Da Cassel a Young, il bello e il brutto dell’essere quarterback

Scivola via la seconda giornata di football pro, la prima senza Tom Brady che vede i Patriots sconfiggere i nuovi NY Jets targati Brett Favre, senza il proprio leader e senza aiuto dalle telecamere. Stavolta senza alcun dubbio speriamo. Avrebbe dovuto essere lo scontro tra il grande quarterback degli anni 90 ed il suo successore, più vincente ed inatteso sui grandi palcoscenici di quanto non fosse stato Favre a suo tempo. Sapevamo già da una settimana che non ci sarebbe stata partita tra i due e che i Jets avrebbero potuto approfittare di questo contraccolpo.

Le squadre di football però non si fermano davanti al cedimento di un pezzo, anche se il più importante. New England è alla ricerca di un cambio generazionale in alcune zone del campo, soprattutto in difesa, e sullo stratosferico attacco puntava buona parte delle ambizioni stagionali. Senza Tom Brady sarà difficile godersi certi spettacoli e gestire Matt Cassel sarà una nuova, difficile sfida per Bill Belichick. Visto il suo curriculum Cassel avrà sicuramente varie qualità, ma queste ultime sono a noi sconosciute dato che il ventiseienne da Northringe, California, non era titolare dai tempi delle high school ossia, se preferite, il liceo.

Di qualità, dicevamo, il buon Cassel ne deve avere, perché dopo l’esperienza liceale alla Chatsworth High School si è ritrovato sulla sideline di Southern California, a fare da secondo prima a Carson Palmer e poi a Matt Leinart. Nonostante le infinite panchine che ha mollato per appena 33 lanci in quattro anni, è riuscito ad essere campione nazionale con i Trojans e a trovare un posto al draft come 230^ scelta al settimo giro. Poi, ovviamente, ancora tanta panchina, ma ancora tante merende a pane, salame e football stavolta sotto l’ala protettiva di Bill Belichick e dello stesso Tom Brady. Ora il suo momento, titolare dopo 8 anni, in campo dopo tre stagioni (e una partita, quella scorsa) dove aveva completato 39 passaggi mandando in meta i compagni in due occasioni nella stagione da rookie.

Un comprimario, uno scaldapanchina come tanti ne passano nella grande lega, il Jim Sorgi dei Pats, colui che è destinato a una dignitosa carriera da seconda guida, pronta a tutto pur di portare a casa la pagnotta. Pronto anche a non giocare mai. Il destino gli ha dato una mano nella prima domenica di campionato e, al suo esordio da titolare, è entrato giocando senza forzature, in un sistema attualmente ridisegnato dallo staff dei Patriots per lui, senza lampi né errori psrticolari, sempre in controllo con, più o meno, grande facilità. E così Cassel ha battuto Favre o, meglio, i Patriots hanno battuto i Jets. Cassel ha la chance della vita, quella che Sorgi non ha ancora mai avuto e forse non avrà mai, ha la chance di dimostrare di saper fare il proprio mestiere, di poter essere un titolare nella Nfl, strappando, magari, un bel contratto da qualche altra parte come capitato a Matt Schaub scappato da Atlanta, dove era coperto dall’ombra di Michael Vick, per trovare fortuna (più o meno) a Houston.

Intanto però New England va 2-0 e dimostra di poter essere squadra solida e costante anche senza i grandi numeri di Randy Moss, ovviamente debilitato dall’assenza di un cervello e di un braccio come quelli di Tom Brady. Domenica c’è Miami che, nonostante le cure di Bill Parcells, fatica a riemergere dalle sabbie mobili nella quale si è conficcata ormai da qualche anno, dalle fughe e le squalifiche di Ricky Williams, a quelle di coach promettenti e dominatori al college e fallimentari nella loro esperienza al piano di sopra. Capita di tutto, ma non pensiamo che sia giunto il momento per Cassel di scoprire il lato più duro del suo mestiere di quarterback della Nfl.

Un pronostico così, senza ambizione per noi che ne sbagliamo tanti e che avevamo (quasi) previsto la fine delle sfortune dei San Diego Chargers, battuti anche a Denver dopo aver rimontato i Broncos fino a credere di avercela fatta. Di nuovo fatale l’ultimo drive, con un clamoroso errore arbitrale che trasforma un fumble di Jay Cutler (partita magistrale la sua, il vero colpo dei quarterback da primo giro del 2006) in un incompleto e dà una seconda chance alla franchigia del Colorado che trova prima la meta del meno uno e poi trasforma da due sempre su servizi di Cutler per il nuovo gioiellino di casa, Eddie Royal, rookie di soli 5-10 (più o meno 177 centimetri) decisivo più che mai. Partita incredibile, un 39-38 come non se ne vedono tanti, con molta fortuna per i Broncos che si rifanno dell’umiliante sconfitta targata 2007 con tanto di sfottò di Philip Rivers rivolti proprio al collega Jay Cutler.

E, parlando di quarterback, non si può tralasciare il caso Vince Young il quale, secondo le ultime indiscrezioni, avrebbe parlato al proprio analista di suicidio in più di un’occasione. Vista così, una fuga di notizie del genere, lascia il tempo che trova e ci lancia il tragico sospetto di una certa stampa che tenta di danzare sui problemi di una stella, di un VIP, come volete, ma pur sempre un ragazzo che è a rischio mentale non indifferente e che sta soffrendo più che mai. L’ex Texas campione nazionale nel 2005 arrivò ai Tennessee Titans al draft 2006 e giocò una discreta prima stagione da rookie, considerando che, in Ncaa, il suo atletismo e la sua fisicità erano bastati a saltare sopra ogni ostacolo. In Nfl serve di più, serve lanciare bene anche e usare le proprie gambe con intelligenza oltre che con forza. Ma sarebbe cresciuto, o almeno così sembrava e così ci rassicuravano gli esperti.

Il problema è che la Nfl triplica anche la pressione rispetto al college, i soldi sono tanti quanti le aspettative, i colpi più frequenti e più duri. Così i primi acciacchi, i primi infortuni, i primi segni di cedimento sotto dei riflettori troppo caldi per un ragazzo che cerca di farsi uomo così alla svelta. Chi gli è vicino assicura che abbia pensato al ritiro più di una volta e che questo nuovo infortunio, che lo terrà lontano dai campi per almeno un mese, non sta aiutando la sua debole psiche a sopportare il lato più oscuro del campionato professionistico americano. Dopo l’esordio in gara uno la prima voce che inizia a circolare è di una sua forte depressione, poi la notizia di una sua sparizione e un insieme di finali da cui è difficile districarsi. Chi dice che coach Fisher abbia chiamato la polizia la quale, addirittura con l’aiuto degli Swat in borghese (i corpi speciali della polizia USA) lo avrebbe ritrovato nella sua macchina in stato confusionale con una pistola (scarica) nel portaoggetti. Altre fonti che dichiarano che sia invece stato ritrovato dallo stesso allenatore dei Titans a casa di amici, amici che avevano appunto avvertito Fisher della presenza del quarterback, comunque in stato confusionale, a casa loro.

Ed è quello “stato confusionale” ricorrente in entrambe le versioni che preoccupa, che fa affiorare dubbi e che mette davanti alla carriera dell’atleta la vita di un uomo. Dall’infortunio a una gamba si guarisce anche in un mese, da una testa che via via perde il contatto con la realtà., la voglia di gioire, giocare a football, forse anche di vivere, si guarisce in molto più tempo. E non sempre. L’augurio è che l’ex Longhorn non sia nella condizione davvero critica descritta dai più pessimisti e che abbia in ogni caso la forza di uscire da questa negatività, anche a costo di smettere di giocare. Nulla ha più valore della sua salute ora, al di là di ogni retorica.

E se ci è concesso tornare a discussioni più leggere, restando legati all’ambiente dei quarterback e del college football, apriremmo una parentesi su USC (guarda un po’) e Ohio State, gara che molti avevano già definito “dell’anno”, quando non “del nuovo millennio” molto prima del calcio d’inizio, addirittura all’uscita dei calendari. Partita che in realtà non c’è stata; complice l’assenza della stella Beanie Wells i Buckeyes sono naufragati al Memorial Coliseum di Los Angeles di fronte a una Southern California che sembra già aver scritto la parola fine al campionato tanto è completa e organizzata rispetto al resto delle contendenti. Ma, ovviamente, è ancora presto per dare tutto per scontato. Lo scontro era comunque tra due college candidati a una stagione da protagonisti che ha visto OSU uscire battuta 35-3 senza mai entrare davvero in ritmo.

E questo è forse anche dovuto all’atteggiamento di Jim Tressel, head coach che da due anni perde la finale per il titolo e che da quella in corso ha tra le mani il miglior prospetto uscito dalle high school, tale Terrelle Pryor. Con tanto ben di dio a disposizione il quesito che ogni osservatore si pone è sempre il solito, come tra i professionisti: un giocatore così lo si butta subito nella mischia o lo si fa crescere un anno sulla sideline? Tressel ha per ora deciso… di non decidere, nel senso che alterna la giovane stella, già eletta come futuro miglior giocatore mai apparso nel campus dell’università con sede a Columbus (di nuovo, quanta fretta), al veterano Matt Boeckman, quarterback onesto che non crea grosse aspettative per il prossimo draft e palesa evidenti limiti se non ha un cast di supporto di livello. Boeckman è un giocatore ordinato, sa essere preciso ma ha finora sempre sfruttato la potenza del runningback Chris Wells per togliersi di dosso una pressione difensiva che, diversamente, lo mette in costante difficoltà. Poco male se si decidesse di puntare tutto su Pryor, cosa che, a quanto pare, è considerata forse troppo avventata dallo staff tecnico.

Certo è che questo sali-scendi dalla panchina al campo non chiarifica quanto sia il valore di Pryor al suo primo anno, e forse non ce ne sarebbe nemmeno bisogno, ma soprattutto cambia costantemente i ritmi di gioco togliendo anche continuità all’offensiva dei due volte vice campioni del BCS Championship. Letale quando si muove sulle gambe, atleta nato, veloce e con un braccio che deve migliorare ma non sembra mancare del tutto, Pryor è l’ennesimo quarterback “nuovo” stile, quelli alla Michael Vick, che fanno delle gambe la propria forza ma che se non migliorano nel mettere la palla in aria rischiano di rimanere, almeno tra i pro, degli atleti tanto spettacolari quanto incompiuti. OSU non ha perso la sfida contro USC a causa delle continue alternanze in cabina di regia, ma fa specie notare come un coach che voglia giocarsi chance di titolo (poche a dire il vero, Ohio State non vale quanto altre 4-5 squadre della nazione) continui a togliere minuti e fiducia al veterano e, al tempo stesso, a non scommettere del tutto sul giocatore più atteso.

Lasciamo l’ultimo passaggio miscelando proprio Nfl ed Ncaa e ci spostiamo in Carolina, regione che politicamente è stata divisa in due stati della confederazione quando si era ancora in epoca coloniale: il North Carolina ed il South Carolina. A nord c’è Charlotte, città poco celebre nel vecchio continente che, forse, non ha nemmeno molto da raccontare. Ma, nello sport, ha i Panthers, franchigia Nfl che non ha voluto scegliere di essere North Carolina forse proprio per cercare di rappresentare meglio tutti i tifosi della zona tutti gli abitanti delle Carolinas. Proprio quei Carolina Panthers che rappresentarono una splendida favola nel 2003 quando raggiunsero il Super Bowl, poi perso contro i Patriots in una finale memorabile, e oggi di nuovo in carreggiata dopo la seconda vittoria maturata in rimonta nell’ultimo quarto. Una gara fatta di alti e bassi e di un inseguimento dal 3-17 chiuso con 20 punti, tre in più dell’avversario, difesi poi contro le scellerate chiamate dell’attacco dei Chicago Bears nell’ultimo drive.

Si sono così degnamente festeggiate le 10000 yard in carriera ricevute da Muhsin Muhammad, il quale si è visto togliere anche una meta per penalità di un compagno. Carolina è squadra solida, ben allenata, con una difesa dura che ancora attende il miglior Julius Peppers. Ed ha un attacco guidato dall’ottimo rookie Jonathan Stewart e da Jake Delhomme, quarterback di carattere che a ogni colpo subito, ad ogni fischio dell’arbitro, ad ogni gioco errato pare ribollire di una rabbia agonistica che sembra poterlo portare ovunque. Nella division che avrebbe dovuto essere facile preda dei New Orleans Saints, i Panthers sono dopo due giornate gli unici imbattuti, una squadra che sta già scrivendo pagine importanti di questa stagione, con carattere, volontà e buone qualità ben miscelate tra veterani e giovanissimi.

Ma in North Carolina c’è anche Greenville, una delle 32 Greenville presenti negli Stati Uniti. Votata nel 2004 come città dello sport da Sports Illustrated, questa cittadina di 75000 abitanti è sede della East Carolina University, casa dei Pirates, squadra di football che gioca al Dowdy-Ficklen Stadium (43000 posti) e che milita nella Conference Usa. Una conference minore, una conference che ti obbliga a fare miracoli se vuoi stare al vertice del ranking nazionale, se vuoi puntare in alto, magari fino a infastidire i colossi del BCS.

Ed i Pirates ce la stanno facendo; se oggi non è possibile dire come finirà è comunque sorprendete trovare la squadra di coach Skip Holtz al 15° posto della classifica nazionale dopo nove anni di assenza e dopo aver battuto nelle prime due giornate due squadre della Top 25. Virginia Tech, all’esordio, con l’avversario quotato al #17 (27-22 giocata proprio a Charlotte), e West Virginia la settimana dopo con i Mountaineers al #8 sonoramente battuti 24-3. Sabato la vittoria contro Tulane, la prima in trasferta, un 28-24 che conferma le ambizioni di una squadra che non presentava grandi stelle ma oggi sta creando l’aspetto chiaramente più interessante della Ncaa a livello di Football Bowl Subdivision. Escludendo la lotta al titolo sono loro i ragazzi da marcare stretto per questo mese di settembre, ora favoriti nella corsa alla conference e pronti a tentare quanto riuscito a Boise State due anni fa e appena sfiorato da Hawaii lo scorso anno, ossia l’approdo e la vittoria ad uno dei quattro maggiori bowl della nazione.

E’ una Carolina che ha di che sorridere e che punterà a rompere ogni pronostico e noi, che amiamo sognare insieme alle grandi e piccole imprese, non staremo certo qua a pronosticarvi per forza un roseo futuro non ancora scritto e pronto a fare dietro front ogni settimana. Ogni sessanta minuti di football.