Maggio – Giugno 1985
E’ stata una primavera piovosa, come i punti realizzati dai Gladiatori. Esondazioni di punti.
La prima squadra si sposta e vince, torna a casa e, generalmente, vince. E giovani appassionati si presentano numerosi ai campi d’avviamento e di allenamento delle giovanili. Qualcuno di loro scriverà un pezzo di storia della squadra.
Il nostro libro dei sogni realizzati registra altre voci e aggiunge altre pagine. Questa è la prima giovanile di Giorgio Santoro:
“Oggi, penso che l’esperienza vissuta con la giovanile sia una sensazione fortissima, che ti prende e ti rapisce da tutto e da tutti, una prova che ti tempra nel fisico e nel carattere e ti da, forse per la prima volta nella vita, consapevolezza dei tuoi mezzi e folle incoscienza.
Quel giorno, avrei dovuto iniziare il mio primo allenamento di football con una delle due giovanili dei Gladiatori, quella di Marcello Loprencipe che si allenava presso il campo G2 in via Tiburtina. Invece, fu deciso di unire le due squadre e di svolgere allenamenti congiunti in vista dell’imminente campionato di categoria, che sarebbe iniziato ad ottobre. Presi, allora, la mia borsa e mi presentai al campo in via dell’Oceano Pacifico all’EUR, vestito di tutto punto con l’attrezzatura di Coccolino, al secolo Cristiano Sassoli, che poteva prestarmela in quanto si allenava di sera con la prima squadra. Era il mese di maggio dell’anno 1985.
Non so per quale motivo, forse perché ero di taglia accettabile, 183 cm. per 85 kg. a 16 anni, o forse perché ero equipaggiato come un giocatore vero, ma fui subito buttato nella mischia, in uno scrimmage con dei pazzi urlanti e della gente assatanata che correva e menava da tutte le parti. Ma per me era il primo allenamento! Non conoscevo nessuno, né quello che avrei dovuto fare, tanto meno il significato dei termini che tutti gli altri utilizzavano.
A questo punto avrei potuto fare due cose: fuggire a gambe levate e non tornare mai più, tanto nessuno sapeva chi ero; oppure cercare in qualche modo di sopravvivere e di vendere cara la pelle.
Optai, istintivamente, per la seconda possibilità, e cercando di intuire, osservando gli altri, quello che avrei dovuto fare in campo cominciai a caricare come un muflone qualsiasi giocatore mi si parasse di fronte e a distribuire capocciate a destra e a manca.
Sapete una cosa buffa: mi piaceva. E mi piaceva ancor di più quando mandavo qualcuno per terra. A fine allenamento, uno degli allenatori mi si avvicinò e mi disse che avrei dovuto provare a giocare fullback…”
La prima squadra, dopo l’uscita vittoriosa di Pescara, è pronta per caricare armature e bagagli sul bus per Padova (è meglio di California Poker). Il corollario dei sostenitori, auto e musica d’ordinanza, è pronto per la trasferta. Anche lo scriba, per raccontarla.