Quanto corre McFadden?

A poco meno di due settimane dal draft, quello che è stato ampiamente certificato dagli analisti di tutto il mondo football è ormai chiaro: le carte bollate per la prima scelta assoluta, intesa come valore del giocatore e caratteristiche dell’atleta, sono finite in mano al solo Darren McFadden, talento di Arkansas che abbandona la Ncaa con 4.485 yard corse e 40 mete realizzate nei tre anni passati da titolare ai Razorbacks. Nulla di strano, a parte il fatto che, probabilmente, il buon McFadden non uscirà con la prima chiamata ma rischia seriamente di scivolare molto più in basso.

Fermo restando che a Miami, la prima squadra a scegliere, attendono il ritorno di Ronnie Brown e il problema da risolvere non appare certo quello del runningback, scendendo nelle posizioni in lista ci si accorge al volo di come le squadre che manderanno sul palco Roger Goodell per confermare la propria chiamata sembrano aver già risolto la questione della posizione nel backfield. Abbiamo St. Louis con il suo Steven Jackson, Atlanta che si è fatta spedire dalla California Michael Turner, Oakland che ha messo sotto contratto Michael Bush, la Kansas City di Larry Johnson, i NY Jets di Thomas Jones e Leon Washington e la New England di Laurence Maroney.

Insomma, vista così la prima squadra interessata alla posizione potrebbero essere i Jets, i quali non hanno talento purissimo in quel ruolo, con Jones, si ritrovano un titolare di trent’anni che ha corso sotto le 4 di media in stagione. Non sarebbe una sorpresa, ma non è da escludere che la sponda biancoverde del fiume Hudson punti alla fine su un uomo di linea difensiva.
Siamo al draft, nel campo delle ipotesi, dove fisica e logica vanno a farsi a benedire ogni anno e i mock draft di tutto il mondo finiscono cestinati senza successo.
Di fatto anche i Raiders, con Michael Bush, si sono presi un bel rischio, ed in McFadden potrebbero trovare qualche certezza in più.
La possibilità che il runningback da Arkansas finisca però oltre le prime sette chiamate è più realistica di quanto non sembri, soprattutto considerando che il valore del ruolo da ricoprire in modo primario è spesso una necessità rispettata nelle prime dieci chiamate, dove non sempre si bada al valore di quanto c’è in circolazione ma ai cosiddetti “team needs”.
Basti pensare ad Adrian Peterson, uscito alla 7a un anno fa e ampiamente meritevole, come dimostrato poi sul campo, di avere numeri e giocate da Top 3 del draft.
Quello che si siano poi mangiati i GM che sono passati sopra al talento di All Day non è dato saperlo.

Resta da chiedersi quanto valga un RB al draft, quanto sposti realmente un giocatore in quel ruolo.
Non consideriamo, per un attimo, quanto vale oggettivamente un Peterson, ma cerchiamo di valutare, storicamente, i tre migliori RB della storia del football, almeno di quello moderno, per avere un’idea di quanto andremo a vedere in seguito. Walter Payton, Barry Sanders ed Emmitt Smith riempiono il podio senza troppe discussioni ed ognuno per i propri motivi. Mettendo da parte Smith, che ebbe il merito non indifferente di capitalizzare la propria presenza in un attacco da favola, interagendo alla perfezione col gioco offensivo dei Cowboys e permettendo loro di avere ritmo, imprevedibilità e guadagni, gli altri due nomi rispondono alla storia di giocatori davvero speciali.
Barry Sanders passò la carriera alzando più miracoli che trofei in una squadra discreta e poco più nelle annate di grazia, correndo dietro ad una linea offensiva non eccezionale e creandosi le corse quasi esclusivamente da solo.

Walter Payton era un vero e proprio playmaker, capace di fare ogni cosa, in grado di spostare gli equilibri di un attacco del quale era realmente l’unica stella riconosciuta e, anch’egli, piazzato dietro ad una linea che, seppur buona, non viene quasi mai ricordata come una delle migliori di sempre. Il suo stile arcaico, a schiena spesso dritta, quasi a ballare sulle punte talvolta, ed i suoi colpi improvvisi quando calava il casco su un avversario per rompere un placcaggio, restano magie inaspettate ed esaltanti al tempo stesso quando lo si guarda giocare, ancora oggi, in vecchi filmati.

Se togliamo, però, questi tre nomi dall’interminabile lista dei runningback degli ultimi trent’anni, ci accorgiamo che giocatori così completi, così totali e con questa longevità, non ne abbiamo visti tantissimi. Ottimi runningback, certamente, grandi corridori infilati spesso in un sistema funzionale e dietro un muro di cinta perfetto per ogni evenienza. Un sistema ed un muro di lineman, queste le differenze che spesso passano tra un RB buono ed uno ottimo.
Se pensiamo a LaDainian Tomlinson ci rendiamo conto di essere di fronte a un atleta speciale, un ragazzo capace di ogni cosa e forse il più riconducibile ai tre nomi fatti sopra nella Nfl di oggi.
Un altro potrebbe essere proprio Adrian Peterson, e qui ripeschiamo il suo nome, anche se ad onor del vero è presto per giudicare e nessuno, ma proprio nessuno, è in grado di dimostrare che con Chester Taylor i Minnesota Vikings otterrebbero risultati inferiori nel loro complesso (e parliamo di numero di vittorie e di media yard guadagnate). Si può essere d’accordo sul fatto che AD sia un fenomeno e Taylor “solo” un buon giocatore, così come si può essere d’accordo che McFadden sia un talento impressionante, almeno a livello di college, ma non si può prescindere da un concetto fondamentale: le linee, in questo caso quella offensiva.

Il gioco del football ruota intorno alle linee. In uno sport dove i defensive backs partono spesso sfavoriti sul gioco aereo è una linea difensiva che le aiuta ad avere meno palloni pericolosi da trattare in aria mettendo pressione al quarterback avversario ad alzarne il livello. E’ sempre la linea che smorza giochi di corsa potenzialmente troppo remunerativi per l’avversario non concedendo la giusta velocità ed il giusto angolo al portatore di palla, è sempre la linea che aiuta i linebacker a trovare buchi, a creare blitz a sorpresa quando questa è solida, forte, arrogante nei confronti del backfield avversario.
Davanti poco cambia, il front 5 offensivo è quello che dà più tempo ai quarterback e quello che aiuta i runningback ad avere un miglior gioco.
C’è qualcuno che pensa che Peterson avrebbe compiuto gli stessi miracoli dietro ad una linea come quella dei Chicago Bears versione 2007? Impossibile negare che avrebbe fatto meglio di Cedric Benson, altrettanto probabile che certe imprese sarebbero state impossibili. E la dimostrazione sta proprio in quel Chester Taylor abilissimo a sfruttare l’arrivo di Steve Hutchinson, la guardia sinistra che tanto bene ha fatto alle produzioni di Shaun Alexander in quel di Seattle, e che ha portato il giocatore di Minnesota a chiudere con 1.216 yards il suo primo anno da titolare dopo una vita da comprimario, nel 2006, e a mantenere una media di 5.6 yard a portata nel 2007.

Poche storie: se un RB è veloce, ha buone letture, non perde spesso la palla e fisicamente è in grado di mettere un po’ di differenza tra sé e qualche avversario e tra sé e qualche infortunio, il gioco sta nel costruirgli una linea efficace, perché per vincere non è più importante avere il migliore in circolazione, ma averne uno solido e con i numeri al posto giusto. La squadra diventa vincente così. Perché, paradossalmente, il ruolo più importante è quello del quarterback, ma il runningback diventa fondamentale nelle gare decisive, nei playoff, nelle sfide punto a punto, dove il QB deve sì essere bravo a non gettare palloni alle ortiche e far perdere ritmo alla squadra, ma il RB sarà quello che detterà i tempi sull’orologio dell’attacco.

Non possiamo certo negare che Peyton Manning sarebbe eccezionale anche senza la buona protezione fornitagli negli anni dai compagni di squadra, ma è innegabile allo stesso tempo che il valore della linea stessa sia dipeso dal fatto di giocare davanti a uno come lui. Stesso discorso vale per i runningback, dove la linea fa la differenza, ma un fenomeno può fare qualcosina anche da solo e costruirsi qualche guadagno anche senza la linea o anche dopo averla oltrepassata ed essere entrati in territorio nemico. E’ il solito discorso del connubio perfetto, della squadra costruita ottimamente, perché questo è il football, dopodiché si entra nelle abilità individuali ed in discorsi magari troppo soggettivi.

Adrian Peterson è e sarà sempre più forte di Chester Taylor, il punto è capire se, con quella linea, i Vikings abbiano davvero bisogno di lui per vincere. I Bears avevano bisogno di Payton, i Lions di Sanders; i Cowboys no, non avevano una assoluta necessità di Smith, perché di quella squadra ci si ricorda dei “fenomeni” e non di un RB che da solo reggeva l’attacco. Ma di un giocatore che, per quanto fenomenale, appoggiava, ed era appoggiato, da un sistema perfetto, da una macchina assemblata attraverso draft eccellenti da una dirigenza ed un coaching staff di livello impareggiabile.

Altro breve esempio, guardiamo ai NY Giants: hanno perso Tiki Barber, il miglior runningback degli ultimi tre anni, ed hanno vinto il titolo. Pescando Brandon Jacobs, ed il suo ricambio Derrick Ward il quale, dopo l’infortunio, ha visto emergere Ahmad Bradshaw, nuovo numero 2 della depth chart newyorkese e, tutti e tre, hanno dimostrato di poter avere grandissima produttività in campo. Saranno tre fenomeni finiti per caso in un vortice di free agency prima che Tom Coughlin si accorgesse di loro o il sistema di NY è semplicemente ed ottimamente oliato per le corse? O forse è semplicemente il timore di uno schieramento offensivo con Plaxico Burress, Amani Toomer e Jeremy Shockey che permette a chiunque di correre alla grande tra le fila dei G-Men mentre la difesa è in altre faccende affaccendata?

Poco cambia: sappiamo riconoscere un fenomeno, ed è meglio averlo in squadra che contro e sappiamo anche che la differenza tra lui e uno “forte e basta” sta proprio nel poter risolvere una partita con una giocata straordinaria. La domanda è: visto che nel football la giocata individuale, la forza individuale, non fanno vincere titoli se non inseriti in un contesto ben più ampio e complesso, quanto vale spendere su un RB, per quanto forte, piuttosto che sistemare altri settori o aggiustare le due linee? Quanto vale spendere su un RB se non si ha la certezza che il sistema a cui è abituato è ottimo per vederlo emergere anche quando forza e velocità si livellano verso l’alto in quella selezione naturale che è il passaggio tra le decine e decine di squadre del college football e le sole 32 della Nfl?

Abbiamo citato Thomas Jones, bravissimo negli anni in cui Chicago dava garanzia con la linea offensiva, scivolato a NY dove il valore complessivo dell’attacco era inferiore; un buon giocatore, un lavoratore tosto che sa fare il mestiere, incapace di mettere la marcia quando è ora di fare la differenza e la linea non apre più così tante porte, prova recente del fatto che a una squadra serva altro e che, soprattutto, non sta scritto da nessuna parte che un fenomeno come AD debba per forza arrivare al titolo o che, a squadre invertite, sarebbe riuscito a trasformare il 3.6 per portata di Jones in un 4.6. Se avesse, come pensiamo, costruito di suo un 0.5 in più non ne sminuiremmo l’impresa, ma saremmo di fronte a medie che sono il minimo richiesto per restare a lungo in questa Lega.

Ogni giocatore, nel football, dipende dai sui compagni, è questione di simmetrie, di compatibilità, di avere un grande coaching staff capace di mettere ogni tassello al suo posto e vederlo fruttare, sul campo, in ordine di guadagno, punti, spettacolo. Ed ecco quindi il dubbio più grosso, quello che colpisce tanti ruoli e tanti giocatori prima di un draft, visto che il salto tra college e Nfl non sempre è facilissimo e considerando anche che ricoprire certi ruoli al college non è come farlo tra i professionisti. Pensate a Reggie Bush e ci siamo capiti.

Ci si è messo poi Bill Polian, presidente e general manager degli Indianapolis Colts, uno dei maggiori esperti di football attualmente in circolazione nella Lega di Goodell e uno che di RB, insieme al suo allenatore Tony Dungy, ha dimostrato di saperne qualcosina. Ricordate la cessione di Edgerrin James? Pazzesco. Eppure Dungy disse una cosa fondamentale, cioè che “oggi il tifoso è arrabbiato perché ha perso un grande nome e non vede uno altrettanto grande al suo posto. Più avanti capirà che non è il nome a correre, ma che con un buon sistema e una buona linea possiamo fare grandi cose e creare un altro nome importante”. Capito? E sappiamo com’è finita, no?

Polian ha comunque alzato ulteriori dubbi sulle caratteristiche dei migliori runningback presenti al prossimo draft. Oltre a Darren McFadden, infatti, attendono la chiamata alta Rashard Mendenhall da Illinois, Felix Jones, compagno di McFadden ad Arkansas e Jonathan Stewart da Oregon.
Secondo quanto riportato da Dan Pompei sul Chicago Tribune, da un discorso fatto con lo stesso Polian, il dubbio sui quattro migliori RB eleggibili a New York risiederebbe proprio nella loro adattabilità; al contrario di Adrian Peterson, che a Oklahoma giocava un sistema molto più “vicino” a quello Nfl, i quattro giocatori sopracitati uscirebbero invece da sistemi prettamente collegiali, dove lo strapotere fisico ed una grande velocità possono trovare, a volte, ben pochi rivali all’interno delle Conference di appartenenza.
Pensiamo a McFadden e Jones, abituati a giocare molti snap rimanendo entrambi in campo, o a Mendenhall, utilizzato molto nelle option e sempre in azione senza un fullback, quindi senza l’abitudine di correre dietro ad un compagno che apra la strada.

Dettagli, forse, ma comunque passaggi di cui tenere conto, oggi e sempre, quando si avvicina un runningback alla National Football League. Questo non sminuisce il valore potenziale dei giocatori in questione, né è più importante di quanto non lo sia valutare, comunque, il draft per quello che è: una scommessa. Perché tra la scelta e la realizzazione di un progetto Squadra passano anni di lavoro a volte infruttuosi.
Dove andrà a finire il nuovo fenomeno della classe 2008 non lo sappiamo, certo siamo sicuri che a Dallas, della quale si parla molto, non farebbe poi così tanto comodo come si vuol far credere; Marion Barber non sarà spettacolare e divertente come il rookie in arrivo, ma è solido, efficace, produttivo ed inserito in un attacco che, comunque, riesce a fare molto male colpendo dal cielo.
Cedere le due prime scelte a disposizione per salire a prendere un giocatore non è necessariamente la migliore delle idee, anche se resta affascinante e permetterebbe ai tifosi di sognare l’arrivo del giocatore che cambia le sorti di una partita ogni volta che tocca la palla.

Serve coraggio, perché due prime scelte permettono di sistemare due reparti con giocatori potenzialmente importanti, mentre un nuovo runningback potrebbe essere un fattore minore di quanto ci si aspetti. Discorso che vale per ogni prospetto, visto che si deve avere un coaching staff ottimo, una squadra completa e avere anche un po’ fortuna, che non guasta mai.
La domanda non è quanto sposti un RB nell’economia di una franchigia, ma quanto sposti questo in particolare e quanto sia fondamentale, oggi, correre verso questo ruolo. Staremo a vedere.

Errata Corrige: nel precedente articolo abbiamo scritto di come, con l’avvento del “Deferral coin toss” si potrebbe verificare, all’interno di una stessa partita, il fatto che una squadra riceva due volte il kick off (all’inizio della partita e del terzo periodo). Quanto segnalatoci dal sempre vigile amico Stefano Quaino (cliccando sul nome potrete visitare la sua pagina sportiva), indica invece che questo evento sarebbe tecnicamente possibile anche oggi, benché piuttosto raro. Il “defer”, già presente in Ncaa, semplicemente permetterà ad una squadra che ha vinto il sorteggio con la monetina di lasciare che sia l’avversario a scegliere tenendosi l’opzione di scelta (campo, calciare o ricevere il calcio) all’inizio del terzo periodo.