L’ULTIMO DEI NEURONI (BLU)

Recita un vecchio adagio sempre di moda, che quando si tocca il fondo non si può fare altro che risalire. Giusto. Però se ai tuoi giocatori fornisci delle pale di ragguardevoli dimensioni, si può stare certi che troveranno tempo e modo per mettersi a scavare. Tant’è vero che sono così impegnati in questa nobile attività, da mandare in campo le controfigure. Raramente negli ultimi anni m’è capitato di vedere una partita così infarcita di errori e impotenza diffusa da pensare che lo stessero facendo apposta. E sì che incontravamo una squadra che arrivava da un mese di batoste e siamo riusciti a farla sembrare una all stars. Ma i segnali, quando una partita deve andare in un certo modo, a volte sono inequivocabili e si manifestano subito.

1) Di questi tempi se incontri Cincinnati solo una cosa devi fare: marcare stretto AJ Green. È uno, per quanto bravo. Nient’altro. Dalton butterà la palla quasi sempre verso di lui e chi lo marca deve mordergli il deretano, magari raddoppiandolo. Bene, vedere Webster irriso fin dall’inizio, girare su se stesso alla ricerca di Green perché, letteralmente, se l’era perso, ti fa capire che il pomeriggio sarà lungo. Lo stesso Webster con enormi responsabilità anche nel secondo TD, più una sinfonia di tackle sbagliati e marcature alla Madamadorè. Se il buongiorno si vede dal mattino…

2) I segnali quasi confortanti di altre partite in merito alle nostre secondarie, si sono spenti alla prima brezza. A vederli agitarsi per il campo mi fanno venire in mente quei cespugli rotolanti che si vedono nel New Mexico o in Nevada. Vanno di là o di qua perché il vento ce li spinge, ma senza una reale coscienza. E non è che Antrell Rolle può arrivare ovunque, eh…

3) Che poi la difesa (ma va’?) a ben vedere ci ha tenuti in gioco per un tempo. Mentre l’attacco vaneggiava, se escludiamo lo scioccante 14 a 0 iniziale (come con Cleveland, toh…), per una buona fetta di gara il parziale è stato di 6 a 3 per noi, ma alla lunga non si può reggere. E senza considerare che quasi mai abbiamo messo le mani su Dalton, tanto per mettergli un po’ di pepe sul fondoschiena o provare a dar fuoco a quel fiammifero che porta in testa.

4) E veniamo all’attacco, alias le belle statuine, alias il reparto che ha appena ricevuto la laurea honoris causa in “Tre e fuori”. No, qua non parliamo di schemi da variare, di alternative strategiche o chissà cosa. Semplicemente le cose non vanno, la forma fisica e psicologica da tre settimane è andata a farsi benedire e puoi avere sul playbook gli schemi più rivoluzionari e fantasmagorici, tanto non funzioneranno. A un certo punto, stanchi di produrci anche nei tre e fuori che costavano fatica, ci siamo messi proprio a dare la palla ai Bengals, direttamente, a mo’ di bandiera bianca. Prima di allora neanche se ci davano la palla sulla loro una yd avremmo segnato e, come al solito, i pochi punti arrivano da Tynes, l’unico che quest’anno si toglierà delle soddisfazioni dato che sta battendo tutti i record di franchigia e un posto al PB non glielo toglierà nessuno.

5) Ma un attacco se non funziona ha sempre a monte un motivo scatenante e il nostro è molto semplice: Eli non c’è. Ciao, è andato chissà dove e se la carica non la suona lui il resto è solo un’accozzaglia di pupetti smarriti. Per chi conosce le cose newyorkesi è facile capirlo, e la prova sta nell’atteggiamento. Mai una volta che abbia tentato in profondità, impaurito al solo pensiero di provarci e di conseguenza sempre nel mezzo con statistiche da liceale e il vizietto degli intercetti tornato a fare bau in casa Manning.

6) Ma, dicevo, ci sono momenti in cui capisci… La realtà prende le sembianze di un geco appollaiato sul muro che hai di fronte e tutto è chiaro. Quando la sequenza è fumble a un tiro dal TD, intercetto su deviazione, drop di Cruz che ti costa un TD fatto, altro intercetto, capisci che è ora di appendere le velleità al chiodo.

7) Della serie “come sulla sideline si provi a dare una scossa alla partita. 14 minuti da giocare. 31 a 6 per Cincinnati. Noi sulle 35 in campo avversario. Non chiudiamo. Punt al quarto tentativo.

Ammetto di aver inviato i migliori auguri di fine anno alle prostate di Coughlin e Gilbraide.

8) Ma c’è stato qualcosa di buono in questa partita? Sì, a cercarlo col lanternino. Abbiamo un rookie che gioca quasi stabilmente e che si fa valere, tanto da meritarsi un minutaggio consistente in DL. Si chiama Markus Khun, nato in Westfalia e scelto al sesto giro. Curiosa la vita, eh, quando i primi cinque scelti prima di te il campo lo vedono spiegato da Giacobbo su Voyager? Ops, ho sbagliato… Dovevo scrivere che “giocava quasi stabilmente”. Sì, perché la notizia è che si è rotto e salterà il resto della stagione.

E poi vorrei citare Will Hill, segnato dalla practice squad il giorno prima e protagonista di un’ottima partita anche negli special team. La notizia, fortunello, è che non si è infortunato.

9) E i Bengals? Marvin Lewis sulla sideline quasi non ci credeva. I suoi sembravano giocare contro dei puffi che, per carità, sono blu lo stesso ma come sparring partner non è che siano granché. Ammetto che dopo averli ammirati lo scorso anno, al momento sono parecchio deluso. Squadra che si è un po’ smarrita e la division non è che aiuti. Le prossime partite diranno se la tritata che ci hanno dato è tutta farina del loro sacco.

10) La cosa peggiore di tutta la partita: vedere i nostri in panca nell’ultimo quarto con stampata in faccia un’espressione emblematica. Quella che ha la gente che non sa perché stia accadendo tutto ciò. E se non lo sanno loro, figuriamoci io.

 

La classifica ci vede ancora lassù. Consolante? Manco per il cavolo. Con le partite che ci attendono, e dando una sbirciata alla schedule delle dirette concorrenti, mi sa che proporremo un bel suicidio in diretta come quello dello scorso anno, se si esclude il colpo di coda di fine stagione. La speranza? Che il bye porti consiglio, un po’ di fiato e soprattutto che il coaching staff riesca a far recuperare convinzione e motivazioni. In passato è accaduto e non vedo perché non dovrebbe anche questa volta. Altrimenti vuol dire che sarà la classica stagione post Superbowl, quella maledetta dove niente va per il verso giusto.

Ce ne faremo una ragione.