Fumo negli occhi

La Nfl dovrebbe essere una grande famiglia o, perlomeno, lavorare come tale. Ci sono gli interessi economici, ci sono gli sponsor, ci sono i presidenti delle franchigie, città che si appropriano di un marchio che fa parte della grande famiglia e cominciano a giocare a football. Ci sono le scarpe che puoi mettere e quelle che non puoi, ci sono le regole e c’è la fratellanza, come nelle grandi famiglie, dove si va incontro a chi ha più bisogno e dove si cerca una soluzione che vada bene a tutti.

Perché se dal 1920 a oggi la National Football League è passata attraverso i sette mari, ha scalato le cime più alte e abbattuto i muri più solidi per divenire negli ultimi vent’anni la Lega professionistica più importante d’America il motivo sta anche nella collaborazione di tutti coloro che sono passati da questa famiglia. George Halas, ad esempio, odiava sportivamente i Green Bay Packers, non li sopportava, li voleva vedere battuti ogni volta, caricava i propri giocatori con frasi velenose ed ingiuriose verso l’avversario. Ma quando fu il momento di aiutare economicamente la franchigia del Wisconsin non si tirò indietro perché questo avrebbe aiutato il gioco, la Lega.

Tra le più ricche del mondo, la Nfl conta dal 1993 sul miglior impianto di equilibrio del globo sportivo, il salary cap, che insieme al metodo di concepire la free agency e con il suo bel draft, rendono il campionato atteso, equilibrato e ricco di speranze per tutti. Questo perché, in passato, si è lavorato come in una famiglia. Certo, lo si fa anche in NBA od in MLB, ma qui sembra esserci qualcosa di più. Fino ad oggi almeno.

Perché se viene fuori il cugino viziato che vuole tutto per lui allora sono dolori. Sia chiaro, in questa famiglia si fa tanto per passione, ma in cambio si gira su dei SUV con forno a microonde e lavastoviglie di serie, si vive in lussuose abitazioni e la dichiarazione dei redditi farebbe piangere un bambino indiano al solo sventolargliela davanti. Jake Long, zero presenze in Nfl: offensive tackle più pagato della Lega. Matt Ryan, buon prospetto da Boston College, zero presenze in Nfl: contrattino da 72 milioni di dollari, 34.5 di garantito. Ma il cugino viziato non è soddisfatto e il perché è difficile da capire.

Come in ogni famiglia che si rispetti ci si scambiano gli auguri di Natale, volano pacche sulle spalle e una cenetta ogni tanto non la si nega a nessuno. Tutti amici, per cui diventa difficile capire chi sia il cugino che nessuno vuole alla propria destra quando ci si mette a tavola per il tacchino ripieno.
Tempo fa accennammo allo scatenato Gene Upshaw, numero uno della Nfl Players Association, del suo monologo prima del Super Bowl e prima delle Combine di Indianapolis; ci arriva voce, fidata, direttamente dagli States che quella sera di festa, quella sera di Super Bowl, tutti hanno pensato all’holdout dopo il discorso di Upshaw. Data: 2011. Bene, anzi male.

Ma Upshaw non è più credibile come cugino viziato; troppo morbido, troppo accondiscendete verso la Nfl è quello che si dice di lui. Del resto uno che firma un contratto collettivo e ci sputa sopra un anno e mezzo dopo non sembra troppo deciso e le sue posizioni verso i proprietari appaiono ad ogni modo pretestuose. In Italia diremmo che dopo la cazzata sta provando a salvare la poltrona, solo che là non è proprio come in Italia. Così è arrivato Matt Stover, il kicker di Baltimore che si schierava apertamente contro Upshaw e si candida a prenderne il posto.

Il nocciolo del problema è sempre quello: salary cap, pochi soldi per tutti, franchise tag. Poi arrivano Long e Ryan e uno non capisce più niente. E allora? direte voi. Semplice, i padroni del vapore hanno deciso che questo contratto collettivo non va bene, che molte sono stati gli esborsi pesanti negli ultimi anni e che questo sistema rischia di fare implodere il tutto. Molti nuovi stadi finiti o in arrivo (Arizona, Dallas, Indianapolis, New York…) hanno portato via parecchie risorse, i rookie ammazzano il mercato, i veterani escono dalle righe e chiedono e pretendono. Roger Goodell è convinto che anche senza salary cap le società sopravviverebbero, ma è importante sottolineare che Gene Upshaw ha fatto notare che se nel 2010 salta tutto non si torna più indietro. E ha ragione, impossibile pensare il contrario; quindi le società sopravviverebbero, ma il giochino non sarebbe più lo stesso.

I proprietari delle franchigie hanno votato ad Atlanta affinché l’attuale contratto resti in vigore fino al 2010 (stagione che sarebbe comunque senza salary cap se non si arriva al dunque) poi serve cambiare marcia. Se non si arriva a un accordo salta tutto ma il rischio è che i presidenti “scioperino” contro gli atleti escludendoli dal gioco e fermando il campionato in stile Nhl. La famiglia subirebbe un colpo durissimo in entrambi i casi. Dopo decenni passati a costruire il primato tra gli sport professionistici e presentare al mondo una Lega (quasi) perfetta, tutto crollerebbe in un attimo. Immagine, portafoglio, prestigio: tutto da rifare.

Ma chi è il cugino viziato? Un po’ tutti, dipende da chi, a forza di propaganda e messaggi di lotta, non avrà più il coraggio di tornare indietro, di perdere la faccia per il bene comune facendo saltare tutto. Non ha ancora un volto, il cugino antipatico, né un nome; ma presto potrebbe avere entrambi.

“Tutti noi abbiamo fatto un immenso sforzo per far giungere in tranquillità il termine del lavoro”
ha detto Goodell del CBA firmato nel 206, “abbiamo raggiunto un accordo che avrebbe sostenuto un ulteriore sviluppo della Nfl. Dopo due anni passati all’interno di questo sistema riconosciamo però che non può funzionare a lungo per noi”. Così si comincia a parlare di quello che accadrebbe senza tetto salariale, ossia un minimo di sei anni per divenire free agent, tre cap a disposizione delle squadre per bloccare altrettanti giocatori e restrizioni di spesa imposte a chi raggiungesse i playoff per evitare scorpacciate di presidenti dalla mani bucate quali Jerry Jones e Daniel Snyder. Il tutto per mantenere un certo equilibrio. I più pessimisti prevedono addirittura la fine del draft, con una folle corsa al rialzo per accaparrarsi il collegiale più in vista, magari da mettere in vendita su eBay. Ma piacerebbe davvero una cosa così? Forse la forza dell’abitudine ci ha fatto pensare che questo sistema vada bene così a prescindere, ma crediamo di no.

Un lato positivo comunque c’è. Goodell e Upshaw assicurano che si incontreranno ancora, ancora e ancora per i prossimi due anni e che l’accordo verrà siglato prima dell’inizio della free agency 2010 rendendo tutti felici e contenti. Insomma, l’intenzione è quella di collaborare per aiutare la famiglia ad uscire da questo impiccio, come hanno fatto prima di loro uomini in vista, nomi da Hall of Fame, come Pete Rozelle o Welllington Mara. “La gente non capirà bene la gravità della situazione finché non saremo a un passo dalla fine del contratto” ha detto Goodell, “quello sarà il momento di maggiore sensibilità verso il problema, quello sarà il momento in cui troveremo un accordo giusto per tutti”. Bene. Solo che i proprietari pretendono cose che la NFLPA non accetta e viceversa. Vedremo chi sarà il cugino cattivo, anche se noi speriamo di non conoscerlo mai.

Non è fumo negli occhi quindi, ma una minaccia seria, al contrario di quello che Matt Walsh ha gettato negli occhi di tutti noi per qualche mese, rendendosi protagonista di un’attesa snervante per scoprire cosa l’ex impiegato dei Patriots tenesse in serbo per incastrare Bill Belichick. Walsh, che dichiarò di non poter parlare perché temeva per la sicurezza della propria famiglia, ha finalmente incontrato Roger Goodell e ciò che ne è uscito è stato solo che questi era in possesso degli stessi filmati che il commissioner aveva già visionato (e dato alle fiamme) in passato. Cinque partite, con riprese della sideline avversaria e di qualche cheerleader dei San Diego Chargers. Niente di nuovo, niente scandalo sul Super Bowl vinto da New England su St. Louis. Niente di niente.

Siamo convinti, magari sbagliando, che se Belichick avesse vinto l’ultimo Super Bowl si sarebbe ritirato. Da vincitore, da uomo orgoglioso che dimostra di farcela senza trucco e senza inganno. Ora la storia è diversa, la consacrazione non è arrivata e lui la cercherà ancora, fischiato ed accusato in ogni stadio che non sia Foxborough. Ci chiediamo se sia giusto. Ci interroghiamo sul fatto se sia logico che nell’era Goodell un personaggio del genere, che ha più volte calpestato il regolamento portando a propria difesa solo un’apparente ignoranza in materia legislativa, possa cavarsela con una sola multa, benché piuttosto salata.

Nel tempo delle sospensioni e della tolleranza zero forse sarebbe servito un segnale maggiore. Forse una squalifica, che sarebbe risultata inutile perché non avrebbe impedito a Belichick di allenare, in un modo o nell’altro, i propri ragazzi, ma quantomeno sarebbe stata simbolo di coerenza e volontà. Invece Belichick resta al suo posto, e visto che non ha vinto dopo il polverone sollevato dallo Spy Gate, ci aspettiamo che prosegua, in modo sempre più antipatico e testardo, la sua corsa verso la terra promessa. Sarà un campionato strano il suo, con un 18-1 paradossalmente da vendicare e un qualcosa in più da dimostrare. Lo Spy Gate ha sinceramente stancato, non ha provato nulla su eventuali vantaggi di cui New England avrebbe – concretamente – usufruito, ha fatto sì che ognuno si pronunciasse in illazioni più o meno gravi, in congetture più o meno articolate ma non ha sminuito il valore della franchigia bostoniana né offuscato le vittorie ottenute sul campo. Se poi Belichick rimarrà al suo posto tanto meglio per lui, ma sarebbe il caso di riflettere attentamente su questo punto.

Altro fumo negli occhi? “Mi sento più veloce, rapido, reattivo, tosto, grosso, bello e ganzo. Ed in salute”. Parole volutamente enfatizzate, storpiate dall’autore, di Cedric Benson al suo primo giorno di attività con la squadra. Proprio lui, Benson, il ragazzo d’oro che ha fatto innamorare l’America per anni prima di spegnersi, gradualmente, sul palcoscenico più importante. A proposito di squalifiche pare che Benson non rischi nulla da Goodell visto il suo stato di incensurato, ma un paio di settimane fa il ragazzo ha pensato bene di farsi trovare ubriaco al timone di una barca in Texas (nella foto Benson dopo l’arresto). Per bloccarlo, i poliziotti hanno dovuto usare del peperoncino, di quello che si spara negli occhi con uno spray e crea un immediato bruciore sulla vittima che è costretta ad arrendersi. Praticamente è servito molto più impegno agli agenti di quanto non ne sia servito in questi anni ai difensori per fermare il “nostro”.

A parte tutto dispiace trovare il giocatore dei Bears in queste situazioni, soprattutto pensando al suo splendente passato di promessa del football. Chi ha letto Friday Night Lights avrà memorizzato a dovere la scuola di Midland Lee, molto più di quanto non abbia fatto chi ha solo visto il film visto che nell’opera di H.G. Bissinger si parla delle due città sorelle ed eterne rivali attraverso il football e non solo quello dove un intero capitolo è dedicato alla storia di queste due “Città Sorelle”: Odessa e Midland. Benson è nato proprio laggiù, a Midland, e per la Midland Lee ha corso 8,423 yards (record per le high school di livello 5A – il più alto- in Texas), vinto tre titoli statali consecutivi segnando 15 mete totali in finale. E’ approdato alla Texas University dove ha vinto il Doak Walker Award come miglior RB nel 2004, è stato All-America nello stesso anno ed ha corso 5,540 facendo peggio solo di Ricky Williams nella storia dei Longhorns.

Carattere difficile, si diceva, introverso e impulsivo, qualche amicizia scomoda, la marijuana. Il tipico afroamericano da ghetto insomma, se vogliamo banalizzare su un background che sembra identico a quello di mille altri, ma con un talento spaventoso. Talento che si è via via spento di fronte alla Nfl, con tanto di infortuni continui sempre pronti a torturarlo e senza quell’agilità e quella capacità di corsa che, anche nella prima stagione da pro, si erano comunque intraviste. Nonostante la scelta di Matt Forte’ a Chicago vogliono dargli fiducia, ma ora è arrivato pure un arresto. Non fosse bastato il lungo periodo di assenza nel 2005 seguito al draft (era rientrato giusto in tempo per la stagione) e la dimostrazione che l’ex titolare Thomas Jones spostasse molto di più nel gioco offensivo della squadra, ora il ragazzo ricomincia a far danni. E a mettersi nei guai con la legge.

Tre stagioni e tre infortuni più o meno gravi, un campionato da titolare a 3.4 di media corse, un arresto ed ora il ritorno “più forte, più rapido, più deciso, più sano”. Altro fumo negli occhi, ed una stella che forse non brillerà mai. Con nostro immenso rammarico. A meno che quello visto finora non sia il cugino cattivo e viziato di Benson, nel qual caso lanciamo un appello: ridateci Cedric, quello vero!