Dante “Glue Fingers” Lavelli

Dante Lavelli giocò solo tre partite come ricevitore nell’anno da sophomore a Ohio State nel 1942, e poi si infortunò. L’anno seguente fu arruolato nella Fanteria statunitense e, durante i suoi tre anni e mezzo di servizio, non giocò per nulla a football.
Dopo il congedo dall’Esercito, Dante scelse di saltare i due anni di eleggibilità e di provare ad entrare direttamente nel mondo dei professionisti. Trovò una sponda nel suo vecchio allenatore di college, Paul Brown, che stava preparando i Cleveland Browns per la nuova All-America Football Conference. Lavelli firmò per i Browns all’inizio del 1946.
Quell’estate, quando giunse al training camp, era il meno esperto e conosciuto dei cinque giocatori che si giocavano un posto nella nuova squadra. Uno dei candidati era un professionista solido. Due erano ex stelle del college che avevano acquisito fama nazionale come membri di grandi team.
Il quarto era John Yonaker, prodotto di Notre Dame, un giocatore che non ci si poteva lasciar scappare. Già dopo la fine delle scaramucce estive, i primi tre erano stati cacciati dal camp, e Yonaker era passato al ruolo di DE.
Così lo smilzo Lavelli (6-0 per 199 libbre), il ragazzo che aveva disputato solo tre partite al college, divenne il ricevitore di destra dei Browns. Quello fu il primo grande trionfo tra i pro del nativo di Hudson, Ohio, e l’inizio di una carriera così sensazionale da portarlo al più ambito degli onori per un giocatore, ovvero l’introduzione nella Pro Football Hall of Fame.
Al momento dell’ingresso di Dante tra i miti di Canton, Paul Brown era lì; era stata infatti la sua decisione, quando il ragazzo era un semplice freshman ad Ohio State, a proiettarlo nell’Olimpo del pro football.

Una ricezione sotto doppia copertura
Al liceo Dante Bert Joseph Lavelli , figlio di un immigrato italiano sbarcato negli States nel 1905, era stato un grandissimo QB: le sue corse ed i suoi passaggi avevano garantito agli Hudson Explorers ben tre stagioni senza sconfitte. Passò ai Buckeyes come HB, ma Brown notò prestissimo un difetto nel suo stile di corsa, e decise che avrebbe avuto maggiore successo come ricevitore.
Una volta appreso delle intenzioni del proprio coach, Lavelli iniziò a lavorare duro, imparando e perfezionando i tagli e le finte. All’inizio della stagione da sophomore, aveva messo al sicuro il ruolo da titolare. Dopo tre incontri, in occasione della sfida contro Southern California, si infortunò e non giocò più in una squadra di college.
Dopo il congedo, Lavelli pensò dapprima di darsi al baseball professionistico. Già durante gli anni di liceo gli era stato offerto un contratto per giocare nelle giovani dei Detroit Tigers.
Dante scelse invece di diventare un professionista del football. “Avevo visto una partita tra pro a New York. Uno dei miei compagni di Ohio State giocava con i Giants”, disse Lavelli. “Pensavo che se ce l’aveva fatta lui, avrei potuto farcela anch’io. Così, quando Brown, il mio vecchio coach, mi offrì una chance, ero davvero pronto”.
Brown non rimpianse mai di aver dato fiducia a Lavelli: Dante, infatti, divenne una star praticamente dalla prima gara.

Splendida presa volante
Nell’anno da rookie, fu il migliore della AAFC quanto a ricezioni, con 40 prese per 843 yards, ed una incredibile media di 21.8 yards a ricezione, oltre ad 8 TDs. Coronò quella grande stagione, nella quale fu anche scelto per l’All-AAFC Team, ricevendo il passaggio della vittoria nella finalissima contro i New York Yankees. Come “pro sophomore,” Dante portò il totale delle ricezioni a 49, e venne nuovamente nominato All-AAFC. Una volta, nel 1949, stabilì il record di lega di 4 TD passes ricevuti in una sola gara, contro i Los Angeles Dons. Le cose andarono sempre così per “Glue Fingers” nei quattro anni in cui i potentissimi Browns dominarono la AAFC.
Una volta terminata la “guerra” con la Lega madre, i Browns entrarono a far parte della National Football League: molti scettici ritenevano che il team e le sue presunte stelle avrebbero faticato a reggere il passo della NFL. I Browns, come squadra, accettarono la sfida, ed altrettanto fecero, individualmente, i giocatori di maggior spicco. Lavelli non fece eccezione. Ricevette 37 passaggi al primo anno in NFL e, nella celebre finalissima del 1950 tra i Browns ed i Los Angeles Rams, la squadra che aveva abbandonato Cleveland nel 1946, ne ricevette 11 e mise a segno 2 TD; i Browns si imposero per 30-28. Lo smilzo WR fu nominato All-NFL nel 1951 e nel 1953, e giocò titolare in tre dei suoi primi cinque Pro Bowl.

Lo straordinario attacco di Cleveland
Senza dubbio, era uno degli ingranaggi meglio funzionanti nella strepitosa macchina da punti chiamata Cleveland, che portò i Browns a sei titoli divisionali ed a tre titoli NFL nelle loro prime sei stagioni nella Lega.
Con gli anni, Lavelli divenne il bersaglio preferito di Otto Graham, il grande QB e comandante in campo di Cleveland. Nelle sue 11 stagioni di carriera, Lavelli totalizzò 386 ricezioni per 6.488 yards e 62 touchdowns. Tutte quelle ricezioni, tranne sole venti, furono messe a segno con Graham in cabina di regia. Come ogni grande combo quarterback – ricevitore, Graham e Lavelli passarono lunghe ore ad imparare le abitudini dell’altro.
Dante sapeva correre alla grande le sue tracce, ma quando capiva che qualcosa non stava andando per il verso giusto, preferiva andare in profondità per poi girarsi verso Graham e chiamare palla.
“Quel grido mi ha aiutato molte volte”, ammise Graham, anche lui Hall of Famer. “Dante aveva una voce penetrante, e quel suono era il benvenuto quando un paio di DT grandi e grossi stavano per avventarsi su di me. Più di una volta abbiamo messo a segno dei TDs su quei giochi rotti”.

Lavelli ed il grande amico Graham
Un’altra delle azioni preferite di Lavelli era un trucco copiato da Don Hutson, lo straordinario asso dei Green Bay Packers. Dante correva verso i goal posts, ne afferrava uno con una mano girandoci attorno ed era pronto a ricevere il perfetto lancio di Graham sbucando dall’altro lato.
Lavelli è ricordato come giocatore veloce, ma non eccezionalmente rapido. Lavorava duramente sulle tracce, ma era molto più pronto ad abbandonarle in caso di guai rispetto ad un Raymond Berry.
Ciò che distingueva Dante da tutti gli altri ricevitori erano le sue grandi mani: questo spiega perché gli venne attribuito il nomignolo di “Glue Fingers”, che l’avrebbe accompagnato per tutta la carriera.
“Penso che Dante abbia le mani più forti che io abbia mai visto”, osservò una volta Brown. “Quando stacca per ricevere un passaggio ed un difensore fa altrettanto, puoi essere certo che sarà Lavelli ad avere in mano il pallone quando scendono. Nessuno riesce mai a strapparglielo una volta che ci mette le mani sopra”.
Graham fece eco alle lodi del suo coach: “Avevamo molti buoni ricevitori ai Browns, ma quando si parlava di grandi mani, non c’era nessuno migliore di Old Spumoni”.
Graham si ritirò dopo la finalissima del 1955 , ma Lavelli fu convinto a restare per un altro anno. “Glue Fingers” fu ancora uno dei ricevitori di punta dei Browns, ma ricevere lanci da altri QBs non era esattamente la stessa cosa. Decise quindi di ritirarsi a 33 anni.
Sia come individuo che come membro di una squadra che aveva fatto dei titoli conquistati un modo di vivere, Dante aveva vissuto pressoché tutte le cose belle che si potevano trovare nel pro football. Quella che mancava era solo la Pro Football Hall: ma, seppur a distanza di anni, anche quel traguardo venne raggiunto, grazie a queste eccezionali statistiche:
– 11 stagioni tra i pro;
– 123 incontri disputati;
– 386 ricezioni;
– 6.488 yards;
– 16.8 yards di media a ricezione;
– 62 TDs;
– 372 punti segnati;
– 52.7 yards di media a partita;
– 3.1 ricezioni di media a partita;
– 2 corse;
– 23 yards su corsa;
– 11.5 yards di media a portata;
– 0.2 yards di media a partita;
– 4 fumbles;
– 2 fumbles recuperati.
– 2 ritorni di kickoff;
– 10 yards su ritorno;
– 5.0 yards di media a ritorno.

Dante con il suo busto a Canton
Pochi mesi fa, il 20 Gennaio 2009, “Glue Fingers” se n’è andato per sempre, all’età di 86 anni.
Dante Lavelli rimarrà un esempio per tutte le generazioni a venire: è infatti riuscito a compiere, con determinazione ed impegno, il lungo viaggio dal fondo del football professionistico sino alle vette più alte di questo straordinario sport.
Fonte: http://www.profootballresearchers.org/Coffin_Corner/23-02-889.pdf
Autore: Don Smith
Originariamente pubblicato su “The Coffin Corner”
Il sopra riportato testo costituisce una traduzione dell’elaborato originale, i cui diritti di proprietà intellettuale ed economica spettano al relativo Autore.
Bella Diegone!!!
Altro bel tassello per sempre meglio conoscere i grandi miti di questo sport…..Grazie!!!
Ps.e chi lo sente Gigi adesso:appena lo vede sballa!!! 🙂
SPETTACOLOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!!!
questa era gente VERA non gli sfigati che abbiamo adesso!!!!
Grande Diegone! GRAZIE!