Ottobre Nfl, quando arrivano i primi bilanci
Dopo solo cinque giornate analizzare una classifica non è mai troppo logico, non è semplice stabilire chi possa vincere alcune division o lottare più agevolmente per determinati risultati, ma è altrettanto ovvio che qualcosa all’orizzonte comincia a delinearsi ed è soprattutto evidente quali squadre siano partite col piede sbagliato rispetto ad altre.
Nulla è deciso, certo è che la situazione di alcune squadre lascia piuttosto basiti e apre un dibattito obbligato su quale sia l’immediato futuro di alcune franchigie. Ci chiediamo innanzitutto quale possa essere l’esito stagionale di New Orleans e Green Bay, squadre che a inizio anno dovevano lottare ai vertici del proprio girone e che invece si sono infilate in una situazione difficile.
La stagione dei Saints ha sinora dell’incredibile. Con la sconfitta contro Minnesota nell’ultimo MNF, New Orleans si ritrova ultima nella Nfc South con un misero record di 2-3, ma anche stavolta il rammarico per un vittoria gettata via è a livelli massimi.
Con due punt ritornati in meta da Reggie Bush, playmaker sempre più completo per l’attacco, che non sarà mai runningback puro ma può essere un’arma letale in ogni situazione in cui mette mano sull’ovale, ed un field goal ameno di due minuti dalla fine per ottenere il vantaggio, la formazione di Sean Payton si è fatta beffare negli ultimi secondi.
Martin Gramatica ha probabilmente giocato la sua ultima partita in Louisiana e magari anche di tutta la carriera; ha calciato un field goal bassissimo, recuperato dagli special team di Minnie e trasformato in 6 punti da Antoine Winfield; poi, a meno di due minuti dal termine, ha sparacchiato fuori in malo modo il field goal della probabile vittoria. La difesa dei Saints ha mostrato di nuovo qualche lacuna e al di là di un paio di episodi sfortunati (un face mask su Bush gigantesco non penalizzato, che ha portato a un fumble ricoperto dai Vikings, un altro fumble di Adrian Peterson considerato come placcato) si è fatta perforare talvolta con troppa semplicità. Si sapeva che questo sarebbe stato un po’ il limite di New Orleans, ma perdere anche nella notte in cui 14 punti arrivano da ritorni di punt, tra il terzo e l’inizio del quarto periodo segni 17 punti di fila concedendone zero e limiti Peterson a 32 yard corse… beh, qualcosa non va. Tanto più che, delle tre sconfitte stagionali, nessuna supera i 5 punti di scarto, tutte le volte che a New Orleans hanno aggiornato la casella delle “L” lo hanno fatto per meno di un touchdown di scarto. Spesso anche per un field goal: -5 contro Washington, -2 contro Denver e -3 contro Minnesota.
Nel Wisconsin una serie spaventosa di infortuni sta limitando la capacità del team di guardare dall’alto verso il basso le altre contendenti, e la terza sconfitta consecutiva ha permesso a Chicago di balzare in testa e a Minnesota di aggrapparsi proprio ai Packers. Alla vigilia della partita persa contro Atlanta i giocatori con problemi fisici, tra quelli fuori rosa, in forse e in dubbio (traducendo i tipici doubtful e probable che vengono utilizzati nelle dichiarazioni del team sulla condizione dei propri giocatori nella lista infortunati) in casa delle Cheeseheads erano nientemeno che 13. Tredici.
Un numero impressionate, se consideriamo che già prima del campionato, tra un acciacco e l’altro, a Green Bay si segnalava una seria emergenza su entrambe le linee. Ora zoppicano un po’ tutti, da Atari Bigby a Nick Collins, da AJ Hawk a Ryan Pickett, da Charles Woodson ad Al Harris. Una situazione difficile da gestire, che impedisce a molti titolari di allenarsi a dovere e che ne obbliga altri a un impegno ridotto quando non a stare fuori dai giochi del tutto.
In questi casi non si ha quasi mai la tendenza a crearsi un alibi anche se, in cuor nostro, sappiamo che i Packers al completo oggi avrebbero quasi certamente un record positivo e sarebbero lì, davanti o alla pari dei Chicago Bears, col morale un po’ più alto e un futuro apparentemente più roseo. La sconfitta con Atlanta è di quelle che fanno male, con un avvio a rilento, una difesa incapace di bloccare Michael Turner, autore di 121 yard e un touchdown, e un brutto intercetto ad Aaron Rodgers nel drive del sorpasso che avrebbe potuto cambiare la gara.
Rodgers si è trovato sulle proprie 33 yard quando ha lanciato un “intentional grounding” che ha tolto a Green Bay 12 yard; un 3° e 19 a poco più di 7 minuti dalla fine non era un gran punteggio, ma i Packs erano sotto di 3 punti e potevano ancora giocarsela. Uscito dalla tasca con una certa velocità, Rodgers ha spedito un pallone verso la chiusura del down lanciando in modo completamente errato, usando quasi solo il braccio e col corpo decisamente sbilanciato per una mossa del genere. Il pallone, nettamente corto, è finito nelle mani di Atlanta che, sfruttando una buona posizione di campo, ha costruito il drive per un TD che non le riusciva ormai da due quarti, vanificando il touchdown successivo dei Packers e la comunque buona prestazione del loro quarterback.
Sì, perché Rodgers aveva giocato un’ottima gara fino a quel momento, aveva sfruttato big play spaventosi e tenuto il campo con forza, ma quell’ultimo pallone gettato al vento è costato la partita. Vedere giocare questi Packers lascia intendere che con qualche infortunio in meno ci si ritroverebbe decisamente con meno difficoltà e, invece, la squadra fatica a trovare ritmo costante, non corre la palla sempre come bisognerebbe e fatica a difendere. Una cosa è certa, Aaron Rodgers sta crescendo bene, è inserito alla perfezione nel sistema e mostra ottime qualità di controllo del gioco. Favre è sempre più il passato di questa franchigia, un passato dorato e che mai si cancellerà ma, oggi, la certezza di avere un nuovo sceriffo in città è sempre più solida.
Rimanendo nella stessa divison (tranquilli, durante l’anno arriva il tempo per tutti), spenderemmo due paroline per Kyle Orton. Ci è voluto parecchio tempo perché a Chicago capissero che la risposta ai problemi del gioco offensivo fosse nel quarterback uscito nel 2005 da Purdue, ma alla fine, dopo una estate di camp, allenamenti e preseason, anche Lovie Smith è giunto alla conclusione che è meglio avere un minimo di equilibrio e forzare poco l’ovale che non doversi mettere nelle mani di un quarterback, Rex Grossman, capace da solo di fare e disfare i destini di una squadra con un potenziale decisamente migliore del 3-2 che registriamo oggi.
Sia chiaro, a Chicago c’è ancora molto da lavorare e i punti da unire per scoprire il disegno finale sono ancora molti. Lo stesso Orton non può essere pronosticato come un quarterback certo per i prossimi dieci anni, ma ora che sta entrando in ritmo, nonostante una linea offensiva sulla quale si sta lavorando e che è ancora orfana della prima scelta Chris Williams, qualche progresso comincia a vedersi. Certo, i Detroit Lions incontrati domenica hanno più problemi che punti di forza, ed erano già stati un punto di lancio per Matt Ryan e J.T. O’Sullivan, ma Orton ha alzato i propri record in carriera in fatto di yard lanciate (334), lanci completati (24) e rating (121.4) il tutto mettendo a referto due TD pass e nemmeno un intercetto. La stagione è lunga e ci farà cambiare idea molte volte, ma è certo che Orton sia stata la scelta giusta e che Pep Hamilton, il quarterback coach di Chicago, stia lavorando benissimo sul giocatore.
Orton ha acquisito sicurezza, prende decisioni migliori e si è evoluto nei lanci, giocando con maggior equilibrio del copro e riuscendo, di tanto in tanto, a spedire palloni molto buoni anche oltre le 15 yard, distanza che nelle prime tre giornate era parsa proibitiva per il quarterback dei Bears per via di una disarmante assenza di “tocco” quando la distanza tra lui e il ricevitore si allunga appena un po’. Mancano ancora la capacità di gestire più obiettivi in una sola azione e di sezionare a dovere le difese più aggressive, ma la strada per essere un punto fermo, come backup o titolare poco importa, si parla di carriera, è quella giusta.
E a proposito di Bears e di Orton invitiamo tutti ad andare a vedere la ricezione completata da Marty Booker domenica scorsa. Il wide receiver di Chicago, servito sulla sideline di sinistra, si è esibito in una presa ad un mano fatta di tanto istinto (e, perché no, fortuna) sotto la totale copertura del defensive back avversario. Un pallone preso nell’unico, quasi impossibile modo in cui fosse possibile trattarlo; una ricezione che, non esageriamo, si candida già come una delle migliori e certamente più spettacolari della stagione, con la mano di Booker che ferma l’estremità bassa dell’ovale, la punta già indirizzata verso terra e fermata a mezzo metro dal suolo prima di essere portata al sicuro al corpo.
In Afc il rapporto nord-sud della classifica è rappresentato soprattutto dalla situazione di Tennessee e San Diego, dove se i Chargers non sono proprio del tutto nell’emisfero australe delle statistiche la loro classifica comincia a farsi preoccupante, considerando anche che Denver (4-1) sta seriamente organizzando le prove di una fuga. A Nashville, al contrario, si giunge ad un sorpendente 5-0 e si va avanti con il vecchio Kerry Collins in cabina di regia, e mentre si attende che Vince Young risolva del tutto i propri problemi (intanto è tornato ad essere il numero due nella depth chart e visto quanto letto nelle scorse settimane non è poco), la squadra vola imbattuta sempre più in testa a una division dove i Colts (2-2) restano vivi per miracolo grazie ai regali del quarterback di HoustonSage Rosenfels che, palla in mano, 10 punti in più dell’avversario e meno di 5 minuti da gestire, perde due fumble che permettono a Indianapolis di segnare 14 punti e subisce un intercetto sull’ultimo drive. Un capolavoro.
I Titans però guardano a loro stessi, a una difesa mostruosa, compatta, efficace, che le permette di stare sempre in partita. L’attacco deve certamente migliorare, ma con il reparto che difende in queste condizioni si può davvero arrivare lontano. La partita contro Baltimore, si sapeva, non sarebbe stato un test facile per l’offense numero 25 della lega, una battaglia difensiva che appena scattato il two minute warning è stata decisa da Alge Crumpler su lancio di Collins. Un drive da 11 giochi e 80 yard che ha mandato al tappeto i Ravens, un drive per l’imbattibilità preservata ma che ancora non chiarifica del tutto il valore di Tennessee, squadra tosta ma con ancora qualche punto interrogativo nonostante gli ottimi risultati.
Si lavora bene a Tennessee, il gruppo è compatto e i problemi di Young non hanno lasciato strascichi. La squadra è ben allenata, può contare su un reparto difensivo sensazionale, che concede pochissimo e ha lasciato una media di soli 11.2 punti a partita agli avversari. Con questi dati è facile intuire che non c’è bisogno di un attacco stellare per portare a casa il bottino, ma il giorno in cui volenti o nolenti ci si troverà a subire 25 punti, servirà una reazione che il reparto offensivo non sembra oggi in grado di dare.
Dall’altra parte, dicevamo, San Diego, che legge la targa di Denver dalla prima giornata e la vede ogni domenica sempre più lontana. Non è detto che qualche wild card possa uscire anche da qui a fine anno, ma per ora i Broncos scappano e i Chargers annaspano con un record negativo. Un anno fa, a questo punto, i Chargers avevano lo stesso identico punteggio e, alla week 11, si trovarono 5-5. Poi non persero più.
Questa sembra però un’altra stagione. LaDainian Tomlinson appare davvero in deficit, Antonio Gates attraversa luci e ombre grazie anche a qualche acciacco di troppo, Philip Rivers lo segue. La difesa avanza a intermittenza ed il coaching staff non sembra in grado di porre rimedio a questa situazione nemmeno dopo averla vissuta, più o meno identica, dodici mesi fa. La sconfitta di Miami è assurda e, senza nulla togliere all’impresa dei Dolphins, due quarti dovrebbero essere sufficienti ai Bolts per recuperare 14 punti a Chad Pennington e soci.
Invece San Diego ha fatto di tutto per non rientrare, gestito male la palla e lasciato che fosse l’avversario a servirsi del cronometro. Di nuovo, come durante la vittoria ottenuta sui Patriots, un Chad Pennington in grande spolvero e un Ronnie Brown devastante, il resto lo fa la confusione degli ospiti, incapaci di giocate sensate, con l’attacco troppo spesso sulla sideline mentre dall’altra parte si segnava e si conteneva portando a casa il risultato pieno.
I Chargers hanno bisogno di dare continuità e fluidità al proprio gioco, di mettersi nell’ottica di giocare a fondo tutte le partite sfruttando quel talento offensivo che, di certo, non manca. Diversamente un recupero come quello del 2007 non pare possibile, tanto più che, alla faccia dei problemi di una squadra che tenta di rinnovarsi, dall’altra parte Denver sta mettendo punti in cascina per l’inverno. E lo fa giocando bene.
Pur con tutti i problemi la franchigia del Colorado sa di aver trovato, come per Green Bay, un quarterback in grado di dare profondità e logica al gioco aereo e se all’inizio i Broncos sono stati anche fortunati nel portare a casa qualche risultato vincente, la partita di domenica ha evidenziato una buona solidità.
Il merito sarà certamente anche di coach Shanahan, capace di rimettere in carreggiata in un paio di stagioni una squadra che usciva da una decade di presenze in post season ma stava attraversando un periodo di rinnovamento nel pieno di due lutti tremendi con la morte di due giovani giocatori. Oggi la strada è davvero quella giusta, comunque vada a finire, ed il fatto di aver trovato un timoniere di valore come Cutler e di trovare conferme sul suo modo di giocare ogni domenica aiuta a pensare che questi Denver Broncos sanno già di poter tornare presto protagonisti.
La strada è lunga, nord e sud della classifica si incontreranno ancora, si invertiranno, gli antipodi entreranno di nuovo in contatto. Nessuno può già chiamarsi fuori dai giochi all’inizio di ottobre, i playoff sembrano lontani ma, in alcuni casi, sono lì, a un passo. Un passo lungo tre mesi, ma pur sempre un passo.
Ale,c’e’ una cosa che mi sorprende molto.Nessuno parla dei Giants!!!E forse a loro va bene anche cosi.Eli Manning sta disputando una stagione regolare costante,Jacobs non fa al momento rimpiangere Tiki Barber,Hixon e’una sorpresa e,nonostante le bizze di Plaxico,con Amani Toomer e’ una grande coppia di WR.Sinceramente in difesa dopo il ritiro di Strahan(secondo me uno dei migliori DE degli ultimi 15 anni)e l’infortunio di Oumenyora(forse non si scrive cosi)avevo paura che qualcosa si rompesse a livello d’equilibrio.Ma per ora i Giants sono una certezza.Ancora una grande prova dei Redskins che,con un Campbell in crescendo,hanno recuperato e vinto con PHI.Il gioco di corse degli Skins sta funzionando e Portis e’ in forma ed ispirato forse come ai tempi di Denver.E Cooley si sta confermando come un receiver molto versatile oltre che un ottimo blocker.I Colts hanno evitato una giusta sconfitta solo dopo il suicidio dei Texans che una volta in piu’ dimostrano che la strada per la post-season e’ ancora lunghissima.I Saints ancora non riescono a dimostrare il loro potenziale devono darsi una mossa se almeno vgliono correre per un posto nelle Wild Card.Un’ultima cosa Ale:giudizio sintetico sui Panthers(anche loro abbastanza defilati e nell’ombra)Saluti ed alla prossima.
Paolo, credo che dei Giants si parli poco perch
Sono d’accordo con quanto scritto da Amedeo da Prato nel primo post: i Giants sono poco considerati, ma confido facciano una ottima stagione.