Ohio State vs Penn State: lo scontro si avvicina
Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando Ohio State aveva subito una batosta memorabile sul campo di Usc, ponendo a tutti gli effetti i Buckeyes fuori dai giochi per i primi due posti del ranking nazionale. I conti, nel college football, è meglio non farli né troppo presto né troppo celermente, le cose cambiano da un istante all’altro, equilibrio ce n’è in abbondanza e tempo per recuperare terreno non viene negato a nessuno.
Tastando il polso ai Buckeyes di quella che si appresta essere l’ultima settimana di ottobre si intuisce che non ci troviamo più davanti a quella squadra bagnata fradicia, lasciata fuori dalla porta durante la tempesta, bensì di fronte ad un gruppo di ragazzi ricompattato, che ha tratto le dovute conclusioni derivanti dalle bastonate ricevute in California e che ha soprattutto tenuti fermi gli obbiettivi di inizio anno, convincendosi che l’unico modo di tornare a vincere era non mollare di fornte alla prima difficoltà, per quanto essa fosse stata pesante da buttare giù.
Ohio State non è cambiata poi molto rispetto ad un anno fa, magari non sarà una contender di primissimo grado per il National Championship, ma il suo peso sa ancora come averlo. L’università che molti vogliono veder fallire (come chiunque vinca troppo in periodi consecutivi) è riuscita a dare ancora una volta l’impressione di poter dominare la propria conference, la Big Ten, all’interno della quale ha ottenuto quattro vittorie in altrettante partite disputate, mentre la striscia di successi complessiva è arrivata a quota cinque.
Non sempre tutto è andato a meraviglia, non sempre l’attacco è riuscito ad essere produttivo e non sempre l’avversario di turno era così pericoloso da ritenere i Buckeyes sfavoriti (5-9 il record combinato delle rivali di conference all’interno della stessa), tuttavia da quanto c’è Terrelle Pryor in cabina di regia non si è più perso, il quarterback ha difatti messo in scena molto del suo versatile potenziale offensivo stabilendosi a tempo pieno come soluzione definitiva per il futuro immediato e non, mentre in quelle giornate dove la gioventù del soggetto in questione si è fatta inevitabilmente sentire sotto forma di decisioni infelici, ci hanno pensato difesa e special teams.
Se le squadre speciali sono riuscite a tenere in piedi il palco per una partita intera, nello specifico quella contro Purdue, vinta senza segnare touchdowns offensivi e caratterizzata da un ritorno di punt bloccato e dai field goals dell’affidabile Ryan Pretorius, non sarebbe corretto far passare sotto il radar una difesa che ha concesso 10 punti complessivi nelle ultime due uscite, e che in particolare è riuscita a tenere Javon Ringer, running back di Michigan State che aveva viaggiato perennemente in tripla cifra prima di sabato scorso, a 67 yards in 16, poco fruttuosi, tentativi.
Battute quindi Wisconsin, Minnesota, Michigan State e Purdue la sensazione di dominio che i Buckeyes hanno destato con allucinante (per qualcuno fastidiosa) costanza negli ultimi tempi dentro la propria conference è rimasta tale e quale, addirittura sembra impossibile che siano la stessa squadra rientrata a casa dopo il 35-3 al passivo contro i Trojans in un viaggio aereo surreale, durante il quale nessuno aveva avuto il coraggio di profferire parola alcuna.
C’è di più: all’orizzonte c’è un fine settimana importante, che potrebbe, con un solo colpo di spugna, risistemare le cose facendo addirittura finta che non sia accaduto nulla. A Columbus arriveranno presto i Nittany Lions di nonno Joe Paterno, terzi assoluti del ranking, coinvolti in più che pertinenti discorsi di Championship dopo le numerose prestazioni convincenti offerte sinora, i quali rappresentano il nemico numero uno tra Ohio State e l’ennesimo titolo di conference, nonché una delle nove squadre d’America rimaste imbattute all’approcciarsi del giro di boa stagionale. Ecco quindi svelati i molteplici motivi per cui una vittoria contro Penn State diventerebbe di importanza capitale, in uno scontro assolutamente decisivo che andrà probabilmente ad assegnare la Big Ten e che potrebbe consentire ai Buckeyes stessi di scalare nuovamente il ranking, perchè si sa, quando si batte qualcuno che staziona là in alto da parecchio si finisce per spingerlo giù nel baratro e spesso e volentieri lo si supera pure.
La squadra allenata da Jim Tressell arriva allo scontro decisivo nella migliore forma possibile, con un Beanie Wells completamente recuperato dai problemi fisici e reduce dalla migliore prestazione stagionale, con un attacco completamente rinnovato rispetto alle prime due uscite in campionato ma soprattutto con un quarterback ben più pericoloso ed efficace di Todd Boeckman, per l’appunto appunto Pryor, un true freshman capace di lanciare missili terra-aria con la stessa facilità con cui si avventura in scramble seminando confusione tra le difese avversarie.
Pryor, che in settimana si era fermato in ufficio da Tressell chiedendo di essere sostituito se l’attacco non avesse funzionato a dovere nel primo tempo della gara poi (stra)vinta contro gli Spartans, giocherà una partita nella partita: fu lui difatti il protagonista principale dell’ultimo signing day, quel giorno dove i giocatori in uscita dalla high school ufficializzano per quale college giocheranno, nel quale l’indecisione si protrasse per ulteriori cinque settimane, nelle quali Terrell aveva passato il tempo a sfogliare la margherita, indeciso com’era tra Ohio State e Penn State. Sarà una motivazione in più per i Nittany Lions per ottenere una vittoria in risposta al suo mancato arruolamento? La difesa si concentrerà per fargli rimpiangere tale scelta? Appuntamento a questo sabato per il verdetto finale.
Qualche giocatore dei Buckeyes aveva fatto notare, nelle ultime settimane, che nonostante l’accumulo continuo di vittorie, la stampa ed i comitati vari non avevano avuto abbastanza rispetto per la squadra, più o meno la stessa sensazione avuta da alcuni ragazzi di Texas Tech, la cui appartenenza ai piani alti delle classifiche nazionali è stata più volte messa in dubbio dalla qualità dei successi sin qui ottenuti.
Sembra che tutti stiano attendendo un crollo che prima o poi deve arrivare, perlomeno così si potrebbe pensare giudicando dagli anni passati, nei quali la magnifica spread offense capitata da Graham Harrell aveva prodotto i classici fuochi d’artificio senza trovare adeguato supporto da una difesa a dir poco problematica, che spesso concedeva più di quanto il già generoso attacco riuscisse a produrre. Quest’anno, invece, è stata proprio la difesa a mettersi in primo piano nelle ultime due gare disputate e vinte dagli imbattuti Red Raiders, riusciti a condurre in porto delle situazioni difficoltose grazie all’intercetto di Jamar Wall qui già citato la settimana passata, andato a risolvere un’intricato overtime, nonché grazie ad un sensazionale secondo tempo disputato contro Texas A&M qualche giorno fa, nel quale il reparto ha concesso solamente 32 yards offensive agli avversari fornendo ad Harrell e compagni l’opportunità di riprendere senza frette eccessive un punteggio che all’intervallo vedeva Texas Tech sotto contro una contendente di qualità sicuramente inferiori.
Certo è che il calendario dei prossimi impegni di squadra non è una passeggiata, il che significa che vincere in questo momento conterà più di tutti gli altri per riuscire a convincere gli addetti ai lavori della propria effettiva consistenza: si comincia questo weekend con un’insidiosa sfida contro Kansas, la numero 23 assoluta, alla quale si susseguirà un vero e proprio inferno, da affrontarsi rispettivamente contro Texas, Oklahoma State ed Oklahoma, nessuna delle quali si trova al di fuori delle migliori 10 potenze della nazione. Ecco quindi che i Red Raiders potrebbero trovarsi tanto in alto come fuori dai giochi senza possibilità di rivalsa, sempre che i giocatori decidano di conoscere la posizione della propria università attraverso qualche notiziario o similari.
Curioso, forse da alcuni lati propedeutico, difatti, il distacco con cui i ragazzi di Mike Leach hanno vissuto la situazione: il safety Darcel McBath ha candidamente ammesso di non conoscere l’esatta posizione di ranking della sua squadra 24 ore dopo l’uscita della prima classifica BCS, e stesso discorso per la guardia offensiva Brandon Carter, che ha appreso la notizia addirittura da un suo docente nel bel mezzo di una lezione. “Siamo già passati attraverso alti e bassi, sono qui da quattro anni ed ho fatto esperienza”, ha detto Carter, “sappiamo quello che può succedere quando ti fai distrarre dagli eventi, una settimana vinci e sei nelle migliori 25, la settimana dopo perdi e te ne vai fuori altrettanto rapidamente.” Sante parole.
Virginia non sarà la migliore squadra in circolazione, anzi, la sua partenza attestava l’esatto contrario ed i disastri si erano susseguiti uno dietro l’altro. Si era partiti con un’apertura tra le peggiori possibili, l’esordio contro la forte Usc era finito male, 52-7 al passivo, si era quindi vinto contro la debole Richmond, ma giusto il tempo di un respiro e le sconfitte pesanti avevano nuovamente fatto capolino, con i Cavaliers ridotti così male da riuscire persino a farsi polverizzare dalla derelitta (non quest’anno, comunque) Duke.
Con il serio pericolo di ritrovarsi a giocare il resto della stagione così, giusto per il dovere di presenziare, il team di coach Al Groh ha saputo trovare la giusta reazione senza toccare gli equilibri e la chimica, vivendo una trasformazione tanto inattesa quanto decisa. Al momento di questo articolo i Cavs cavalcano una striscia vincente di tre gare consecutive, con risultati di sicuro prestigio arrivati contro East Carolina, una delle migliori compagini di inizio anno, Maryland, che era arrivata ad un certo momento alla cima dell’Atlantic Division della Acc e sorprendentemente lasciata a secco di punti con un sonoro 31-0, ed infine North Carolina, uno degli atenei più in forma del periodo, candidata a dire la sua nella lotta per la conquista dell’altro raggruppamento della Acc, la Coastal Division.
Se non sono cambiati i giocatori, cos’è dunque cambiato? L’impatto di alcuni di essi.
Anzitutto Cedric Peerman, che si era fracassato un piede nell’istante più bello del 2007, quando Virginia (9-4 l’anno passato – ndr) era accreditata addirittura per partecipare alla finale di Conference, che era tornato pieno di buoni propositi per questa stagione, cominciata però con i postumi di un infortunio al ginocchio che ne aveva continuamente condizionato le prestazioni offensive. Senza lui al 100% l’attacco era troppo pressato nel gioco aereo, gli errori dei quarterbacks provati da Groh si accumulavano con pesanti conseguenze e la difesa finiva inevitabilmente per stare in campo troppo a lungo, concedendo di tutto e di più.
Peerman ha fatto girare il suo personale campionato, e forse anche quello della sua squadra, con le 110 yards corse contro i Terrapins, ma soprattutto con le 173 (con due mete) propinate ai Pirates, mentre nell’ultimo incontro disputato, quello contro i Tar Heels, è stato limitato a 44 ma ha comunque segnato il touchdown della vittoria in overtime.
Groh, che ha apprezzato gli sforzi del giocatore nel conquistarsi yard aggiuntive e nel proporsi come ottimo ricevitore fuori dal backfield, ha sottolineato che Peerman ha contribuito alla causa non solo in campo, ma pure nello spogliatoio, dove si è distinto nel ruolo di veterano leader motivazionale in grado di parlare con franchezza ai compagni, facendo vedere loro la strada del recupero, infondendo speranza ad un gruppo che non ne aveva forse più.
Il coach ha inoltre avuto parole d’incoraggiamento anche per il suo giovane quarterback, Marc Verica, i cui 4 intercetti contro Duke sembravano averne segnato il destino: “Ogni squadra ha bisogno di un quarterback in grado di rimediare ai propri errori, uno che sappia combattere e recuperarti una partita apparentemente persa. E’ proprio quello che ha fatto Marc per due settimane consecutive.”
Verica si è ritrovato la squadra in mano senza mai essere sceso in campo in partite ufficiali, a causa dei problemi accademici di Jameel Sewell, colui che aveva condotto i Cavaliers all’ottimo record dell’anno passato, e dopo le cavolate combinate da Peter Lalich, quello che doveva essere lo starter e che ha finito per trasferirsi dopo essersi fatto estromettere dal team per motivi disciplinari.
Non sappiamo se la serie positiva potrà continuare contro una delle migliori squadre della Acc, Georgia Tech, nel prossimo fine settimana, né possiamo dire che la striscia di vittorie messa in piedi da Groh e dai suoi ragazzi possa essere paragonabile a quelle delle corazzate da top ten qui citate in precedenza. Tuttavia, in una conference che contiene più dubbi che certezze, e che dove tutto è veramente possibile, un turnaround del genere potrebbe trasformarsi in una delle storie più belle di questo avvincente campionato di college football.
Stay tuned.