NCAA Game Of The Week: Texas A&M @ Arkansas

Quella che andrà in scena al Razorback Stadium sarà la settantesima edizione di Arkansas vs. Texas A&M, una sorta di pezzo di storia del football americano di college, tanto da meritarsi (anche per motivi di marketing non indifferenti) l’appellativo di “The Southwest Classic”.

La rivalità risale al 1903 quando i due college, al lavoro oramai da una decina di anni sui loro programmi di football, si sfidarono la prima volta il 31 ottobre a College Station, campo di casa di Texas A&M, e gli Aggies di J.E. Platt ottennero la vittoria 6-0 in una stagione conclusa 7-3-1.

Le successive due gare, disputate nel 1910 e 1912 videro una vittoria a testa che rispettò il fattore campo, poi un lungo silenzio nonostante i due college fossero diventati rivali di conference già nel 1915 entrando nella Southwest Conference. Dopo una serie di quattro gare tra il 1927 ed il 1930, la sfida si è fatta annuale e lo è rimasta fino al 1991, anno in cui Arkansas ha lasciato la SWC per unirsi alla Southeastern Conference (SEC). In questo periodo si possono contare diverse gare rimaste nella storia di questo sport, a partire dalla gara del 1939 al Bayley Stadium di Fayetteville quando gli Aggies balzarono #2 del ranking schiantando Arkansas 27-0, completando la loro corsa il primo gennaio del 1940 battendo Tulane a domicilio per il Sugar Bowl e laureandosi campioni nazionali per la terza e per ora ultima volta nella loro storia.

Arkansas, guidata da Frank Broyles, restituì il favore esattamente 25 anni dopo quando il 31 ottobre a College Station, si impose su Texas A&M per 17-0, il secondo di una serie di cinque shutout che porteranno i Razorbacks al Cotton Bowl dove batteranno 10-7 Nebraska conquistando quello che ad oggi è il loro unico titolo nazionale.

Nel 1980, i Razorbacks di Lou Holtz rovinarono la festa per gli 800 incontri degli Aggies, imponendosi al Kyle Field per 27-24. L’ultimo malinconico incontro tra le due squadre fu nella stagione che chiuse la partecipazione di Arkansas alla Southwestern, quando di nuovo al Kyle Field, sotto i riflettori di ESPN e davanti a 62.000 spettatori, Texas A&M battè Arkansas 13-3 lasciando veramente le briciole all’attacco wishbone dei cinghiali, che si fermarono a 121 yards totali. L’espansione della SEC da dieci a dodici squadre, vide quindi l’addio di Arkansas e, contestualmente, la fine della cadenza annuale di una rivalità di cui il sud degli States rimase orfano.

Texas A&M e Arkansas rimasero a guardarsi dal 1992 al 2008, poi una certa nostalgia, condita da un interesse di marketing non del tutto secondario, fece rivivere la sfida trovandole anche un fascinoso brand “The Southwest Classic” appunto, ed una cornice del tutto eccezionale per un match di non conference, come l’astronave del Cowboys Stadium di Arlington capace di raggiungere in massima configurazione i 100.000 posti. L’accordo prevedeva dieci anni di match nell’impianto, più altre cinque possibilità di rinnovo da quattro anni ciascuna, per una striscia potenziale di 30 anni.

Più di 70.000 spettatori si accalcarono sulle tribune per la prima sfida dopo sedici anni di digiuno nella rivalità, e nelle tre edizioni giocate con questa formula, si è sempre imposta Arkansas seppur in partite spettacolari: nel 2009 i Razorbacks vinsero 47-19 dopo essere stati sotto 10-0 nel primo quarto; mentre nel 2011 il recupero fu ancora più incredibile perchè la squadra guidata da Bobby Petrino era sotto 35-17 alla fine del primo tempo, imponendosi poi 42-38 alla fine della gara.

L’appetitoso giro d’affari che produce la Southeastern Conference ha infine convinto Texas A&M a lasciare la Big 12 per migrare nella lega del sudest degli Stati Uniti, questo ha fatto si che “The Southwest Classic” tornasse ad essere una sfida di conference, celebrata con due gare home-to-home. La prima di queste, svoltasi al Kyle Field del 2012, vide gli Aggies imporsi largamente dopo un primo quarto balbettante in una giornata piovigginosa, la squadra di Kevin Sumlin, al primo anno sulla sideline del college texano, dopo le ottime prove contro Arkansas, Ole Miss e Louisiana Tech, fece la sua comparsa nel ranking dopo essere stata “dimenticata” per la prima metà di stagione, terminando l’anno con un lusinghiero #5 dopo la vittoria al Cotton Bowl su Oklahoma. Arkansas viceversa, al primo anno con John L. Smith, dopo essere partita accreditata della top ten del ranking nazionale, scomparve in una stagione anonima fatta di due uniche vittorie in Conference contro la derelitta Auburn e contro Kentucky.

Nel 2013 si giocherà al Razorback Stadium, dopodichè si tornerà ad onorare il contratto che prevede la sfida al Cowboys Stadium di Arlington.

To pay or not to pay? That is the question.

La Off-Season di Johnny Manziel è stata segnata da una marea di episodi. Alcuni positivi e poco pubblicizzati (Il lavoro con George Whitfield Jr., che lo ha reso un pocket passer più presente oltre a perfezionare la sua tecnica di lancio), altri negativi ed amplificati. La notorietà derivante dall’essere il primo freshman a vincere l’Heisman Trophy ha colpito Manziel che non è stato immune ad azioni fuori dal campo quanto meno discutibili. Soprassedendo su tweet, serate spese in feste private, di cui francamente ci importa davvero poco, l’aspetto che ha fatto clamore, per l’alto numero di opinioni espresse da atleti e commentatori è stato quello relativo a presunte sessioni di autografi pagate.

L’accusa è stata quella di aver partecipato a tre sessioni di autografi in cui Manziel avrebbe percepito 7.500$ ad ognuna di esse per firmare centinaia di oggetti. Un’accusa che se verificata avrebbe compromesso lo stato di amatore dell’atleta NCAA e sarebbe stata una violazione del regolamento passibile di non eleggibilità per la stagione presente.

Accusa rimasta poi non provata dalla NCAA, se è vero che Manziel è in campo senza sospensioni se non quella comminata dalla sua università contro Rice, ma che comunque sembrerebbe non legata alla vicenda in discussione.

Il vespaio di polemiche che ne è seguito non è indifferente ed include opinioni di Adrian Peterson, Arian Foster, Dez Bryant tra gli altri.

A qualunque affiliato alla NCAA è fatto divieto di accettare beni materiali pena la compromissione della loro eleggibilità. Dez Bryant fu squalificato un anno per una cena con Deion Sanders, altri scandali hanno recentemente coinvolto la University of Miami ed Ohio State solo per citare i casi più recenti.

Una regola che secondo molti dovrebbe cambiare. Perché se da un lato gli studenti-atleti hanno la fortuna di studiare nei college più prestigiosi d’America, è anche vero che ci sono dei rovesci della medaglia spesso non considerati. Ma cerchiamo di fare un quadro più generale.

Il Football Americano a livello NCAA è una miniera d’oro per le università. Assieme al Basket è quello da cui i dipartimenti traggono tutto l’utile per i loro programmi atletici. Le cifre che girano attorno agli studenti sono astronomiche, fra contratti televisivi, diritti d’immagine, vendita di biglietti e altri fattori. Di tutti questi soldi, agli atleti non arriva in tasca un dollaro in modo diretto. L’università garantisce ai suoi atleti una borsa di studio annuale rinnovabile, che copre la retta, libri, mensa, per un totale di diverse decine di migliaia di dollari. Nonostante ciò, gli studenti sono spesso costretti a dover spendere fino a 5000$ all’anno per effettuare spese non coperte.

Come dichiara Arian Foster:  “Quello che mi davano erano 87 dollari al mese, dovevi mangiare dal Lunedì al Venerdì e nel fine settimana provvedere da solo dal momento che non eravamo coperti. La tua famiglia non ha soldi, tu non hai soldi, sei al verde, e come me lo erano anche tanti ragazzi della squadra, direi l’80% perché eravamo perlopiù ragazzi di campagna di famiglie umili. Abbiamo detto ai coach, dateci da mangiare, altrimenti potremmo combinare qualcosa di stupido.”

Il primo aspetto riguarda proprio la situazione economica della famiglia dell’atleta. Per un Manziel, figlio di una famiglia benestante e per cui 7500$ non fanno la differenza, ci sono dieci Arian Foster. E dunque un minimo rimborso spese per alcuni sarebbe necessario per sopperire alla necessità di base.

Foster sottolinea inoltre come in un college di primo livello, nel suo caso Tennessee, gli atleti siano allenati da coach di grande fama, ma trattati alla stesso modo dei giocatori professionisti con l’eccezione dello stipendio. Una contraddizione per Foster dal momento che spesso il capo allenatore è il dipendente pubblico più pagato dell’intero stato mentre ai giocatori non è concesso di fare soldi con il proprio nome. Tesi sostenuta anche dagli stipendi dati ad altri membri della NCAA, che fa finta di nulla quando gli arbitri girano in macchine di lusso ma è pronta a sospendere l’atleta in caso di un minimo beneficio ricevuto.

Tesi rimarcata anche da Dez Bryant, e da Adrian Peterson, secondo cui “Se sei in grado di fare qualche soldo con i tuoi autografi allora ti dovrebbe essere concesso.” Una questione irrisolta che può essere vista da entrambi i punti di vista: Manziel è diventato famoso grazie al marchio NCAA, alle conference, alla televisione, ricevendo un surplus su se stesso incalcolabile. Ma la NCAA avrebbe lo stesso appeal se non ci fossero i vari Manziel, Mariota, Miller ad imperversare sulle difese di mezza nazione? In sostanza sono gli atleti a dare credibilità (e generare più ricavi all’organizzazione) alla NCAA e dunque meritevoli di uno stipendio o è la NCAA a renderli famosi con il proprio apparato e dunque giustificare il loro stato di amatori?

Le idee espresse da queste tre stelle NFL sono solo alcune delle migliaia emerse in questa estate. Le cifre sono sotto disponibili per tutti, basta cercare in internet. Citiamo solo il faraonico contratto con la CBS per la SEC del valore di 11 miliardi di dollari. Soldi che finiscono tutti nei piani alti della NCAA senza che agli atleti sia dato nulla. Neanche in situazioni estreme. Sono tanti i giocatori che hanno iniziato la propria carriera collegiale, salvo poi fermarsi per un grave infortunio. In tanti hanno proposto una creazione di un fondo da cui attingere per queste situazioni.

Altri hanno proposto la creazione di fondi destinati a studenti-atleti post lauream, da cui poter attingere una volta terminata la carriera NCAA, perché ogni anno la percentuale di quelli che andranno a giocare da professionisti è irrisoria in confronto a quanti hanno terminato la propria eleggibilità e che saranno un giorno impiegati comuni.

Altri propongono un rimborso mensile di qualche centinaio di dollari ai giocatori dato dalle scuole stesse, ma anche in questo caso la questione non è semplice. Pagare i giocatori di football, genererebbe una reazione a catena per cui anche gli altri dipartimenti potrebbero chiedere questo indennizzo: del resto, un giocatore di golf e uno di football sono uguali agli occhi di una scuola. Inoltre bisogna per legge destinare la stessa quantità di denaro a uomini e donne. Se una scuola avesse 100 uomini da pagare e 15 donne come si gestirebbe la situazione? Infine è risaputo che sono pochissimi i programmi che generano ricavi dalle proprie attività atletiche, per cui molte scuole non avrebbero la disponibilità economica per destinare ulteriori fondi agli atleti creando di fatto una situazione ulteriore di squilibrio fra gli sport, che sarebbero ancora più spaccati fra chi genera ricavi (Football+Basket) e tutto il resto.

Domande a cui non è facile dare risposta, e che alimentano il coro di coloro che non vogliono vedere una modifica dello status quo.  La maggior parte di essi basa la propria convinzione sul fatto che gli studenti-atleti abbiano già la possibilità di studiare per pochi spiccioli in scuole prestigiose, da cui anche senza una carriera professionista, gli atleti avranno ottenuto un titolo di studio di grande valore. Argomento che regge dato l’alto numero di giocatori che anche se passati Pro decide di continuare gli studi per assicurarsi un futuro dopo la carriera da atleta.

Come si capisce, la letteratura sull’argomento sarebbe sterminata, i fiumi di inchiostro lunghissimi e le chiacchiere da bar interminabili. Voi che cosa ne pensate?

L’appuntamento con Texas A&M @ Arkansas è fissato per nella notte fra Sabato 28 Settembre e Domenica 29 Settembre, alle ore 01:00.

Per la prossima settimana, NCAA Game Of The Week si trasferirà non in uno, non in due, ma in tre località. Parleremo infatti del Commander In Chief Trophy, il trofeo che viene assegnato alla vincente dei confronti fra Army, Navy ed Air Force. Sfide non di particolare interesse in prospettiva BCS Bowl, ma per cui gli Americani nutrono un grande rispetto come tributo al servizio svolto nella difesa della Nazione.