Lo stato del Texas regna sovrano
In America usano chiamarla one for the ages, termine che viene utilizzato per descrivere una partita particolarmente emozionante, di quelle destinate a rimanere scritte nella storia anche dopo tante generazioni. Ed è così che sarà ricordata l’ennesima puntata della Red River Rivalry, usuale scontro tra Texas ed Oklahoma sul palcoscenico dell’immenso Cotton Bowl, sfida che quest’anno non aveva sole implicazioni di classifica concernenti la Big 12, conteneva importanti risvolti per il ranking nazionale vista la posizione di riguardo raggiunta da entrambe le squadre.
Il confronto più prolifico a livello di punteggio combinato mai esistito tra Longhorns e Sooners si è risolto in favore dei texani, 45-35 il risultato finale, fatto che ha decretato il terzo crollo stagionale della squadra residente al numero uno assoluto, che quindi ha aggiunto gli apparentemente imbattibili ragazzi di Bob Stoops ad un pacchetto di illustri giustiziate che comprende Georgia, la numero uno in preseason, e Southern California.
La squadra di coach Mack Brown ha saputo colpire l’avversario scovandone i principali punti deboli, unico modo di aver ragione di un attacco che aveva sempre girato con un altissimo numero di ottani, caratteristica tutt’altro che venuta meno nella sfida di sabato: ovvio che per Texas non si sia trattato di una passeggiata, e solo una concentrazione ed una determinazione particolari hanno permesso alla squadra di non abbattersi di fronte all’ennesima bruciante partenza di Oklahoma, ritrovatasi ben presto sopra per 14-3 e per 21-10 in differenti momenti del primo tempo.
I Longhorns si sono affidati più all’unione di intenti che non al talento individuale dei propri giocatori, trovando coesione per riuscire a restare attaccati con i denti alla partita, a qualsiasi costo: Colt McCoy, quarterback non certo spettacolare e produttivo ai livelli di Sam Bradford, ha pienamente dimostrato di essere un giocatore maturato agonisticamente anche solo rispetto ad un anno fa, di aver imparato a limitare il numero di turnovers, di saper eseguire con successo e ordine quelle scelte che possono fare la differenza quando conta.
McCoy è stato coadiuvato alla perfezione da Jordan Shipley, il migliore amico, il compagno di stanza delle trasferte, il ricevitore tosto sempre in cerca della yarda extra, ma veloce a tal punto da saper ritornare un provvidenziale ritorno di calcio giudicato come l’episodio chiave della gara, come l’episodio che più degli altri ha dichiarato che Texas non avrebbe mollato la presa.
Ottime prestazioni sono pure arrivate da Quan Cosby e Chris Ogbannaya, ricevitore dalle qualità circensi il primo, running back di potenza il secondo, tra l’altro già protagonista di 3 mete una settimana fa e prepotentemente ritornato di forte attualità sabato con una galoppata di 62 yards che non ha scritto alcun punto sul tabellone, ma che ha posto le basi per la segnatura della sicurezza, un’azione che più delle altre ha messo in evidenza l’armonia offensiva di un attacco che in trincea non ha nessuna superstar, ma piuttosto un gruppo di ragazzi che ha come qualità principale quella di saper agire da unica entità.
Senza per questo dimenticare una difesa, quella che aveva concesso a Bradford 210 yards e 3 mete in un battito di ciglia, che ha saputo mettere la giusta pressione addosso al titolato quarterback giocando con un’aggressività che l’anno scorso non esisteva, capace di forzargli due intercetti e di vincere pur concedendogli statistiche finali allucinanti come 387 yards e 5 passaggi da touchdown, annullando un gioco di corse arrivato a fatica a sfiorare le 50 yards complessive.
Texas è quindi, con merito, la nuova numero uno del rimescolato ranking, la nuova squadra da rimuovere dal piedistallo. Forse non sarà così semplice restare là in cima così a lungo, perché il calendario che attende i Longhorns nei prossimi venti giorni è qualcosa di spietato (in successione: Missouri, Oklahoma State, Texas Tech), così tanto che ci viene veramente difficile pensare che l’ateneo possa riuscire nell’impresa di portare a casa tutti e tre i prossimi impegni dopo un tale dispendio di energie fisiche e mentali.
Altro shock all’interno del panorama nazionale è stato creato dal 28-23 con cui Oklahoma State ha superato Missouri, complici 3 intercetti a carico di Chase Daniel, che ha comunque concluso la sua personale prestazione con 390 yards ma risultando troppo determinante con gli errori sopra citati, principalmente causati da una difesa guardinga, che ha saputo marcare con cura Jeremy Maclin in quei momenti in cui era prevedibile che il suo quarterback si sarebbe rivolto a lui per aggiustare il punteggio. Di lui ha giocato meglio Zac Robinson, che ha lanciato passaggi da touchdown di 31 e 40 yards approfittando dell’ottima giornata del wide receiver Damian Davis, emerso al posto di quello che normalmente è il primo bersaglio, Dez Bryant, e destinatario di ambedue i palloni scagliati in meta dalo stesso Robinson.
I Cowboys sono riusciti a fare ciò che nessuno, da parecchio tempo, era riuscito a fare nei confronti Missouri, sgretolandone le sicurezze fin qui accumulate: non solo il potente attacco è stato tenuto senza punti segnati al primo possesso, è stata addirittura interrotta una striscia che vedeva i Tigers senza 3 & out da 52 serie consecutive, una mostruosità, impresa riuscita con l’aiuto di blitz costanti sul malcapitato Daniel, sempre più pressato da un piano di gioco forzatamente destinato ai passaggi, vista la completa inefficienza del solitamente produttivo gioco di corse; l’aspetto che maggiormente salta all’occhio è che l’impresa è stata compiuta pur commettendo tre turnovers: se non si può definire affare questo…
Una sconfitta è pur sempre una sconfitta, d’accordo, ma la si può vivere in maniera più leggera se la redenzione è dietro l’angolo. Ecco perché Daniel e soci, invece di piangersi addosso, si stanno già preparando per il prossimo fine settimana, quando avranno l’irripetibile possibilità di risalire la china sconfiggendo nientemeno che la stessa Texas, in una partita che si ripromette di essere la più interessante di tutta l’ottava giornata.
Di attacchi produttivi, nella Big 12, ce ne sono a bizzeffe, di squadre imbattute, al momento, anche. Per un motivo o per l’altro ci si dimentica spesso e volentieri di Texas Tech, (6-0 in totale e 2-0 all’interno della conference alla pari di Texas ed Oklahoma State) ovvero di quella squadra che macina normalmente 556 yards a partita, che ha come quarterback il recordman Graham Harrell e come wide receiver una futura star che ha già la Nfl tatuata nel suo brillante futuro, Michael Crabtree.
I due recordmen stanno facendo onde riscrivendo i libri di storia dei Red Raiders: Harrell, nella recente vittoria contro Kansas State, ha superato il record d’ateneo per yards lanciate in carriera eclissando la precedente prestazione di Cliff Kingsbury, con il piccolo particolare di poter disporre di altre sei partite per potersi ulteriormente distaccare dal secondo classificato, ed a giudicare dal ritmo mantenuto in carriera giureremmo che per diversi anni, una volta che Harrell completerà la presente annata da senior, nessun altro quarterback di Texas Tech riuscirà nemmeno ad annusare l’odore di un tale traguardo per lunghi anni.
La connessione con Crabtree è arrivata a quota 32 touchdowns, validi per divenire il tandem più prolifico di sempre nella storia della Big 12, ed ha aiutato i Red Raiders ad evitare di sprecare una partita, quella contro Nebraska, che apparentemente sembrava già vinta. La quinta ricezione di giornata del sophomore, che ha ammassato 98 yards segnando una meta, ha permesso a Texas Tech di salire sul 31-24 a cinque minuti dalla fine di una gara poi forzata in overtime, ed è arrivata su un quarto down in seguito ad uno snap frutto di una cattiva comunicazione tra centro e quarterback, trasformando un potenziale disastro in un TD pass di 47 yards. Harrell, costantemente sopra le 400 yards dall’inizio della stagione, è stato “contenuto” a sole 284 ma ha comunque trovato la lucidità necessaria per pescare Eric Morris in endzone per la segnatura decisiva del supplementare, in una vittoria poi cementata dall’intercetto di Jamar Wall ai danni dell’ottimo Joe Ganz, il quale prima dell’errore aveva accumulato 348 yards su passaggio, aveva recapitato due touchdowns ed aiutato Nebraska a segnare 21 punti nel solo quarto periodo.
In un momento, è il caso di dirlo, dorato e magico per le squadre appartenenti all’area del Texas, è lecito sostenere che non sarà solamente la Sec a rappresentare un bagno di sangue per chiunque voglia salire al trono, perché il livello competitivo della Big 12, la cui South Division conta ora tre squadre a quota 6-0 con due vittorie a testa all’interno della conference medesima, non è affatto inferiore. Il tremendo incrocio di sfide che avverrà da qui a fine mese è destinato ad abbattere rapidamente questa aura di imbattibilità, in un raggruppamento dove l’equilibrio è molto maggiore di quello che si potesse riuscire a pensare.
Molti si chiedevano come mai Tim Tebow non ricordasse neanche lontanamente il giocatore che un anno fa aveva vinto l’Heisman Trophy nel suo anno da sophomore: una delle risposte più convincenti è arrivata dal suo offensive coordinator, Dan Mullen, che ha analizzato il comportamento del suo quarterback notando che il ragazzo non stava più giocando con l’istinto e la determinazione del fantastico campionato scorso, evidenziandone qualche esitazione di troppo nelle decisioni da prendere sul campo. “Gli ho consigliato di dimenticare alcune delle cose imparate quest’anno e di tornare a giocare come un anno fa” ha detto Mullen, “a volte mi sembrava una sorta di professore, pensava semplicemente troppo a quello che doveva fare, lo analizzava di continuo.”
La tattica psicologica del coach ha dato i propri frutti nel big match che attendeva i Gators contro Lsu, che ha messo di fronte gli ultimi due campioni nazionali uscenti e che aveva un doppio motivo di rivincita per Tebow e soci, il primo di vendicare la sconfitta patita nel campionato scorso all’ultimo minuto di gioco, la secondo quello di riscattare la clamorosa sconfitta di quindici giorni fa contro Ole Miss. Se poi ne vogliamo anche un terzo, mettiamoci pure che c’era in palio un posto di prestigio nel ranking, all’interno del quale la squadra di Urban Meyer doveva necessariamente recuperare posizioni dopo il recente capitombolo.
Ebbene la missione è stata compiuta con pieno successo, Florida si è sbarazzata dell’avversario triturando yards e punti sin dal kickoff iniziale, e pur concedendo una piccola rimonta a ridosso dell’intervallo la squadra ha saputo trovare la reazione giusta, mettendo in piedi con prontezza un drive di 67 yards terminato dritto in meta, arma mentale che secondo Tebow l’edizione 2007 dei Gators non aveva in faretra.
Florida ha terminato la sua prestazione offensiva con 475 yards contro le 321 avversarie, tra le quali sono spiccate le sole 35 concesse al running back Charles Scott, proveniente da una striscia di partite in tripla cifra, l’attacco dei Gators si è dimostrato versatile ed efficace sotto tutti i punti di vista, dimostrando che non c’è necessità di far correre continuamente il proprio quarterback come accedeva invece dodici mesi fa. Il playmaker Percy Harvin ha superato le 100 yards su ricezione e segnato altre due mete, confermando che il suo ritorno dall’infortunio ha dato non poco respiro alla squadra, mentre il running game è stato fatto funzionare dal freshman Jeff Demps, 129 yards in soli 10 tentativi, e da Chris Rainey, che ne ha aggiunte altre 66. Un punteggio molto pesante da mandare giù per i Tigers di Baton Rouge, che non subivano più di 50 punti dal 1996, è stato arrotondato dal ritorno di intercetto di 52 yards del linebacker Brandon Spikes, che due settimane fa si era scusato con i compagni per la brutta prestazione contro i Rebels, e che lo scorso sabato ha trovato modo di riconfermarsi quale indiscusso leader della difesa.
Il destino di Clemson si è compiuto prima del previsto, la squadra che era stata pronosticata come nona d’America in pre-stagione ed arrivata alla presente settimana di gioco con un misero ed inaspettato record di 3-3 ha salutato poche ore fa coach Tommy Bowden, che ha preferito mettersi da parte ammettendo di aver fallito la gestione delle aspettative che l’università teneva sulla squadra di football per quest’anno, a conti fatti forse un tantino troppo alte.
Bowden lascia con un bilancio di 72 vittorie e 45 sconfitte in un decennio di attività, due riconoscimenti come allenatore dell’anno ma senza quel titolo che i Tigers avevano a lungo sognato, e che pensavano di riuscire prima o dopo a vincere; il fatto che il 2008 sembrava potesse essere l’anno perfetto per compiere tutto il tragitto ha sicuramente gettato ulteriori pressioni e maggiorato i malcontenti nell’ambiente, ed ora dovrà essere valutata la reazione, da qui a fine anno, di un gruppo di ragazzi che sarà gestito ad interim dall’assistente Dabo Swinney, gruppo che dovrà fare di tutto per non rendere una già brutta situazione ancora peggiore.
Clemson ricomincia dalle novità in tutti i sensi, sabato contro Georgia Tech ci sarà difatti il debutto del quarterback Willy Korn, promosso a titolare dopo che Bowden, di seguito alla sconfitta di giovedì scorso contro Wake Forest, aveva deciso di mettere in panchina Cullen Harper, le cui prestazioni erano risultate finora molto deludenti.
Per amore del football si possono persino prendere delle decisioni clamorose, come nel caso di Trevor Wikrie, guardia offensiva della Mesa State College, una scuola di seconda divisione, il quale ha deciso di…farsi amputare il mignolo della mano per poter continuare a giocare.
L’antefatto risale allo scorso 30 settembre, quando il ragazzo si era gravemente infortunato in allenamento, e dopo attente valutazioni dei dottori si era deciso per l’operazione chirurgica e l’inserimento in injured riserve, che avrebbe comportato per lui la fine del campionato.
Piccolo inconveniente: Wikrie è un senior che a fine anno terminerebbe la propria eleggibilità, ed avrebbe fatto letteralmente di tutto per non finire anticipatamente lo sport che ama, per non lasciare in difficoltà i propri compagni, per vincere la Rocky Mountain Athletic Conference.
Ecco quindi la natura della stordente decisione, se il dito non può essere curato senza chiudere anticipatamente l’ultima stagione della propria vita collegiale, meglio togliersi il problema: via il dente (in questo caso il dito), via il dolore.
Curioso come il coach di Wikrie, Joe Ramunno, da giovane abbia dovuto subire lo stesso tipo di operazione, con la sola differenza di esservi stato costretto dalle circostanze, senza sceglierlo personalmente. Curiose anche le dichiarazioni del giocatore, che si è scherzosamente preso in giro elencando il numero di cose che non riesce più a fare senza il mignolo, e sottolineando che se la squadra dovesse aggiudicarsi il titolo l’importante sarà poter disporre dell’uso dell’indice, ovvero quel dito che notoriamente, in America, serve ad indicare il numero uno, il vincitore.
Se vi chiedevate fino a dove la dedizione al football potesse spingere un essere umano, eccovi serviti.