La classe non c’era del tutto, a causa dell’incompetenza dell’head coach di Boston, che gli ordinava alcuni scramble da suicidio. Infatti, la sua pecca era proprio la velocità. Un pò lento. Tuttavia, Ryan era dotato di una grande visione di gioco e precisione, forse doveva migliorare la potenza, spesso sul profondo si faceva intercettare.

Della classe senior non vedemmo altri prospetti interessanti, mentre tra i nuovi arrivati ne notammo uno in particolare. Si chiamava Kaleb Ramsey, e giocava come DE.

Nel primo pomeriggio, dopo aver pranzato in un fast-food vicino al college, fummo ricevuti dal responsabile dell’organizzazione sportiva del college, Jack McMullen, che riconobbe immediatamente Jeff.
Ci fece alloggiare in una camera del coaching staff, sempre pronta per gli scout in visita a Boston. Ci chiese pareri sul loro nuovo reclutamento, in particolare sul RB Josh Haden. Immediatamente cercammo di correggerlo. Josh era un buon running-back, ma aveva molte pecche. Per esempio, era molto leggero ed era alto circa 5-8, causa principale di molti fumble. Tuttavia era molto bravo nei cambi di direzione e possedeva una buona accelerazione in campo aperto. Jeff annuì e facemmo il nome di Ramsey. Lui si che era un buon giocatore difensivo. Ci complimentammo per la scelta. Al liceo aveva giocato come QB e TE, ma solo nell’ultimo anno aveva incantato come defensive end. Jeff confermò che si era trattato di un vero azzardo, ma era sicuro che Kaleb avrebbe dimostrato quanto valeva. Inoltre, aggiunse che il ragazzo in passato aveva avuto qualche problema fisico, giocare in tre ruoli non è mai facile, ed ora lo staff medico lo stava rimettendo in sesto. Jack ci fece capire che avevano puntato molto su di lui.

Jack ci congedò nella nostra camera, dopo aver fatto gli onori di casa con un mini tour nel college.

Nel pomeriggio non ci spostammo dal campus. Incontrammo vari membri del coaching staff e tutti erano molto riservati sulla stagione successiva, ma quando si parlava dei prospetti ecco che non la finivano più. Tutti furono molto gentili. Mi fecero restare nella sala dello staff. Una camera arredata con mobili antichi e con quadri che ritraevano i migliori giocatori della storia passati da Boston College.

Mentre scrivevo il mio pezzo da scout per l’agenzia, mi davo uno sguardo intorno e pensavo a quanta storia avesse il college bostoniano. Così, improvvisamente, balzò fuori l’Head Coach Jeff Jagodzinski , dal 2007 a Boston. Mi domandò se la sala Hall of Fame mi aveva impressionato. Non ebbi il tempo di ripondere che incominciò con la sua parlantina.

Mi lesse una targa argentata: Boston College’s three most famous football victories came on the final play of the game. On the day after Thanksgiving, November 23, 1984, before a national audience on CBS, Doug Flutie became a legend when his 48 yard Hail Mary found its way into the arms of Gerard Phelan for a 47-45 victory over Miami in the Orange Bowl. This was also the year Flutie won the Heisman, making it the only ever for the Eagles. (called Flutie effect.).

Quel trafiletto l’avevo letto anche altre volte, ma feci finta d’essere sorpreso, così spostai l’argomento sul tema dei prospetti. Volevo sapere di più sull’anno a venire di Boston College. Jeff J. non era molto contento dei seniors rimasti. Il suo maggiore timore era quello di un anno sottotono. Anno che capita a qualsiasi college, che vede il suo giocatore eletto ad icona del draft NFL.
Mi parlò del loro nuovo reclutamento: Kaleb Ramsey. Da buon coach e forse da buon giocatore di poker non accennò assolutamente ai problemi fisici del ragazzo. Sapeva benissimo che che se una voce del genere fosse stata pompata dai media, la carriera di Ramsey avrebbe potuto finire sul nascere. Tuttavia era meglio dichiarare che aveva avuto solo un paio di infortunii, rimanendo sul generico.

La sera non ci fu un gran movimento, eccetto le solite feste universitarie.

La mattina dopo avevo in programma la visita in un qualche liceo, ma poi cambiai itinerario. Lo Stato del Massachusetts, oltre a Ryan ed al giovanissimo Kaleb Ramsey, non aveva più nulla da offrirci.
Così rimasi ancora un pò in giro per il college, assistendo ad alcuni allenamenti dei ragazzi sia del football che del basket.

Niente di particolare, ma non potei infrangere la regola fondamentale per uno scout: non andartene se prima non hai selezionato un giocatore che ti costringe a ritornare. Così mi misi l’anima in pace e osservai attentamente il roster del team dei Boston Eagles per l’anno successivo. C’erano ben nove senior contradistinti con il famoso asterisco. Cercai di delineare un quadro per l’anno seguente, ma non trovai nessuno in particolare, eccetto un LB, un certo Brian Toal. Chiesi informazioni a riguardo, ma nessuno seppe darmi una risposta completa.
I roster erano ancora dimezzati ed ora la cosa più importante era analizzare i ragazzi provenienti dalle HS.

Brian era un senior e nessuno sapeva se avrebbe continuato oppure no. Così cercai un video nell’archivio dell’agenzia. Ne trovai solo uno. Era piuttosto bravo, aveva classe, ma di certo l’idea di vederlo in una futura lega pro, con tutti gli infortuni che ha subito, non mi convinceva. Si comprendeva immediatamente che, molto probabilmente, la sua carriera non sarebbe stata nella NFL.

Così rilessi nuovamente la lista e scovai un buon sophomore. Il suo nome era Brendan Deska, e giocava come DE. Nell’archivio trovai solo alcune stats dei tempi del liceo e di alcune partite giocate con Boston, oltre ad un breve filmato. Mi convinse subito. Era giovane e possedeva una spiccata agilità nell’aggirare la o-line. Anche le sue dimensioni erano buone: 6-5 per 230 lbs ed infine un bel 4.6 secondi sulle 40 yards.
Decisi che lui sarebbe stato il mio player da tenere d’occhio. Lo flaggai sul mio taccuino e decisi che la prossima volta sarei dovuto ritornare a Boston per vedere i suoi miglioramenti.

Ma cosa sarebbe stato dei Boston Eagles? Con l’addio di giocatori importanti come Ryan, Silva, Tribble, Dunbar e Cherilus il team di Jeff J. si trovava con diverse lacune, sia in difesa che in attacco.
Matt Ryan aveva lasciato il suo posto ad un motivatissimo Chris CanE, quarterback 22enne che aveva davanti forse l’ultima possibilità di mettersi in mostra.
In difesa, la partenza dell’ottima FS Jamie Silva aveva lasciato Boston senza una saftey in grado di difendere in maniera ottimale nella secondaria e forse l’unica speranza poteva essere Paul Anderson , safety junior, che aveva già attirato l’attenzione di molti analisti.

Trascorremmo la giornata parlando solo di football con Jeff J. Una gran bella tappa.

Partimmo la mattina seguente verso NY.

Routes->
Naples (Maine)- NH Mascoma HS (New Hampshire)- Boston College (Massachusetts) = 242miglia in 5h 45min