Centottanta minuti per chiamarsi dentro

Tre partite da giocare per chiudere i conti e solo tre squadre con il passaporto timbrato 2009 in tasca, oltre a Tennessee e New York Giants, dominatori assoluti nella rispettiva Conference di appartenenza, anche gli Arizona Cardinals rimettono piede in postseason dopo una vita passata a ricostruire e sognare. Dieci anni, 1998-2008, dieci anni per rivedere i Cardinals in postseason, la terza volta dal 1982 a oggi. Cardinals che passano grazie a un vecchietto come Kurt Warner ed anche, bisogna ammetterlo, per una division come la Nfc West non proprio irresistibile che ha vissuto sui tragici fallimenti di Seattle, ormai alla fine di un ciclo, e St. Louis, ormai sull’orlo di una crisi di nervi e che dovrà con fermezza affrontare una vera e propria rivoluzione non appena terminata la stagione.

Dietro le tre sorelle un gruppo piuttosto numeroso di squadre alla ricerca di un posto al sole, gruppo che, tra speranze vere o presunte, battaglierà per altri 180 minuti di football prima di dedicarsi a calcoli, conteggi e spareggi per capire se potrà o meno far parte del ricevimento di fine anno. A memoria, sperando di non dimenticare nessuno, diremmo Carolina, Tampa, Atlanta, New Orleans, Minnesota, Chicago, Dallas e Philadelphia in Nfc, Miami, New York, New England, Pittsburgh, Denver, San Diego, Baltimora e Indianapolis in Afc. A chi manca un passetto a chi un vero e proprio salto da record olimpico, ma tra queste situazioni è piacevole sottolineare quella della Afc East.

Con New England che, vittima di un ricambio generazionale in corso e dell’infortunio di Tom Brady, si è trovata a far fronte ad una discontinuità di gioco cui non era abituata. A prendere la scia subito i NY Jets dell’altro grande vecchietto della Lega, Brett Favre, immediatamente sospinti ai vertici del power ranking di Nfl.com due settimane fa in seguito alla trionfale vittoria sugli (allora) imbattuti Tennessee Titans. Una favola che si riscriveva, una Nfl in completa estasi perché, piaccia o meno, un Super Bowl con Brett Favre non avrebbe prezzo, un impatto mediatico immenso e la solita splendida storia da raccontare su un uomo che dopo quasi un ventennio passato a ruggire e far tremare le tribune del Lambeau Field tornava a far parte dell’epilogo di una stagione da trionfatore contro tutto e tutti: critici, detrattori ed “ex tifosi”.

Dalla chiamata del sito ufficiale della Lega ad oggi, però, due sconfitte in altrettante partite e situazione di assoluta parità coi Patriots e con i Miami Dolphins che, chi lo avrebbe detto, vorrebbero giocarsi il ruolo del “terzo che gode”. Dopo l’avvio a tutta velocità dei Buffalo Bills era impensabile trovare una volata di questo tipo e, viste le condizioni di classifica (tutte le squadre ferme a 8-5), resta sottinteso l’obbligo primo per l’accettazione alle partite dei playoff: vincere la division. Vincerà il talento dei Jets? L’esperienza dei Pats? O il ruolo di terza incomoda dei Dolphins?

Di certo c’è che a Miami abbiamo riscoperto un Bill Parcells in forma eccellente nel suo ruolo di gestione, incarico che sta ricoprendo alla perfezione, con una strategia ed una guida al suo staff che stanno dando ottimi frutti. E siamo solo all’inizio. Avevamo lasciato il Tonno un po’ a pezzi, dopo l’errore di Tony Romo alla Wild Card 2006 in quel di Seattle, quel pallone scivolato via dalle mani mentre, come holder, giocava lo snap decisivo per la partita e la stagione. Lo avevamo lasciato un po’ bollito, incapace di perseguire con coerenza un progetto nonostante la capacità di riconoscere materiale umano di livello pregiato non gli fosse certo venuta a mancare.

Gran lettore di umori e caratteri, Parcells ci aveva avvisato, proprio alla vigilia di quella partita a Seattle, di quanto il talentoso Romo fosse incline alla facile esaltazione. “Dovrebbe pensare di più a giocare e meno a… proclamare” aveva detto, più o meno, il vecchio saggio tra i risolini confusi della stampa. Eppure oggi a Dallas c’è chi comincia a pensare che questo quarterback venga a mancare proprio nei momenti decisivi, ogni volta. Vista lunga? Forse sì forse no, magari solo questione di tempo, di sicuro c’è che la sua mano a Miami si è già fatta sentire e, benché non si possano non riconoscere le difficoltà di una intera divisione, il futuro della franchigia della Florida sembra oggi un po’ più splendente.

A partire da subito, con la possibilità di sognare ancora una qualificazione che ai più è sempre parsa impossibile. Ma ora è giunto il momento dello sprint finale e, forse, lo vincerà chi ha ancora più fiato in corpo e non chi, sulla carta, ha più armi nascoste nel bagagliaio. Una sfida che eccita Parcells, pronto alla grande riscossa per la quale, ne siamo sicuri, sarà pronto a premiare e ringraziare tutti i suoi uomini, dall’head coach Tony Sparano in giù.

Miami Domenica ospiterà una San Francisco piuttosto deludente, mentre i Patriots saranno a far visita a degli Oakland Raiders che non stanno poi meglio dei cugini della baia, anzi, il contrario. I Jets, invece, ospiteranno una ormai spaesata Buffalo. Non impossibile rinviare il tutto alla week 16 dove i ‘Phins avranno forse la sfida meno semplice da affrontare; all’Arrowhead Stadium di Kansas se la vedranno con dei Chiefs certamente in difficoltà ma sempre in grado di tirare qualche scherzo poco piacevole all’occorrenza. Giornata in cui New England ospiterà la sazia Arizona e New York volerà a far visita ai derelitti Seahawks. Resteranno poi le due sfide incrociate in chiusura, tre giorni dopo Natale: i Patriots in casa dei rivali di Buffalo e lo scontro diretto al Giants Stadium tra Jets e Dolphins, forse il momento della verità. Arrivarci alla pari significherebbe presentare un antipasto alla Wild Card, una sorta di turno preliminare. Poi, eventualmente, cominceranno i conti, i calcoli e chi più ne ha più ne metta, ma il destino di questa divisione sembra legato a lungo termine con la data del 28 dicembre.

E a proposito di antipasti ai playoff, giovedì notte va in scena Chicago-New Orleans, altro crocevia per il paradiso che, a nessuna delle due squadre, potrà però garantire con certezza una wild card in caso di vittoria visto che entrambe si trovano ad inseguire altre formazioni. Lo scorso anno le due squadre si fronteggiarono all’ultima di campionato quando, seppure con poche ambizioni, gli unici a poter sperare erano i Saints, anche se alla loro vittoria avrebbero dovuto far seguito una serie di risultati da incastrare l’uno con l’altro. I Bears vinsero e tolsero ogni problema ai matematici del caso. L’anno prima la sfida fu una finale di Conference piuttosto inattesa e sentita tra due team in un certo senso rivelazione. Vinse di nuovo Chicago che poi avrebbe perso il Super Bowl contro gli Indianapolis Colts.

Fu quella l’ultima sfida in cui vedemmo davvero al completo, nel senso di football giocato, la grande difesa dei Monsters of Midway esibirsi al livello di eccellenza e continuità che ha caratterizzato, a periodi alterni, la storia di questa squadra. La difesa ancora guidata da coach Rivera si fece beffare da una grande giocata di Reggie Bush a fine primo tempo per esplodere, risentita ed umiliata da un’esultanza beffarda del running back dei Saints nei confronti di Brian Urlacher, in una ripresa di livello immenso, dove per Drew Brees e soci non ci fu nulla da fare fin quando, anche in attacco, i Bears presero il largo grazie soprattutto alle giocate di Thomas Jones e Cedric Benson.

Oggi quella gara ha un sapore decisamente diverso, il gusto della delusione per quello che, dopo quel 2006, non si è più riuscito a ricostruire con cura e costanza. Errori, infortuni, sfortuna, tutto quanto può accadere in Nfl in quelle due squadre è successo, e non sono certo le sole. Sono però due casi di squadre che sembrano annegare in un bicchiere d’acqua lasciando che il tempo che corre bruci i momenti migliori, le chance più importanti per poggiare su fondamenta solide e vincenti. Questa sfida mantiene però quantomeno il gusto del dentro-fuori che solo le gare di playoff hanno e, per quanto le due franchigie non si possano definire due pretendenti al titolo e nemmeno, come detto poc’anzi, non abbiano alcuna certezza, vincendo, di passare al secondo livello di gioco, la gara che ci si aspetta è di quelle che sembrano potersi fare apprezzare.

Per l’intensità, per il sapore di rivincita, per il magnifico attacco dei Saints contro la tosta ma altalenante difesa dei Bears, per misurare Reggie Bush contro Lance Briggs ed il valore di un Matt Forté arrivato esausto oltre il livello denominato a volte “rookie wall”, il muro passato il quale una matricola perde in fisicità per via della poca abitudine a misurarsi in stagioni così lunghe.

Sfida che potrebbe valere anche qualche riconferma sulla sideline per il prossimo anno, soprattutto tra i coordinatori delle due squadre che devono, in un modo o nell’altro, recuperare fiducia e ambizioni verso il futuro per ripartire, nel 2009, da un punto diverso da quello che ti fa vivere tutto come un fallimento. E, lo sappiamo, il punto migliore da cui cominciare a vincere è sempre quello di stare in campo a gennaio, per sentirti importante, per sentirti un eletto, per sentirti parte del momento decisivo della tua carriera. E, perché no, per sentirti a poche gare da un anello che nessuno potrà mai più toglierti. I Playoff vissuti sul rettangolo verde. E’ più scomodo del divano di casa, ma regala sensazioni decisamente diverse.