Chargers: il draft.

A quindici giorni dal weekend di offseason più seguito dagli appassionati di Football, facciamo una breve disamina del draft dei Chargers, con l’obiettivo di delineare le needs coperte, individuare i ruoli sui quali verosimilmente si proverà ancora ad intervenire quando (se) il lockout finirà ed inizierà finalmente la free agency, tentare di interpretare le motivazioni alla base di talune scelte che nondimeno hanno lasciato cadere possibili soluzioni alternative.

È stato un draft relativamente insolito per i Bolts, se non altro perché il GM A.J. Smith ed il suo entourage della “war room” non hanno effettuato trades e già questa è di per se una notizia. In possesso di 5 scelte tra le prime 89, delle quali 2 nella seconda metà del 2° giro e altre 2 nella seconda parte del 3°, San Diego ha preferito rimanere con le picks a disposizione come solo altre due volte aveva fatto negli ultimi 10 anni, utilizzandole per scegliere elementi di cui, per svariate ragioni, aveva bisogno immediato, rinunciando per contro alla propensione “aggressiva” che invece aveva caratterizzato la maggior parte degli ultimi draft. Le cinque scelte eseguite nei primi tre rounds rappresentano infatti il massimo per i Chargers dal draft del 1995.

Nell’ambito della nostra chiacchierata pre-draft avevo avuto modo di sottolineare alcune delle lacune evidenti che presentava il reparto difensivo, in particolare il front three della 3-4 defense in procinto di essere riproposta anche dal nuovo DC Greg Manusky. E le attese in tal senso non mi hanno smentito, anche se i Chargers hanno preferito il mix di forza, energia, resistenza e dinamismo del DT Corey Liuget (si pronuncia “Lee-jit”) da Illinois, uno dei migliori inside three-technique del draft 2011, rispetto alla prestanza fisica del DE Cameron Jordan da California (scelto poi come il predecessore Alualu da un’altra franchigia che corre una 4-3 defense, stavolta i Saints) o altresì alla potenza del DT Muhammad Wilkerson da Temple o del five-technique Cameron Heyward da Ohio State, selezionati rispettivamente da Jets e Steelers (quindi da altre franchigie che invece corrono la 3-4) sul finire del primo round. La sensazione è peraltro quella che il giovane Liuget sia in assoluto il più pronto tra i citati a contribuire subito da titolare, sin dalla stagione d’esordio.

Uscito infatti presto dal board il DE J.J. Watt da Wisconsin (pick n° 11), prototipo di strongside 3-4DE per la nuova 3-4 “Bum Phillips” defense (dal nome dell’ex DC nei Chargers del periodo AFL 1967/70) che il nostro ex DC Wade Phillips (il figlio di Bum) intende installare agli Houston Texans, i Chargers non hanno esitato nel reindirizzare la propria scelta n°18 su Liuget (6-2, 301 pounds) uno dei migliori defensive tackle della Big Ten conference, considerato dagli analisti un eccellente under tackle in 1-gap 4-3 defense (specie per “40” front agili come quelli da “cover 2”) eppure per qualità atletiche, forza fisica, rapidità di piedi e velocità nell’utilizzo delle braccia, adatto a ricoprire anche il ruolo di 3-4DE con compiti non solo di controllo della linea di scrimmage ma anche di pass-rush e penetrazione interna nel backfield avversario. L’atletismo di Liuget, non comune in un 300 libbre, gli permette infatti di essere un fattore sulla linea anche in run-stuff, altro aspetto sicuramente valutato dal coaching staff di San Diego per migliorare se possibile la rushing defense, che da un punto di vista meramente statistico è risultata l’unica misura difensiva che sotto Rivera non ha visto primeggiare i Bolts nella passata regular season [1° posto in total defense (271.6 ypg) e pass defense (177.8 ypg), 4° posto in rush defense (93.8 ypg) dopo Steelers, Bears e Jets)].

Nato il 18 marzo 1990 a Miami (Florida) e già parecchio considerato in uscita dal liceo (4 star prospect dei principali recruiting services), Liuget scelse Illinois rispetto alle borse di studio proposte, tra gli altri, da LSU, Florida State e dalla stessa “The U”. Dopo aver debuttato subito da true freshman nel 2008 è divenuto titolare effettivo dalla junior season 2010, la sua ultima al college (63 tackles, 12.5 TFL, 4.5 sacks, 3 pass breakups e 10 QB hurries). Sarà dunque un rookie di soli 21 anni. Complessivamente, nel triennio agli Illini, ha totalizzato 125 tackles, 25.5 TFL, 8.5 sacks e 7 PBU.

È appena il terzo defensive tackle selezionato dai Chargers al primo giro del draft negli ultimi 36 anni (ossia dal 1975, l’anno di Gary “Big Hands” Johnson). L’altro DT selezionato al primo round è stato, nel 2005, proprio l’altro starter 3-4DE Luis Castello, anche lui proveniente dalla Big Ten, da Northwestern l’unica università privata di quella conference che pure ha sede in Illinois (Evanston).

“He’s relentless” (“È implacabile”) questo il termine utilizzato da A.J. Smith quando gli hanno chiesto di descrivere in breve la prima scelta Liuget alla prima intervista post draft. Al ragazzo hanno invece domandato in che modo abbia intenzione di aiutare i Chargers: “Keep my mouth closed as a rookie and show ’em I’m here to win football games”. A parole parte benissimo, per il momento meglio non aggiungere altro.

Le scelte dei Bolts, ormai lo sappiamo, possono assumere sempre almeno un certo livello di imprevedibilità, di conseguenza non c’è stato molto da stupirsi quando la prima selection del secondo giro (n° 50) è stata utilizzata su Marcus Gilchrist (5-10, 195 pounds), defensive back da Clemson. Scelta che mi piace, considerate le qualità specifiche, la versatilità e la combattività del ragazzo da High Point (North Carolina).

Nato l’8 dicembre 1988, è arrivato a Clemson (S.C.) come uno dei migliori prospetti CB del paese, giocando in tutte le partite sin dalla stagione true freshman. Nei suoi 4 anni al college, ha infatti disputato complessivamente ben 53 gare (record eguagliato per Clemson), con 28 partenze da titolare (le ultime 27 consecutive), totalizzando 211 tackles, 5 TFL, 1 sack, 1 intercetto, 19 break-up pass, 3 fumbles forzati e 2 recuperati. Ha iniziato (frosh) e chiuso (senior) la carriera universitaria da cornerback, ruolo che d’altra parte necessita di nuova linfa a San Diego data l’età che avanza di Quentin Jammer (32). Ma la stagione sophomore (2008) e quella junior (2009), quest’ultima con 14 gare da starter, le ha giocate da free safety segnalandosi pure lì [4 volte in doppia cifra per tackles nel 2009, tra le quali contro TCU (10 stop), Miami (11, con 1 FF e 1 FR) e Georgia Tech (13 nell’ACC Championship)]. Il tipo di DB che è Gilchrist, istintivo, veloce (4.48), rapido in chiusura, ma anche aggressivo contro le corse, duro e determinato, piacerà sicuramente al nuovo DC, date le sue “idee” difensive. Gilchrist ha esperienza anche come nickelback ed ha sempre giocato nelle squadre speciali, sia come produttivo kick e punt returner, sia come gunner.

A me intriga tanto la sua combinazione di forza (26 ripetizioni alla bench press 225 pds della Combine, 2° assoluto tra i DB), intelligenza in campo e temperamento che potrebbero farne un playmaker in secondaria, magari pure nel ruolo di safety, mai ricoperto adeguatamente in termini di produttività negli ultimi anni ai Chargers. In una offseason in bilico tra l’avvento di una superstar injury prone (Bob Sanders) e la comunque possibile (ma di certo dolorosa) dipartita in free agency di un talento giovane non ancora esploso definitivamente (Eric Weddle), è bene coprirsi le natiche con un ragazzo in grado di contribuire subito in più ruoli, grande agonista ma disciplinato negli schemi, un tipo di player di cui tutti i coach vorrebbero disporre.

The biggest reach in the 2011 NFL draft. He’s overachiever”. Macché! “He’s a strong physical tackler and this year the best ILB in pass coverage”. “This is a very nice pick (n° 61) for the San Diego Chargers”. Insomma, chi è davvero Jonas Mouton (6-1, 240 pds) da Michigan? Il 4-3 weakside linebacker poco considerato da taluni scout e dagli analisti di ProFootballWeekly, oppure lo stimato 3-4 inside linebacker descritto da Mel Kiper Jr. della ESPN ovvero il top 60 prospect predetto second round pick dallo scouting di Russ Lande e dai suoi analisti sui magazines di “Sporting News” ? Per una volta voglio essere fiducioso, schierandomi con i secondi, nella speranza ovvia che il campo poi non giunga a smentirmi.

Di sicuro anche AJ Smith e Co. hanno visto nell’ex high recruit safety losangelino convertito in linebacker (117 tackles a guidare la Big Ten conference, 8.5 TFL, 1 FF e 2 FR, 2 sacks, 2 intercetti e 3 PBU da senior nel 2010) un prospetto da plasmare presto in uno starter per San Diego, non solo un mero contributor da special teams come alcuni hanno fatto passare. Se non altro perché la situazione a roster nel reparto specifico non è delle migliori, con entrambi i titolari (Stephen Cooper e Kevin Burnett) unrestricted free agents, e la prima riserva (Brandon Siler) restricted di 4 anni. Se il ruolo di ILB quest’anno non offriva quella qualità che pare appartenere viceversa al prossimo draft, c’è da dire che alcuni OLB sembrano invece avere le giuste prerogative per contribuire con efficacia da inside in sistemi 3-4. Tra questi vi è anche Mouton, visto che già ai Wolverines si muoveva in un ruolo molto simile a quello che verosimilmente gli sarà chiesto di ricoprire nei Chargers, ovvero quello che nel 2010 ha visto la breakout season di Burnett (“Ted” linebacker per i puristi) le cui mansioni principali sono: copertura della underneath zone, anticipo delle routes avversarie e rapida chiusura sulle medesime, capacità di blitzare ed infine compiti sulle corse che possono anche essere limitati al controllo di un solo gap (quello “B” sul lato del TE). Ricordo infatti che Manusky è stato LBs coach sotto Wade Phillips nel periodo 2004-06 e che a San Francisco ha praticato largamente quel tipo di difesa, la “3-4 Phillips” appunto. Le qualità specifiche per giocare in quella posizione appartengono alla grande al LB da Michigan, run blitzer aggressivo che sfoggia notevole istinto in pass recognition e naturale propensione al drop coverage, probabile reminiscenza del suo passato da safety. Mouton peraltro ha in dote quella tackling ability e la produzione contro le corse che lo stesso Burnett per larghi tratti stenta ad esibire.

Per visualizzare le potenzialità sopra cennate del nostro uomo suggerisco di vedere la partita di college che Michigan ha disputato a Notre Dame (South Bend, Indiana) nel settembre 2010: una prestazione da 11 tackles (1 TFL), 1 intercetto e 1 pass deflected, finito nondimeno nelle mani di un compagno di squadra. Attenzione perché non si tratta solo di una “buona partita”, considerato quanto prodotto nelle 12 gare disputate (con 11 partenze da titolare) vale a dire una media di 10 stops per gara, senza contare che un infortunio ai muscoli pettorali gli ha fatto saltare la gara di Purdue e lo ha parzialmente limitato nelle ultime uscite, quelle contro Wisconsin (comunque 13 tackles e 1 FR), Ohio State (9 con 1 TFL) e nel Gator bowl contro Mississippi State.

Mouton è efficace run defender, con una più che adeguata playing speed che gli permette di coprire il campo rapidamente sideline-to-sideline e di presentarsi spesso al tackle con ottimi angoli di placcaggio. È ben fisicato, possiede una discreta agilità laterale e una buona rapidità di braccia in esecuzione che gli consentono sovente di battere nell’ingaggio anche i bigger blockers.

Vagliato tutto, pazienza allora se nel “fatale” 40 yard dash della Combine di Indianapolis ha corso nel tempo di 4.86 anziché in un preventivabile 4.65 altrove misurato (Ann Arbor). Per fortuna, ci sono ancora franchigie che nel parametrare i prospetti guardano ai football players, ché non si possono scegliere per la NFL solo i centometristi…

La scelta di dedicarsi alla copertura delle più evidenti “necessità” difensive, ha per contro altare trattenuto la possibile selezione di un playmaker offensivo nel ruolo di wide receiver già al secondo round. Nonostante si sia poi andati a coprire la need con la scelta n° 82 (terzo giro) del valido hometown boy Vincent Brown (5-11, 187 pds) da San Diego State, ammetto che era nei miei desideri l’utilizzo della pick 50 o della 61 in tal senso. E se magari per prendere il deep-threat Titus Young da Boise State (selezionato alla n° 44 da Detroit) a conti fatti si sarebbe dovuto salire sacrificando così quantomeno una scelta successiva, avrei fatto più di un pensierino sul versatile all-purpose Randall Cobb da Kentucky, una sorta di nuovo Hines Ward finito ai Green Bay Packers alla n° 64 (ultima di secondo giro). Intendiamoci, Brown (nato il 25 gennaio 1989), wide receiver produttivo agli Aztecs, ha davvero delle ottime mani, grande pulizia nel correre le tracce e splendido controllo di corpo; nonostante manchi della top-end speed e dell’accelerazione ricercate, avrà senz’altro modo di contribuire, come slot, underneath target e possession receiver. Ma tenute presenti le situazioni contrattuali di Malcom Floyd (RFA in odore di diventare UFA) e dello stesso Vincent Jackson (non ha ancora firmato il tender del Franchise Tag) mi sarei aspettato una mossa importante in quella direzione.

Confermano, a mio giudizio, l’esigenza di intervenire ancora sul reparto le stesse voci circolate in questi giorni che vedrebbero i Chargers attenti nel “monitorare” la situazione del veterano Steve Smith di Carolina, un campione giunto alla soglia dei 32 anni e nell’ultima fase della carriera. Smith ha ancora 2 anni di contratto ai Panthers alla cifra complessiva di 15 milioni di dollari. Il fatto che abbia “liberato l’armadietto” e messo in vendita la casa di Charlotte sembrano segnali di una volontà del giocatore di cambiare aria, magari per ritornare vicino alla nativa Lynwood (Los Angeles County). Una trade per il giocatore da parte di qualsiasi franchigia appare tuttavia allo stato irrealistica stante quel contratto, che diversamente andrebbe ristrutturato. Sempre ché non si concretizzi l’eventualità di un taglio “alla Tomlinson” dell’ex pro-bowler da parte di Carolina. D’altronde il 10° anno di Smith è stato il peggiore della carriera, con statistiche dimezzate (554 rec. yards e 2 soli TD) rispetto al 2009. Ma Smith è ancora integro e la sua produttività può rialzarsi, purché le sue qualità vengano inserite nel contesto di un’offense organizzata e che lui stesso giochi con adeguate motivazioni: non è quindi un caso che i rumors abbiano riportato subito l’interesse dei Chargers (per via appunto della destinazione) e dei Jets (perché Braylon Edwards e Santonio Holmes pure sono FA e per la concreta possibilità di giocare, in una piazza ambita, per il titolo). Staremo a vedere.

L’altra selezione del terzo giro (n° 89) è andata invece sul CB Shareece Wright (5-11, 185 pds) un altro prodotto locale (nato l’8 aprile 1987 a Colton, nella San Bernardino County) uscito da Southern California. La sua scelta rafforza la mia convinzione rispetto a quanto detto in precedenza su Gilchrist. A cornerback serviva depth e Wright è risposta immediata a tale esigenza. Shareece è particolarmente adatto in press-coverage, meno in off-coverage. Possiede ottima velocità (4.46) e buona closing speed, è run supporter fisico e volenteroso. Ha avuto qualche infortunio di troppo nel corso della sua carriera universitaria che ha generato qualche dubbio sulla sua “durability”. Per esempio ha avuto una microfrattura al collo che ha causato la medical redshirt per la stagione 2008. Inoltre, ha avuto qualche problemino off-field (ha scontato un anno di libertà vigilata più 200 ore di servizio per la comunità per un arresto ad un party nel settembre 2008). Per la season 2009 è stato “academically ineligible” e non ha quindi disputato la stagione con USC, ma ha poi potuto partecipare all’Emerald Bowl vinto contro Boston College nel quale ha peraltro avuto l’unico intercetto della carriera. Il suo valore è cresciuto esponenzialmente nel 2010 quando ha prodotto una breakout senior season da 73 tackles, compresi 7 TFL, 10 break-up pass, 2½ sacks, 2 fumbles forzati e altrettanti recuperati. Il primo dei 2 FR è entrato suo malgrado nella videoteca più clikkata di youtube: lo registrò infatti a Stanford pochi attimi prima che su di lui piombasse un irreale Andrew Luck a spegnergli letteralmente la luce con un tackle pazzesco per un quarterback, una delle giocate più reclamizzate e memorabili dell’intera annata 2010 di college football. Wright ha giocato costantemente anche negli special teams di USC, bloccando pure un field goal (contro Virginia). Ha grande potenziale per giocare da gunner.

Il terzo giorno di draft, dopo aver atteso due rounds e quasi un centinaio di picks, come avevo pronosticato i Chargers sono andati sul multi-purpose back che nelle loro speranze dovrebbe prendere l’eredità di Darren Sproles. Ciò che non avrei però mai potuto immaginare è che alla n° 183 dei Bolts potesse arrivare Jordan Todman (5-9, 193 pds) da Connecticut, Big East Conference Offensive Player of the Year nel 2010. Nato il 24 febbraio 1990 a New Bedford, nel Massachussetts, quindi anche lui prossimo rookie di 21 anni, Todman a mio parere è uno dei migliori dieci prospetti di quest’anno nel ruolo di HB.

Dopo essere stato da true-freshman (2008) il back-up di Donald Brown, un All-American prima scelta (n° 27) degli Indianapolis Colts al draft del 2009, Todman ha avuto due stagioni da oltre 1.000 rushing yards: da sophomore (2009) ne corse 1.188 con 14 TD, pur dovendo dividere le partenze da titolare e le portate con l’altro RB Andre Dixon; da junior (2010) ne ha prodotte 1.695, con altri 14 touchdowns, nella season in cui UConn ha giocato il Fiesta Bowl. Nel novembre scorso, contro Pittsburgh, ha avuto una prestazione da 222 yards in 37 portate (6.0 di media) pur senza touchdown. L’anno precedente, ha avuto 5 partite da più di 100 yards, compresa quella a Cincinnati dove ha corso per 162 yards e 4 TD. Ha giocato anche come kick returner e sempre nel 2009 realizzò un kick-return TD da 96 yards nella partita contro Notre Dame.

Todman è RB particolarmente veloce sul dritto (4.43), abbastanza agile, con una buona accelerazione. Sa ricevere fuori dal backfield (specie screen pass) e sa farsi valere come cut blocker in pass protection. Non è un tackle breaker, non dispone di grande vision, non è atleta particolarmente esplosivo, ne elusivo. Per tali ragioni il suo ruolo nei Bolts sarà presumibilmente quello di third-down back e di kick (ma non punt) returner.

Le ultime scelte a disposizione, due compensatory pick, sono state infine utilizzate rispettivamente per un lineman e per uno special teamer. Sempre al sesto giro (pick 201) i Chargers hanno selezionato Stephen Schilling (6-4, 308 pds) anche lui da Michigan. Nato il 21 luglio 1988 a Bellevue, nello stato di Washington, è stato titolare per 4 anni ai Wolverines, giocando però da right tackle la stagione redshirt freshman e quella sophomore (con due partenze anche a right guard), da left guard la junior e la senior season. La sua selezione, ricorda quella del RT Clary che proprio al sesto round venne scelto nel 2006. A differenza di Clary però, Schilling pur essendo costruito come un tackle sembra più adatto a ricoprire un ruolo interno sulla linea offensiva, soprattutto perché ha delle braccia corte (arm: 32¾) rispetto alla lunghezza media degli OT da NFL (34½-35 inches) e non possiede grande agilità laterale per coprire efficientemente in pass protection. Viceversa, presenta buona rapidità allo snap, robustezza come run blocker, eccellente atletismo e mobilità downfield. Insomma, ha le caratteristiche giuste per contribuire sicuramente da guardia, ma anche una discreta versatilità per poter diventare un jolly sulla line. Dovrà comunque “sudarsi” il roster 53-men.

Con il compensatory pick n° 234 (settimo giro), guarda caso quello attribuito per la perdita di Kassim Osgood nella passata free agency, è stato invece selezionato Andrew Gachkar (6-2, 233 pds) outside linebacker nella 4-3 di Missouri (ha giocato opposto a Sean Weatherspoon nel 2009, poi nel 2010 ha preso il suo posto come primo tackler nei Tigers con 84 stops) ibrido (va provato da 3-4 OLB) che probabilmente finirà inside in depth chart, ma soprattutto sembra il prototipo del kick coverage teamer: veloce (4.58), strong tackler (164 tackles, con 12 TFL e 4 sacks nei due anni da starter), fattore nei turnovers (3 fumbles forzati e 4 recuperati).

Dopotutto, la peggior stagione nella storia della franchigia per gli special teams, con ben 4 touchdowns subiti (3 su kickoff return, 1 susseguente a punt bloccato), ha lasciato il segno, con il successivo licenziamento dello ST coach Steve Crosby sostituito da Rich Bisaccia (ex Tampa Bay). Era pertanto normale una grande attenzione nei confronti del kicking team considerando che, a conti fatti, ha praticamente reso vana una regular season da 1° posto in total offense e defense, risultati non sufficienti a portare la squadra ai Playoffs.

Quali a questo punto i ruoli sui quali i “lavori” non appaiono ancora finiti? Abbiamo già detto della posizione di wide receiver che nonostante la scelta di Vincent Brown è evidentemente in una fase di rivisitazione, con i soli Seyi Ajirotutu e Patrick Crayton sotto contratto e sicuri di tornare nel 2011, mentre l’ex prima scelta (2007) Buster Davis è in odore di taglio.

Tra gli undrafted o i free agents dovrà per forza di cose essere inchiostrato almeno un quarterback come back-up di Rivers. Nonostante la convinzione sia che Volek alla fine sarà di nuovo firmato in free agency, non si può escludere a priori la scelta di un altro veterano al suo posto ovvero la valutazione di un developmental prospect anche come third string tra i non selezionati: oltre a Mike Hartline di Kentucky e Ryan Colburn di Fresno State che avevo già indicato prima del draft, sono rimasti “liberi” Adam Weber di Minnesota e due interessanti prospetti FCS, Pat Devlin di Delaware e Zack Eskridge di Midwestern State.

Infine, il ruolo di edge pass rusher, pur prevedendo Shawn Phillips e Larry English come titolari, Antwan Applewhite (che però ha appena avuto un caso di DUI in offseason), Jyles Tucker e Brandon Lang in depth chart, è sotto “investigazione” come ha lasciato trapelare nell’incontro stampa post-draft lo stesso AJ Smith: “That’s the one thing that would have been nice to add” aggiungendo un laconico “But it didn’t fall in line”.