Ronnie Lott
Se si potesse scegliere un aggettivo per descrivere il defensive back Ronnie Lott, dovrebbe essere “appassionato”.
Uno dei più grandi colpitori di sempre, Lott giocava ogni down con un atteggiamento impavido, quello di chi vuol vincere tutto.
Sembrava un giocatore di un’altra era, parlava spesso della sua ammirazione per grandissimi mastini del passato come Dick Butkus, Ray Nitschke e Sam Huff, e del suo desiderio di raggiungere i loro livelli di gioco.
Eletto All-America a USC, Lott fu l’MVP dei Trojans nel 1980.
Guidò l’intera Pac 10 con 8 intercetti nella stagione da senior, e totalizzò qualcosa come 250 placcaggi nei 4 anni di college.
Di fronte a simili numeri, i San Francisco 49ers decisero di farne la loro prima scelta – ottava assoluta – in occasione del draft 1981.
Lott, come già aveva dimostrato al college, forniva un servizio completo.
Aveva velocità, forza e conoscenza del gioco tali da distinguerlo dalla maggior parte degli altri defensive backs.
E, come si sperava, il ragazzo divenne un punto di riferimento difensivo dei ‘Niners, che dominarono la NFL negli anni ‘80.
I suoi 14 anni di gioco pressoché incomparabile non solo gli diedero il diritto ad essere paragonato a mostri sacri del calibro di Butkus, Nitschke e Huff, ma anche il privilegio di raggiungerli nella Pro Football Hall of Fame.
Durante la sua straordinaria carriera con i 49ers (1981-1990), i Los Angeles Raiders (1991-1992), ed i New York Jets (1993-1994), Lott ottenne qualcosa come 10 convocazioni al Pro Bowl in 3 diverse posizioni – cornerback, strong safety e free safety.
Per 2 volte guidò la Lega quanto ad intercetti.
È ancor oggi al sesto posto nella classifica assoluta per numero di intercetti, ben 63.
Infranse il muro dei 1.000 placcaggi in carriera nel 1993, e disputò 5 stagioni con almeno 100 placcaggi all’attivo.
In 20 partite di playoff (tutte giocate da titolare), mise a segno 9 intercetti, 89 placcaggi, un fumble forzato, un fumble recuperato e 2 TDs.
Nato l’8 Maggio 1959 ad Albuquerque, New Mexico, Lott crebbe in una famiglia di militari.
Il padre prestò servizio per oltre 20 anni nell’Aeronautica degli Stati Uniti.
“Mio padre ha servito il nostro Paese attraverso due guerre”, disse una volta Ronnie.
“Ero sempre orgoglioso di lui, volevo essere come lui”.
Lott non si limitava semplicemente ad ammirare il padre: quest’ultimo e la madre, infatti, influenzarono profondamente la sua vita.
“I miei genitori avrebbero anche potuto essere solo severi, ma non lo erano”, disse l’atleta.
“Erano molto più di questo”.
Era cresciuto con un insegnamento in particolare: quello dell’importanza di vedere un problema da entrambi i lati.
“La maggior parte dei bambini è educata col concetto di ‘giusto, giusto, giusto’” ricordò Lott.
“Non gli viene mai insegnato che c’è qualcosa di sbagliato. Mio padre è stato in grado di insegnarmi che qualcosa è giusto perché qualcos’altro è realmente sbagliato. Mi faceva sempre capire perché qualcosa non andava”.
Quando Ronnie aveva 5 anni, l’Aeronautica riassegnò il padre, e la famiglia si trasferì a Washington, D.C.
Non deve sorprendere, quindi, il fatto che Ronnie fosse da subito diventato un tifoso dei Redskins.
“Quando ci vivi, diventi per forza un maniaco dei Redskins, non c’è niente da fare – ed è quello che è accaduto a me”, disse.
Ma il football non era il suo unico amore: seguiva anche il basket (specialmente i Boston Celtics), il baseball e l’hockey.
Dalla più tenera età, sognava di diventare un atleta professionista.
“Sognavo di essere Charley Taylor che portava palla, o Sonny Jurgensen, o Frank Howard dei Senators. Ero K.C. e la Big O”, disse.
“Quando giocavo da bambino, non c’erano limiti, non avevo mai la sensazione per cui ‘Devi fare così e solo così”, disse in un’invervista a Sporting News nel 1994.
“A casa mi piaceva moltissimo allenarmi da solo. Sapete che la maggior parte dei bambini non lo fa. Io lo adoravo. Lanciavo sempre un pallone in aria e l’afferravo; mi immaginavo intento a correre in meta o a fare una grande giocata, a seconda di quello che mi passava in testa. La stessa cosa succedeva quando giocavo a basket o leggevo di grandi giocatori. Mi immaginavo di essere loro”.
Alla fine, la famiglia Lott si trasferì a Rialto, California.
Ronnie frequentò la Eisenhower High School, dove giocò a football, baseball e basket.
Venne eletto All-League in ciascuna delle 3 stagioni liceali nel football e nel basket, e 2 volte nel baseball.
Fu principalmente per il football, comunque, che i college e le Università più importanti cercarono di accaparrarselo: a spuntarla furono i Trojans di USC, con i quali Lott ebbe una carriera stellare.
I suoi 14 intercetti furono la quarta miglior prestazione di sempre nella storia dell’ateneo.
Con 8 intercetti messi a segno nel 1980, fu il secondo miglior giocatore dell’intero Paese.
Oltre al titolo di MVP di quell’anno, fu anche votato come Most Inspirational Player della squadra.

Con la maglia di USC
Comprensibilmente, le aspettative su Ronnie erano decisamente alte quando i 49ers lo selezionarono.
Fu anche osannato come “miglior atleta” a roster praticamente del giorno del draft.
“Potrebbe proprio essere il miglior giocatore di questa squadra al momento”, disse l’allora coach e GM dei 49ers, Bill Walsh, a proposito della selezione di Lott.
Il talentuoso rookie fu nominato CB di sinistra titolare dal primo giorno di training camp.
Altri 2 rookie DBs, il CB Eric Wright e la SS Carlton Williamson divennero anch’essi titolari.
Il trio di pivelli, insieme alla SS veterana Dwight Hicks, si affermarono ben presto come la pietra angolare di una difesa rosso-oro decisamente migliorata.
Ma, senza ombra di dubbio, fu Lott ad emergere come vero leader.
“Ronnie è un perfezionista, e pretende che tutti giochino al suo livello”, disse Wright.
Gli anni ‘80 furono un decennio eccezionale per i 49ers.
Dopo aver vinto solo 10 gare nelle precedenti 3 stagioni, nel 1981 la Cenerentola San Francisco chiuse con un eccellente 13-3-0.
Sconfissero i Dallas Cowboys per 28-27 nel Championship NFC e poi piegarono per 26-21 i Cincinnati Bengals in occasione del Super Bowl XVI.
Altrettanto notevole fu il gioco del rookie da USC.
Per 7 volte “pizzicò” i lanci dai QBs avversari, e ne riportò 3 in meta, cosa che riuscì solo ad un altro rookie, l’Hall of Famer dei Detroit Lions Lem Barney.
Il suo straordinario stile di gioco lo portò al titolo di All-Pro ed al primo dei suoi 10 Pro Bowls.
Fu anche in corsa per il titolo di NFL Rookie of the Year, terminando alle spalle di un altro Hall of Famer, il LB Lawrence Taylor.

“Se non altro, penso che la chiave del mio primo anno fu che, man mano che la stagione proseguiva, il mio livello di sicurezza aumentava proporzionalmente”, disse Lott.
Nonostante i 49ers non avessero mai trovato il giusto ritmo nella stagione 1982, accorciata a causa dello sciopero dei giocatori, Lott fu nuovamente selezionato per il Pro Bowl.
Solo nella seconda stagione, il giovane DB stabilì un record di franchigia, con il quarto intercetto riportato in meta.
Lui stesso avrebbe infranto quel record, portandolo a 5 nel 1986.
I 49ers tornarono a ruggire nel 1983, giungendo sino al Championship NFC.
Lott totalizzò 108 placcaggi, all’incirca 30 in più di qualunque altro difensore di San Francisco.
E la sua reputazione di grande colpitore crebbe ad ogni placcaggio, avvicinandolo quasi ad una leggenda.
“Nessuno ha mai provato a colpire un avversario con più forza di lui, e lo fa regolarmente”, sottolineò l’allora HC dei Jets Pete Carroll.
“E’ una delle straordinarie sfacettature del suo gioco – il suo coraggio ed il suo atteggiamento da guerriero”.
Lott era fiero della propria reputazione, e certamente sentiva di non doversi scusare per il proprio stile di gioco così fisico.
Nel libro “Total Impact: Straight Talk From Football’s Hardest Bitter” che scrisse con Jill Lieber, Lott descrisse come sarebbe stato assorbire uno dei suoi colpi.
“Se pensi di voler giocare nella NFL, e vuoi scoprire se sei in grado di sopportare un colpo sferrato da Ronnie Lott, ecco cosa devi fare: afferra un pallone da football, lancialo in aria, e prima di afferrarlo, fai in modo che il tuo migliore amico ti colpisca in pieno con una mazza da baseball. Niente paraspalle. Niente casco. Solo tu, il tuo migliore amico e la più grande Louisville Slugger che riesci a trovare”.

Nel Super Bowl XXIII, Ickey Woods, il potente RB dei Bengals, scoprì a proprie spese quanto potesse essere forte un colpo di Ronnie Lott.
Ad inizio partita, Woods stava correndo bene, conquistando molte yards contro la difesa di San Francisco.
Dopo la prima serie offensiva dei Bengals, Lott arrivò sulla sideline ad annunciò: “Non preoccupatevi di Ickey, spegnerò io il suo fuoco”.
Secondo Ray Rhodes, all’epoca allenatore della secondaria dei ‘Niners, Lott colpì Woods con una tale forza che “gli tolse la scintilla dal corpo. Quello fu il momento decisivo della gara, perché da lì in poi Ickey non corse più con la stessa autorità”.
Certamente non era solo il marchio di fabbrica sui colpi a rendere Lott così efficace.
Il suo modo di giocare andava oltre l’aspetto meramente fisico.
Studiava il gioco.

La sua competitività ed intensità erano incomparabili. Studiò persino il tae kwon do, arte marziale coreana, nel tentativo di migliorare la propria flessibilità e autodisciplina.
Giocatore versatile, Ronnie metteva sempre il bene della squadra prima delle proprie considerazioni.
“Sin da quando ero un bambino, non ho mai parlato di “Io”, ma di “Noi”, disse.
“La parola squadra è sempre stata così sacra per me che mi confronto faccia a faccia con chiunque solo per fargli capire che è tutto ciò che conta per me la Domenica”.
Furono la sua modestia e versatilità che permisero agli allenatori dei ‘Niners nel 1984 e nel 1985 di farlo giocare sia come cornerback che come free safety.
Nel 1985, fece lo spostamento prima della quinta gara stagionale.
Totalizzò ben 80 impressionanti placcaggi, e stabilì il primato stagionale di squadra quanto ad intercetti (5) dopo il cambio.
Ma ancora non era soddisfatto delle proprie prestazioni.
“Giocare come FS richiede un diverso tipo di attitudine”, spiegò.
“Devi essere più disciplinato e paziente, non puoi gironzolare troppo nel mezzo. La stagione 1985 fu una sorta di apprendistato per me”.
Apparentemente, l’apprendistato sembrò funzionare.
Nella stagione successiva, Lott, giocando da FS, guidò la NFL con 10 intercetti.
Fu votato nuovamente All-Pro e convocato al Pro Bowl.
Sempre dedito allo studio del gioco, Lott aveva la straordinaria abilità di intuire la direzione in cui una giocata si sarebbe sviluppata e di bloccarla in qualche modo.
“Per bloccare una giocata devi vederla al rallentatore”.
Da sottolineare che, nel 1991, Lott venne ancora insignito del titolo di All-Pro giocando in una terza posizione con la divisa dei Raiders, che lo misero sotto contratto come free agent.
Questa volta il DB – ancora una volta in vetta alla Lega con 8 intercetti messi a segno – venne schierato in posizione di strong safety, nella quale non aveva più giocato dai tempi di USC.

In divisa Raiders
Ronnie disputò 2 stagioni ai Raiders prima di firmare come free agent per i Jets, con la cui divisa avrebbe giocato i suoi ultimi 2 campionati.
Ancora efficacissimo come giocatore, Lott fu la SS titolare in entrambe le stagioni a New York.
Benché le sue statistiche non fossero eguali a quelle dei tempi d’oro, la leadership di Lott in campo e fuori fu incommensurabile.
Infatti, nel 1994, alla sua ultima stagione, fu insignito del Dennis Byrd Award, come giocatore fonte di maggiore ispirazione per la squadra.

Con la casacca dei Jets
Quello stesso anno, Lott fu inserito nell’NFL’s 75th Anniversary All-Time Team.
Tom Landry, leggendario coach ed Hall of Famers dei Cowboys, disse una volta di lui: “E’ come un middle linebacker che gioca da safety. È devastante. Sa dominare la secondaria meglio di chiunque abbia mai visto”.
“Quel tizio andrà a Canton sui pattini”, disse l’allora HC dei New England Patriots, Bill Parcells. “Ho visto da vicino cosa sa fare. È uno dei migliori giocatori di sempre. . . Riassume ciò che un difensore dovrebbe essere, ed è in grado di avere un effetto su tutti i compagni di squadra”.
Il Grande Tonno non sbagliava, ed infatti Ronnie ha il suo busto nella Pro Football Hall of Fame grazie a queste impressionanti statistiche:
– 14 stagioni NFL;
– 192 partite disputate;
– 8.5 sacks;
– 63 intercetti;
– 730 yards su intercetto;
– 11.6 yards di media ad intercetto;
– 5 TDs;
– 8 kickoff riportati;
– 113 yards su ritorno di kickoff;
– 14.1 yards di media a ritorno;
– 1 fumble della propria squadra recuperato;
– 16 fumbles avversari recuperati;
– 43 yards su ritorno di fumble.

Lott all’introduzione nella Pro Football Hall of Fame
Nel corso della sua carriera, Lott fu più di un grande giocatore.
Era uno studioso del gioco, un insegnante ed un leader.
Amava e rispettava il gioco.
Ronnie Lott giocava duro. Giocava pulito.
E, ciò che più conta, giocava sempre con passione.
Fonte: http://www.profootballresearchers.org/Coffin_Corner/22-04-856.pdf
Autore: Joe Horrigan
Originariamente pubblicato su “The Coffin Corner”
Il sopra riportato testo costituisce una traduzione dell’elaborato originale, i cui diritti di proprietà intellettuale ed economica spettano al relativo Autore.
Nel novero dei migliori defensive back non poteva mancare. Un eccellente articolo che rende giustizia ad uno dei migliori di sempre.
Altro campionissimo a me quasi totalmente sconosciuto. Che dire…..Grazie Diegone!!!
Un mostro, sceso sulla terra per fare capire a tutti, cosa voglia dire giocare nella NFL.