BCS, una perenne controversia
La regular season è finita sabato scorso, i verdetti sono stati dati e la situazione presenta un quadro che non era mai stato così chiaro in precedenza, viste le persistenti situazioni di parità che avevano aggraziato ma anche appesantito la South Division della Big 12. La parità è stata sciolta, non perché una tra Texas, Oklahoma e Texas Tech abbia perso, ma perché qualcuno, i Sooners, ha vinto meglio degli altri, aggiudicandosi il diritto a disputare la finale di conference contro Missouri per via del controverso metodo informatico applicato dalla Ncaa nella gestione dei propri campionati, lasciando spazio a polemiche che tutti sono stanchi di sentire.
Texas, nonostante abbia terminato con il medesimo record dei Sooners, 11-1, e nonostante abbia inflitto loro l’unica sconfitta dell’anno dovrà rimanere al palo a guardare due avversarie che lei stessa aveva battuto in regular season scontrarsi per il titolo divisionale, e vedere Oklahoma, in caso di vittoria, andare dritta come un treno al National Championship contro la vincente della finale della Sec, una tra Alabama e Florida. Il motivo? Semplice, il modo in cui la Big 12, a differenza di altri raggruppamenti Bcs, determina l’ordine delle proprie classificate in caso di arrivo in parità, che viene determinato infischiandosene degli scontri diretti, normale fattore decisivo anche nel professionismo, ed ordinando le proprie squadre a seconda della loro posizione nel ranking Bcs.
Il fatto che, quindi, Texas abbia vinto il derby del giorno del tacchino contro Texas A&M, 4-8 in stagione, e che Oklahoma abbia sconfitto invece un avversario di Top 15 come Oklahoma State ha consentito ai Sooners il sorpasso in vista del traguardo nell’apposita classifica, la Bcs appunto, che solo sette giorni fa, a parità di condizioni aveva visto i Longhorns tenere con i denti quel secondo posto che sarebbe significato, Missouri permettendo, finale nazionale. E tutto è stato determinato dalla solita media dei sei cervelloni che hanno determinato la qualità e la difficoltà del calendario di ciascuna squadra invischiata in questa melma, con percentuali di differenza davvero irrisorie tra le due squadre in questione, e con legittimi dubbi sul fatto che sia davvero questo il sistema più idoneo per continuare a giudicare le squadre accreditate per il palcoscenico nazionale definitivo.
Oklahoma e Missouri giocheranno una delle tante partite che assegneranno nel fine settimana i titoli di conference per quei raggruppamenti che ne hanno una, questa in particolare si ripromette di essere una tra le più spettacolari in programma, dato che metterà di fronte due attacchi ad alto contenuto di yards. I Sooners hanno una striscia aperta di quattro partite consecutive con oltre 60 punti segnati ai danni dei malcapitati avversari, Sam Bradford è probabilmente ad una partita di distanza dalla conferma che è lui il vero candidato principe all’assegnazione dell’Heisman Trophy, mentre i Tigers potrebbero essere assetati di vendetta per il fatto di aver perduto, all’ultimo istante e con un calcio sbagliato, la sfida d’orgoglio contro Kansas, e si troverebbero quindi nell’unica possibilità di rimediare ad una stagione nettamente al di sotto delle aspettative. Le due squadre non si sono mai incontrate quest’anno, ma la finale di conference sarà una riedizione di quella di dodici mesi fa: nel 2007 Oklahoma si impose sia nel championship che nella sfida di regular season.
Eccitante, a dir poco, la prospettiva di spettacolo che si svolgerà al Georgia Dome di Atlanta, sede prescelta per ospitare la resa dei conti tra l’imbattuta Alabama e la fortissima Florida. Opposte, in questo caso, le qualità delle due squadre coinvolte, dal momento che i Crimson Tide utilizzano uno stile genericamente fisico e punitivo sia in fase offensiva che difensiva, mentre i Gators usano muovere le catene con dinamicità ed atletismo, con giocate che possono esplodere in qualsiasi momento in campo aperto, e sfruttando la capace mobilità di Tim Tebow, in grado di mischiare le carte costringendo la difesa a leggere gli handoff ai running backs distinguendoli da una sua corsa personale o da una finta. Unico problema per Florida la caviglia di Percy Harvin, playmaker offensivo di fondamentale importanza che potrebbe non farcela a scendere in campo. Ad ogni modo, l’laltra finalista nazionale verrà da qui.
Di qualità presumibilmente inferiore sarà invece la finale della Acc, che opporrà a Virginia Tech, che alla fine ce l’ha fatta anche quest’anno (e fanno tre finali in quattro anni) alla sorpresa Boston College, la quale si pensava avesse dovuto pagare a maggior prezzo la fase di transizione da Matt Ryan a Chris Crane. Potrebbe e dovrebbe essere una gara inversa rispetto alle due precedentemente presentate, in quanto si sfideranno due squadre molto forti in difesa e non illuminanti in attacco. Gli Hokies poggeranno tutto o quasi nelle facoltà atletiche di Tyord Taylor, ritornato in buona salute dopo i tanti piccoli infortuni, e saranno persino imitati da dei Golden Eagles costretti a rinunciare a Crane per i problemi alla spalla che ne hanno terminato la stagione avvalendosi di Dominique Davis, regista dotato delle medesime qualità di scrambler di Taylor. Sarà una gara tra chi, fra attacchi e difese, riuscirà a segnare di più, visto che i reparti offensivi si muovono spesso a fatica e quelli difensivi hanno sostenuto entrambe le compagini per tutta la stagione togliendosi la soddisfazione di riportare in meta più di qualche ovale.
East Carolina, dopo un campionato molto altalenante, è riuscita in parte a mantenere gli elevati ritmi di inizio anno, dove si era distinta con successi di qualità per poi cadere risucchiata nella mediocrità, e si è ugualmente guadagnata un posto per la finale della Conference Usa, alla quale verrà opposta a Tulsa, una delle storie più belle della stagione di cui tra queste righe vi avevamo già parlato in passato. David Johnson, acclamato quarterback dei Golden Hurricane, è a tutti gli effetti uno dei cinque migliori registi in azione dall’alto dei suoi 42 passaggi da touchdown con il 66% di passaggi completati, e guiderà un attacco di grande potenziale contro una squadra che ha vinto cinque partite di regular season con scarti inferiori o uguali ai cinque punti. La chiave, per Tulsa, potrebbe quindi essere quella di prendersi un consistente vantaggio sin dalle prime battute.
Chiudiamo con la finale della Mac, la meno importante del lotto, dove Ball State tenterà di coronare una delle sue migliori campagne della storia. MiQuale Lewis, running back da 20 mete, e Nate Davis, altro quarterback meritevole di considerazione, sono stati tra i motivi dell’imbattibilità sinora mantenuta dalla squadra, che ne ha fatto materiale da ranking, fatto che comunque dovrà impedire di sottovalutare la vincitrice della divisone East, Buffalo, che nelle ultime sei partite ha compilato un record di 5-1.
Il tempo di Charlie Weis a Notre Dame potrebbe essere finito qui, alla luce dei cattivi risultati riportati nelle ultime due annate e considerata la mancanza di progressi fatti vedere sul campo nonostante la presenza di una delle menti offensive più geniali degli ultimi tempi.
Le decisioni da prendere da parte della direzione atletica dell’ateneo potrebbero essere state sveltite dalla pesante sconfitta che i Fighting Irish hanno rimediato nella classicissima contro Usc, dove gli schemi chiamati da Weis non hanno prodotto primi downs fino all’ultimo gioco del terzo quarto arrivando a collezionarne solo quattro in totale, che assieme a 91 yards di total offense sono risultati essere tra le peggiori prestazioni d’ogni epoca per la prestigiosa università.
Incomprensibili le dichiarazioni post gara di Jimmy Clausen, il quarterback, che ha detto di non vedere la squadra così distante dal punto in cui si era prefissata di arrivare, e dello stesso Weis, che ha avuto il fegato di sostenere che tutti hanno giocato con passione e dedizione dal primo all’ultimo minuto. Tutto questo con una sconfitta di 35 punti e con una capacità di reazione pari allo zero, dal momento che l’ex offensive coordinator dei Patriots non ha mai avuto il coraggio di tentare una conversione di quarto down, di tirar fuori la borsa dei trucchi e di fare qualsiasi azione atta a scuotere i suoi ragazzi, mantenendo un atteggiamento tanto remissivo quanto già sconfitto in partenza.
Mentre una pesante spada di Damocle pende sul testone del panciuto Weis, Tennessee ha definitivamente svoltato pagina chiudendo l’era Phil Fulmer con due vittorie consecutive, e salutando il coach che aveva dichiarato che a fine stagione avrebbe abbandonato la scialuppa. A sostituirlo con effetto immediato sarà Lane Kiffin, ex capo allenatore degli Oakland Raiders, il quale è già operativo in questi giorni dal punto di vista del recruiting, ed ha già abbozzato uno staff che, ascoltando le prime indiscrezioni, potrebbe comprendere anche la presenza del padre Monte, che abbandonerebbe così il ruolo di defensive coordinator dei Tampa Bay Buccaneers. Kiffin, già prolifico scout ai tempi di Southern California, ha dichiarato che si muoverà tentando di convincere prospetti provenienti dalle high schools di tutta la nazione, ma che darà un occhio di riguardo ai ragazzi provenienti dagli istituti locali, nel tentativo di impedire alle concorrenti di farsi corsare all’interno del suo territorio, cosa molto importante considerato il fatto che l’abbandono di Fulmer ha già fatto cambiare idea a più di qualche candidato che aveva dato la sua parola ai Volunteers.
Clemson ha invece confermato Dabo Swinney, interim head coach in sostituzione di Tommy Bowden, che si è guadagnato un posto fisso dopo essere riuscito a qualificare i Tigers in extremis per un Bowl. Swinney è stato premiato con un contratto di cinque anni, la direzione è rimasta soddisfatta della svolta che il coach ha saputo dare alla squadra in un’annata così particolare e difficoltosa, dove perlomeno ci si è tolti la soddisfazione di battere gli arci-rivali di South Carolina, regalando a Steve Spurrier l’ennesimo boccone amaro di questa sgraziata stagione.