Franco Harris

Dopo 39 stagioni, di cui 26 perdenti, gli Steelers posero la prima pietra di una decade di successi grazie ad un runningback “italiano”.

Questa è la sua storia.

Franco Harris nasce il 7 marzo del 1950 a Fort Dix nel New Jersey, terzo di nove fratelli. Il padre , Cad Harris, è un afroamericano che ha combattuto in Italia nella seconda guerra mondiale, e dall’Italia non riporta solo ferite e medaglie, ma anche una moglie, Gina.

Il nostro Franco inizia a giocare a football nella Rancocas Valley Regional High School, dove diventa All-American.

Nel 1969 si iscrive al college, Penn State, e gioca fullback correndo 380 volte per 2.002 yards e 24 touchdowns. Nonostante le grandi prestazioni all’Orange Bowl del 1970, al Cotton Bowl del 1972 e al College All-Star Game, Franco viene superato, nella considerazione di molti addetti ai lavori e del pubblico, dal suo compagno di squadra, l’HB Lydell Mitchell, a cui spesso porta i blocchi.

Quando nel 1972 fu selezionato al primo giro del draft (13ma scelta assoluta) dai Pittsburgh Steelers, in molti criticarono la scelta pensando che il giocatore su cui puntare fosse proprio il compagno di college (scelto poi al secondo giro dai Baltimore Colts)

Ma Franco non ci mise molto a far ricredere anche i più scettici: nella sua prima stagione corse 188 volte per 1.055 yds con una media di 5,6 yds per portata, segnando 13 TD, e fu nominato Offensive Rookie of the Year.

Quando, alla fine del 1972, gli Steelers guadagnarono l’accesso ai playoff, non erano certo i favoriti.

La storia diceva che dal 1933, anno della fondazione della franchigia, non avevano mai vinto una sola gara in postseason. Ma in quegli anni si stava costruendo una delle squadre più forti della storia della NFL, e uno dei protagonisti era proprio quel rookie italo-afro-americano.

Il 23 dicembre 1972 i Pittsburgh Steelers ospitavano i favoritissimi Oakland Raiders per il Divisional Playoff.

Alla fine del quarto quarto, con soli 22 secondi da giocare, l’ovale era di Pittsburgh per un 4° e 10, con Oakland avanti 7 a 6. Questa la situazione quando il QB degli Steelers, Terry Bradshaw, sparò un Hail Mary Pass verso il ricevitore “Frenchy” Fuqua. Il difensore dei Raiders, Jack Tatum, arrivò contemporaneamente al pallone, che fu sbalzato all’indietro di una decina di yards.

Proprio lì stava correndo Franco Harris, il quale arpionò la palla a pochi cm da terra e sulla spinta di un Three Rivers Stadium impazzito, corse le 45 storiche yards che lo separavano dalla gloria e dalla riconoscenza di un’intera generazione di tifosi, segnando il touchdown della vittoria.

John Madden, coach dei Raiders, chiese il challenge su quella che tutt’oggi rimane una delle chiamate più controverse (e affascinanti) di sempre.

Dopo che gli arbitri convalidarono il touchdown, il mitico Myron Cope (voce storica degli Steelers) battezzò la giocata come “The Immaculate Reception”, consegnando Franco Harris alla storia di questo sport.

http://www.youtube.com/watch?v=07zsdF0ysP0

Nel 2006 fu installata una statua a grandezza naturale nell’aereoporto di Pittsburgh, raffigurante proprio Franco che compie la Immaculate Reception.

Franco’s Italian Army

Nei primi anni Settanta, Pittsburgh era una città dura, in cui il lavoro ruotava intorno alle acciaierie e in cui molti abitanti erano immigrati. Di questi, una larga parte erano italiani, e l’improvvisa ascesa di quel giovanottone dal sangue misto diede a tanti lavoratori un motivo per andare allo stadio orgogliosi delle proprie origini.

Durante una partita contro Cincinnati, Franco ruppe un placcaggio di un difensore ed alcuni inservienti di colore esclamarono “Thata way, Soul Brother, get it on”.

Rocky Lo Cascio, un addetto alla sicurezza italoamericano, sentendoli gli rispose “Potrà anche essere un Soul Brother, ma le sue gambe sono italiane”.

Da quella battuta e dall’entusiasmo del pasticciere Tony Stagno, nacque l’idea di creare un gruppo di tifosi italoamericani di Franco. Indossando elmetti militari khaki , sventolando il nostro tricolore e forse esagerando col vino, erano il gruppo di tifosi più rumoroso dello stadio e si chiamavano “Franco’s Italian Army”.

I numeri di Franco

Con gli Steelers, Franco vinse quattro Super Bowl. Nel primo di questi, giocato nel 1975 contro i Minnesota Vikings corse per 158 yards e un touchdown e fu nominato MVP.

Corse in otto stagioni per più di 1.000 yards, battendo il record di Jim Brown, e fu scelto per nove Pro Bowl consecutivi dal 1972 al 1980.

Nonostante questo, in molti criticavano lo stile di corsa di Franco, che spesso correva esternamente, e che preferiva uscire dal campo anzichè subire i placcaggi. Non si gettava nella mischia a testa bassa di potenza, come Earl Campbell, ma quel suo modo di correre gli permise di saltare pochissime partite e di dare il meglio di sé in postseason.

Se questa storia incredibile può avere un difetto per noi tifosi Black and Gold, questo sta nella stagione 1984, quando il giocatore e la dirigenza non trovarono l’accordo per il contratto e Franco firmò per un’ultima stagione con i Seattle Seahawks, giocando solo otto gare e guadagnando le ultime 170 yards della sua carriera.

La riconciliazione con i Rooney avvenne comunque subito dopo il ritiro, che consegnò alle statistiche i seguenti numeri:

12.120 yards su corsa;

2.287 yards su ricezione;

91 TD su corsa;

9 TD su ricezione;

47 partite sopra le 100 yds;

8 stagioni sopra le 1.000 yds;

1.556 yds e 17  TD in postseason;

354 yds corse nei quattro Super Bowl disputati.

Introdotto nella Pro Football Hall of Fame nel 2000, il suo numero non è mai stato ufficialmente ritirato, ma nessuno ha mai più indossato il 32.

Se dovesse succedere, sarà comunque difficile che la sua storia possa essere più interessante e vincente di quella del nostro Franco, cui un intero settore di stadio gridava: “Run Paisano Run“!