Stanford: the move.

Adesso è ufficiale. I Cardinal hanno un nuovo starting quarterback. Ieri pomeriggio alla The Farm, la ex fattoria del governatore Leland Stanford oggi campus di una delle più rinomate università del mondo, nel consueto incontro con i giornalisti al termine dell’allenamento l’HC David Shaw ha sancito il passaggio di consegne tra Josh Nunes e Kevin Hogan, dichiarando che nel big-match di sabato prossimo contro Oregon State (ore 21.00 italiane) sarà quest’ultimo a partire per la prima volta da titolare: “He’s ready. There are times when a guy just gets it.”

Ma come ha fatto questo redshirt freshman, un ragazzone di 6-4 per 224 pounds nato a McLean (Virginia) ma proveniente dalla Gonzaga College High School di Washington D.C., ad ottenere l’agognato posto come successore di Andrew Luck e proprio nel momento più “caldo” della stagione?

Il suo arrivo al college con la recruiting class del 2011 non aveva avuto la stessa risonanza di altri QB, compresi i suoi “compagni” a Stanford. Pur valutato bene (3 star) a livello regionale (con offerte ad esempio da Virginia, da Maryland e da Rutgers), non è stato illuminato dai riflettori dei principali recruiting services del paese come invece ad esempio Brett Nottingham, ritenuto il maggiore antagonista di Nunes ai Cardinal, che nella classe precedente (2010) era stato regolarmente incluso nelle varie top10 del ruolo oltre ad essere considerato da Rivals il 4° miglior “pro-style QB” della nazione, esattamente come Andrew Luck due anni prima (2008).

Eppure il ragazzo mostrava già all’HS intriganti tools e a quanto ci è dato sapere anche una buona etica lavorativa, indispensabile per fare strada in un ruolo così “cerebrale”. Il suo coach di allora, Aaron Brady (che forse qualcuno ricorderà standout safety nei Rutgers Scarlet Knights di fine anni ’90 – ndr), vedeva già in lui la voglia di lavorare duro per migliorarsi: “I’ve talked to him a little bit. I think he’s one of top quarterbacks on east coast, and he’s going to get more offers when schools meet with him in person. He’s working hard in the offseason. He’s still a little bit raw but he wants to work.”

A scoprirlo e reclutarlo per Stanford è stato l’attuale OC (e QB coach) Pep Hamilton che tornando da uno dei suoi trips sulla costa est disse a David Shaw (allora OC di Jim Harbaugh) che aveva notato un quarterback alla Gonzaga HS al quale “we’ve got to take a look at. He’s got great physical tools, he’s a tough kid and he’s a very, very bright kid with a high GPA and high test score.”

Hogan tuttavia fece commitment per Stanford abbastanza tardi, giusto poco tempo prima che Andrew Luck decise di tornare (gennaio 2011) per un ultimo anno a Palo Alto. E nel suo anno da redshirt, Kevin ha così potuto allenarsi e apprendere molte cose dalla futura prima scelta assoluta NFL, dandogli tra l’altro credito “for teaching me how to prepare and study defenses, to use my mind more than my arm to break down coverages.”

Hogan ha iniziato la season 2012 come 3rd string QB nella depth chart dei Cardinal, anche se in realtà David Shaw non lo ha mai escluso dalla competition per il ruolo. Già in agosto infatti, quando aveva dichiarato titolare il junior Nunes, l’HC aveva aggiunto l’espressione “It wasn’t close” con riferimento al fatto che il sophomore Nottingham doveva dargli più garanzie dimostrandogli qualcosa in più del possedere un gran braccio, mentre il freshman Hogan non aveva ancora del tutto completato la sua fase di apprendimento della offense.

Così, nel corso della stagione, Shaw ha iniziato ad utilizzare Hogan (prima nelle trasferte di Seattle e di Berkeley, poi contro Washington State – ndr) in plays tipiche da read-option con formazioni di base wildcat che Stanford ha pian piano inserito nel suo già ampio e articolato playbook offensivo. E Hogan si è fatto trovare pronto, facendo bene ogni qual volta chiamato in causa seppur in un ruolo circoscritto a certi packages, lanciando pure un td-pass, il primo della sua carriera collegiale, nel Big Game contro California.

Ma l’HC, deluso dalle prestazioni del titolare Nunes e in particolare dalle sue basse percentuali di passaggio (in un’intervista Shaw ha dichiarato che, dato il sistema offensivo corso dai Cardinal, con tanti giochi tipici da West Coast, si aspetta dal proprio quarterback una percentuale di completi prossima al 70% – ndr), già alla vigilia della partita contro Colorado aveva “promesso” molto più spazio per Hogan, rendendo di colpo “interessante” la pressoché scontata sfida contro gli impresentabili Buffaloes di questa stagione.

Così, dopo aver visto i suoi “puntare” nei primi due possessi offensivi della partita di sabato 3 novembre a Boulder, Shaw ha cambiato Nunes con Hogan. In quel momento, i Cardinal erano già riusciti a sbloccare lo score grazie ad un intercetto riportato per 52 yards in TD del FS Ed Reynolds (al secondo TD consecutivo dopo quello contro i Cougars, e al 5° intercetto stagionale per un totale di 221 yards – ndr). Ma con Hogan sotto il centro, Stanford è entrata per altre 4 volte in endzone nel secondo quarto, ovvero nei primi 4 drives offensivi cui ha preso parte, chiudendo la contesa già nel primo tempo (35-0). Poi, dopo l’intervallo lungo, Hogan ha condotto Stanford a punti altre due volte, prima di lasciare il campo agli altri quarterbacks (Nottingham e Picazo – ndr) nel garbage time dell’ultimo periodo. La vittoria per 48-0, mai in discussione, è stata comunque la prima dei Card in Colorado dal… 1904, quando pure Stanford si impose con uno shutout.

Nei due quarti giocati, Kevin Hogan ha registrato le seguenti statistiche: 18/23 (78.3%) per 184 yards con 2 td-pass e 2 sacks subiti (segno che il ragazzo sa anche morire con la palla in mano). E nel post-partita David Shaw era sembrato già abbastanza chiaro, pur non volendo subito sbilanciarsi circa la nuova titolarità del delicato ruolo: “Well, you see the mobility. It’s not just the scrambling for a couple of yards. He’s fast, he can run, he’s athletic, he can throw on the move, to the left and to the right. We saw him push up in the pocket and find his check-downs. And I can’t find a lot of negatives to what he did today. I’m very, very impressed.”

Insomma, Josh Nunes ha perso il posto da titolare nonostante alcune prestazioni convincenti (il secondo tempo nell’upset su USC, la vittoria nello shoot-out 54-48 all’overtime contro Arizona) perché troppo spesso ha dato l’idea di non riuscire adeguatamente a far “muovere la catena” in attacco, come ad esempio nelle 2 sconfitte contro Washington e Notre Dame, ma anche in altre sfide “portate a casa” grazie soprattutto all’effort della defense (Cal e WSU). Per contro, Hogan sembra dare quel qualcosa in più alla offense, per esempio in termini di fisicità, appunto di mobilità, ma pure di creatività (in un paio di occasioni contro Colorado ha completato dei passes mentre veniva placcato, qualcosa che non si vedeva da… Luck).

La speranza dei sostenitori di Stanford è ovviamente che la sua promozione sul campo possa determinare anche un incremento di produttività offensiva, nonostante il debutto sia di quelli tosti. La difesa dei Beavers è infatti la seconda migliore dell’intera Pac-12, proprio dietro a quella dei Cardinal. Eppure la prima partita da titolare di Hogan, che è anche l’ultima casalinga a Palo Alto in questa annata, assume una rilevanza davvero “capitale” per la successiva post season.

Stanford e Oregon State hanno infatti il medesimo record di Pac-12 (5-1, curiosamente hanno entrambe perso a Seattle contro Washington – ndr) ed entrambe devono ancora affrontare Oregon che guida imbattuta la North Division (6-0) e l’intera conference. Dunque, da questo mero punto di vista, lo scontro si potrebbe presentare anche come una sorta di “semifinale di division” che attribuirà le restanti chance alle contendenti nelle prossime sfide contro i Ducks. Ma vi è di più. Infatti, come noto, Oregon è tuttora in lizza per ambire ad uno dei due posti che il BCS Standings assegnerà per il National Championship Game, ovvero l’attuale finale nazionale della Football Bowl Subdivision. Un risultato che ovviamente potrebbe ormai essere ottenuto solo con una perfect season dei Ducks, dunque con altre tre vittorie (da netta favorita) @ California (sabato 10 nov.), contro la stessa Stanford ad Eugene (17 novembre), e poi nella “Civil War” contro Oregon State che quest’anno andrà in scena a Corvallis (24 novembre). Più l’indispensabile successo nella Finale di Conference del 1 dicembre (finale che si disputa dall’anno scorso e in casa della squadra con il miglior record – ndr).

Tale comunque non remota eventualità, potrebbe in buona sostanza lasciare un posto libero per il BCS “Rose Bowl” del 1° gennaio. Anche se alla Finale di Pac-12 parteciperà una rappresentante di South Division (sarà una delle due università di Los Angeles, USC o UCLA che hanno a loro volta lo scontro diretto il 17 novembre – ndr) il posto al Rose Bowl verrebbe comunque assegnato sulla base del BCS Standings ovvero in base al record complessivo.

E se da un lato Oregon State (record 7-1) ha già vinto contro UCLA (7-2), Stanford (7-2) ha vinto contro USC (6-3) e inoltre avrebbe ancora l’opportunità di giocarsi nell’ultima week proprio a Pasadena contro i Bruins un posto nel Rose bowl anche nella (sorprendente) eventualità che UCLA vinca il “derby”. Insomma, pure considerando una sconfitta contro Oregon e proprio grazie ai Ducks, entrambe le squadre vincendo sabato prossimo manterrebbero la concreta possibilità di partecipare ad uno storico (e ricco) incontro della Bowl Championship Series. Ecco perché la partita contro Oregon State è fondamentale. E perché l’aver cambiato quarterback proprio in questo momento assume ancor più enorme rilevanza.