Deion Sanders

Nessun giocatore nella storia della NFL ha polarizzato l’attenzione sia dei fans che dei media come Deion Sanders, un personaggio dinnanzi al quale è difficile restare indifferenti. Metteva d’accordo presidenti e proprietari: TUTTI avrebbero fatto carte false per avere il ragazzo della Florida. I numeri parlano da sé, anche se è ingiusto definirlo solo grazie alle statistiche.

Per alcuni un’icona, un mito irraggiungibile che faceva sembrare normale l’impossibile. Per altri un giocatore sopravvalutato, un buffone, innamorato dei soldi più di quanto non lo fosse del gioco. La verità? Simpatizzando per “Neion” Deion (soprannome datogli per la capacità di stare sempre sotto i riflettori, illuminando la scena in continuazione) sono chiaramente di parte. Ma come non citare, oltre che al genio di questo ragazzo, anche la sregolatezza? Imbattendomi in un ritratto di un personaggio molto complesso, cercherò di sottolineare il lato attinente al football e a Deion come persona, lasciando in secondo piano gli aspetti numerici e scandalistici di questo fenomenale atleta.

Deion Luwynn Sanders nasce il 9 Agosto del 1967 a Fort Myers, Florida. Il ragazzo inizia a mostrare fino dalla high-scool segni della sua futura grandezza e completezza: nella Fort Myers High Scools, gioca a football, baseball e basketball. Una volta arrivato alla Florida State Seminoles, lascia il basket per l’atletica, disciplina dove eccelleva grazie alla sua abbagliante velocità. Nel suo primo anno di università, gioca nelle secondarie dei Seminoles, guida la squadra di baseball sino al quinto posto in tutta la nazione e con la squadra di atletica vince il titolo di conference. A Florida State diventa tre volte All-American. Vince il Jim Thorpe Award nell’88 ed è ancora ricordato come uno dei migliori CBs a livello di college.
Divide la passione per il football con quella per il baseball. Deion, essendo un vero fenomeno, di fronte al dubbio amletico “baseball o football?” che ha afflitto tanti giocatori (tra i quali un certo John Elway) risponde: “entrambi”. Perchè no? Quando l’owner dei Cowboys gli chiese: “Allora, Deion… quanti ne vuoi? 15? 20?“, lui rispose: “Entrambi“. Così Deion Sanders diventò il difensore più pagato della storia.

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Ma facciamo un passo indietro: nel 1989 inizia anche la sua carriera da professionista di baseball e, nello stesso anno, viene draftato dagli Atlanta Falcons come quinta scelta assoluta. E’ un predestinato: riporta in end-zone il primo kick-off che gli arriva in mano. In questo periodo Prime Time si mette in mostra come uno dei giocatori più completi ad aver mai calcato il palcoscenico della NFL. Nei suoi 5 anni coi Falcons, riesce a segnare in ogni modo possibile: tre volte su giocate difensive, tre su kick return, due su ritorni di punt, e due su ricezione.

Passa successivamente ai San Francisco 49ers dove gioca una delle sue migliori stagioni, con 6 intercetti di cui la metà riportati in TD. Il 16 Ottobre 1994, torna per la prima volta al Georgia Dome con la maglia di San Francisco. Dopo aver litigato con un suo ex compagno di squadra, Andre Rison, Sanders intercetta e riporta per 93 yds un passaggio, lasciando tutta la sideline dei Falcons attonita eseguendo il suo famoso high-steppin’ verso la red-zone. Sarà votato NFL Defensive Player of the Year e giocherà un ruolo fondamentale nel SB XXIX, una vittoria contro i San Diego Chargers. Dopo questa stratosferica stagione, Jerry Rice e Neion Deion entrano in rotta di collisione. Due personalità molto forti, ma anche molto differenti. Rice odia il fatto che i media abbiano attribuito a Sanders gran parte dei meriti per la vittoria del titolo, ritenendolo ingiusto verso gli altri ragazzi. Così Sanders, sentondosi poco apprezzato dai 49ers, decide di levare le tende.

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Sanders con la maglia dei 49ers

Numerosi team lo corteggiano, tra i quali i Philadelphia Eagles, gli Oakland Raiders, i Miami Dolphins, e i Dallas Cowboys, avendo questi ultimi perso il loro CB titolare, Kevin Smith, per tutta la stagione.
Il 9 Settembre 1995, passa proprio ai Cowboys, una delle franchigie più amate in quegli anni, diventando parte di quella che è ricordata come la squadra degli anni ’90, come i 49ers lo erano stati degli ’80. Sanders firma il contratto più grosso mai concesso, fino ad all’ora, a un defensive player: 7 anni per $35 milioni con un signing bonus di $12.99. Perchè 12.99? Perché, come si seppe più tardi, il proprietario dei Cowboys, Jones, non volle portare la cifra a 13 per scaramanzia.
Al Davis, padre padrone indiscusso dei Raiders, aveva offerto a PrimeTime più soldi, ma quest’ultimo declinò l’offerta in favore dei Cowboys. A far pendere verso la franchigia texana la decisione fu soprattutto l’amicizia maturata con Michael Irvin, mitico membro di “The Triplet”.
Inoltre, avrebbe avuto più possibilità di giocare anche in attacco, e una grandissima chance per vincere il Super Bowl back-to-back con due squadre diverse.
Un infortunio al ginocchio lo tiene fermo fino alla nona settimana, e debutta proprio contro quegli Atlanta Falcons che lo portarono al successo.
Alla fine corona il suo sogno del back-to-back, aiutando l’America’s Team ad alzare il terzo Vince Lombardi Trophy in 4 anni, risultato della vittoria contro i Pittsburgh Steelers nel XXX Super Bowl.
Sanders gioca altre 4 stagioni con i ‘Boys, collezionando altrettante partecipazioni al Pro-Bowl, e ai Play-Offs, pur vincendo solo una partita del primo turno (nel 1996 contro i Minnessota Vikings).

Dopo 5 stagioni piene di soddisfazioni personali passate a Dallas, si accasa ai Washington Redskins, dove il nuovo presidente Daniel Snyder allestisce una squadra attorno a Sanders e ad altri free-agents pagati profumatamente come Mark Carrier e Bruce Smith. Sanders resta una sola stagione nella Capitale, collezionando 4 intercetti prima del ritiro nel 2001.

Convinto a tornare dall’allora CB dei Ravens Corey Fuller e dal capitano Ray Lewis, Neion Deion annuncia di voler tornare a giocare e firma un contratto di un anno per $1.5 milioni con i Baltimore Ravens, col ruolo non di CB titolare, ma di “semplice” nickelback.
Sanders per la prima volta indossa un numero diverso dal suo amato # 21, che lo aveva reso tanto famoso, numero già sulle spalle del CB titolare, Chris McAlister.
Indossa il 37 a indicare la sua età, considerevole per un giocatore di football, tra l’altro tornato dopo 3 anni di inattività.
Il 24 Ottobre mette a segno il suo nono intercetto riportato in meta, finendo, nella relativa classifica, al secondo posto di tutti i tempi, dietro solo ad un certo Rod Woodson, primo con 12.

Il ritiro ufficiale avviene solo nel gennaio 2006 e inizia la sua carriera di analista per NFL Network. Dapprima fa le sue comparse come opinionista in una piccola rubrica, poi diventa a tutti gli effetti un pilastro della rete totalmente dedicata all’incredibile mondo della NFL.

Del Sanders giocatore si possono dire tante cose: attirava l’attenzione, era talmente temuto dagli attacchi che faceva sparire dal campo il ricevitore a cui era assegnato: nessuno osava lanciargli contro.
Il suo proverbiale istinto da play-maker ne fece uno dei cornerbacks migliori della lega. Dotato di grandissima velocità, aveva, forse, uno dei suoi punti deboli nei tackles.
La velocità che lo contraddistinse anche nel baseball. Dopo qualche stagione incolore nei New York Yankees, dove si fece notare molto di più come rubatore di basi che come battitore (la sua media era inferiore a .200, per chi non lo sapesse, qualcosa da minor league), passò agli Atlanta Braves e nel 1992 arrivò alle World Series, battendo con .533 con 4 corse, 8 hits, 2 doppie, e 1 RBI, giocando il tutto con un osso rotto del piede. Nonostante tali performance, i suoi Braves vennero sconfitti dai Toronto Blue Jays in sei partite.

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Con la maglia degli Atlanta Braves

E’ stato l’unico giocatore a giocare sia nelle World Series che nel Super Bowl, l’unico a battere un home-run e a segnare un TD nella stessa settimana, l’unico a comparire in due giorni consecutivi sia sul campo di football che titolare coi Braves.
Avrebbe potuto persino giocare due partite diverse nello stesso giorno, se non fosse stato per il manager dei Braves, il quale non gradì che Sanders avesse giocato a football qualche ora prima (nel primo pomeriggio), e lo lasciò nel dug-out per tutta la partita notturna, tra l’altro persa.
L’unico, oltre a Bill Dudley, a segnare in 6 diversi modi: su corsa, ricezione, intercetto, punt return, kick return, fumble return.
L’unico, oltre a Chuck Bednarik, a giocare sia in attacco che in difesa, grazie in parte ad una sospensione che tenne lontano Irvin dai campi per 5 giornate.

L’uomo: difficile sintetizzare in poco tempo la personalità di questo fenomeno. Tanti soprannomi gli sono stati dati: Prime-Time, Neion-Deion, Sanders-Claus (per uno spot della Nike). Estroverso, socievole e particolarmente propenso a mettersi in mostra con la gente. Tranquillo, schivo e problematico lontano dai riflettori. Iniziò a chiamarsi Prime-Time ai tempi della high-school e nel tempo emerse sempre di più il lato eccentrico, quello che attirava le telecamere. Disse di lui Daryl Johnston, FB di Dallas: “se pensate che quello che vedete sia il vero Deion… in realtà non è sempre così. E’ anche un ragazzo tranquillo, buon amico e compagno di squadra.” Harris Barton, T dei 49ers: “Sa vendersi benissimo, è un ottimo giocatore, ottimo atleta e compagno di squadra… è tutto questo. Uno che è di compagnia.”
Altro aspetto che difficilmente risulta dalle stats: scherzava sempre e amava beccare gli avversari prima dello snap, durante il riscaldamento. Ma in quegli attimi precedenti lo snap, diventava un altro uomo. Lo sguardo, fisso, concentrato solo sul suo obiettivo, cancellare dal campo il WR di turno. Come dire: “ok, a parlare sono buoni tutti. Ora vi faccio vedere che questo è il MIO gioco, e ora si gioca a MODO MIO.” Tanto per usare una tipica espressione americana: he coud talk the talk AND walk the walk. Tradotto: sapeva SIA parlare SIA fare i fatti. Rivelava in quei secondi, in quegli attimi come una doppia identità…. una sorta di alter-ego al Deion istrione, una specie di “io” concentrato sulla partita, arrabbiato e un pò malinconico allo stesso tempo, malinconico perché cosciente del dover per forza dimostrare coi fatti la sua grandezza in modo da poi poter poi ricevere “attenzioni” e rispetto sia come giocatore che come persona, come UOMO.
Tuttavia non si possono tacere gli sbagli che egli ha compiuto nella sua vita. E’ stato arrestato, ha compiuto tante bravate… si è “rifugiato” per un certo periodo nell’alcool. Poi ne è uscito, ha addirittura scritto un libro: “come i soldi, la fama e il sesso hanno quasi rovinato la mia vita”. Un’autocritica seria di un uomo che ha vissuto per qualche anno nell’eccesso, nel lusso più sfrenato, conducendo una vita sregolata. Ora è nuovamente in pista, più in forma che mai, tornato il Prime-Time che conosciamo, sincero e simpaticissimo intervistatore ed opinionista su NFL network. Rispettato ancora nell’ambiente sia dai giocatori che dagli allenatori, è un uomo che ha imparato dai suoi errori. A me resterà il ricordo sia dell’istrione che fu, sia del simpatico uomo che è adesso, più saggio ma rimasto infondo sempre sé stesso.

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Un “in bocca al lupo” per la sua vita professionale, augurio per un uomo che è cresciuto tanto dallo spavaldo ragazzotto che era al draft del 1989.
Perchè… in fondo… We all love you “just the way you are”, man.
Grazie di tutto, Deion! #21

“I thought I came back to win a Super Bowl. But I found out in the middle of last season that’s not what I came back for. I came back for these men inside the locker room. It wasn’t about playing with those guys, it was about allowing those guys to see the man behind the persona.” (Deion Sanders)

I NUMERI:
52 intercetti per 1.331 yds
4 fumble recuperati
155 kickoffs ritornati per 3.523 yards
212 punt ritornati per 2.199 yds
56 corse per 1.578 yds
60 ricezioni per 784 yards
22 TD

8 Pro Bowl (1991-1992-1993-1994-1996-1997-1998-1999)

NFL Defensive Player of the Year 1994

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