11 Giugno 1988, terza e ultima parte
I ricordi e i passi si susseguono, è una bella giornata e la malinconia sarà rarefatta… E’ ancora Marcello Loprencipe a parlare:
“Il presidente di allora era Renato Sassoli, personaggio “sanguigno” che voleva vedere i Gladiatori subito grandi: ma le grandi squadre si costruiscono in anni e quello era il primo della sua gestione e dei Palumbo, Pace e Santoro prima degli altri.
I fatti andarono così: stavamo perdendo “tanto a poco” e ci furono due o tre sviste arbitrali a nostro sfavore. Sassoli scese in campo, forse memore dello sceicco poi divenuto famoso per aver interrotto una partita di un mondiale di calcio, chiedendo a Miller di fermare tutto e ritirare la squadra!
Qualcosa di inaudito e… pericoloso!
Eravamo in attacco e mentre Sassoli sbraitava con il coach, io non sapevo più cosa fare. A dire la verità un ordine arrivò da Miller e fu quello di prendere tempo, mentre lui stava tentando di “arginare” la sfuriata del Presidente.
Io consumai tutto il tempo possibile in huddle, mentre il pubblico rumoreggiava, poi allo snap mi inginocchiai. Una bordata di fischi accolse la mia decisione. Ma c’era un secondo down e ancora una volta non sapevamo cosa fare.
Il coach, ormai in lite con il Presidente, non mandava schemi e Sassoli continuava ad urlare alla squadra di uscire dal campo. Alla partenza della palla di nuovo mi inginocchiai, fra i fischi divenuti ormai assordanti del pubblico inferocito e gli avversari che ci deridevano.
Eravamo ormai al 3° down e dall’huddle guardai ancora una volta verso la panchina: Miller aveva smesso di litigare con Sassoli, ma il suo sguardo era ormai nel vuoto. Allora decisi io.
La difesa dei Frogs fu sorpresa in pieno dal mio QB sneak e guadagnammo più di qualche yards, mentre il pubblico, che aveva cominciato a capire, ci applaudì.
Al quarto down optai per la stessa giocata, ma i nostri avversari ci stavano aspettando al varco! Finii placcato a sandwich fra due LB, mentre il DE che aveva aggirato la nostra linea offensiva mi prese alle spalle, facendomi fare un salto mortale in avanti che terminò con una pesante e rovinosa caduta a terra.
Dopo, un po’ dopo… mi dissero che ero rimasto giù senza muovermi per un paio di minuti, nel silenzio generale di giocatori e spettatori. Io so soltanto che la prima cosa che ho rivisto è stata la faccia del medico e quella di Miller sopra di me. Rammento che volli rialzarmi con il solo aiuto del coach e che sentivo un gran male dentro la schiena.
Ci sono voluti anni prima che il vistoso ematoma poco sopra il bacino si riassorbisse.
Avevo deciso che comunque quella sarebbe stata la mia ultima stagione, perché non me la sentivo più di rubare a mia figlia le favole della buonanotte. Ancora oggi porto con me il sorriso di coach Miller mentre mi dice: “mi hai fatto prendere il più grosso spavento della mia vita…dai, appoggiati a me e lasciamo stare la barella…”.
Punto. Sul football giocato, sulla maglia bluargento con il numero 14 (ritirato), sul campo, il sudore, l’adrenalina. Il pioniere esce di scena, il casco penzoloni. La luce si attenua e cresce il rispetto.