Jim Marshall
Gli sports americani hanno una caratteristica comune: ogni azione è statisticabile. In un Paese dove i “polls'” sono tutto, è evidente che nella montagna di numeri in cui si può vivisezionare un incontro, si può trovare di tutto, ogni Lega professionistica americana e non ha la sua lista di bei records: uno dei più prestigiosi è il maggior numero di partite giocate consecutivamente
Quando, nel 1995, il grande Cal Ripken Jr., dei Baltimore Orioles di baseball comunicò al proprio coach che per il pomeriggio aveva altre idee che rischiare un’insolazione sul cuscino di terza base, scioccò il mondo del diamante perchè, così facendo, deliberatamente chiudeva una striscia di 2.632 partite consecutive (sempre presente nel lineup degli Orioles), iniziata 13 stagioni prima nel 1983. L’aver cancellato un nome mitico come quello del leggendario e sfortunato “Iron Man” Lou Gehrig dall’albo degli stakanovisti, ampliò oltremisura la portata della sua prestazione
Ancora oggi, nei sondaggi, questo record viene sempre piazzato ai primi posti delle classifiche sui fatti più incredibili del National Passtime, come è anche definito il baseball.
Ebbene, il Cal Ripken del football è Jim Marshall… oops scusate il Jim Marshall del baseball è Cal Ripken.
Quando, infatti, il 25 settembre 1960 al Forbes Field di Pittsburgh, nella partita contro gli Steelers, si schierò la linea difensiva dei Cleveland Browns, nessuno immaginava che quella sarebbe stata la prima di una ininterrotta serie di partite di un rookie (esordiente) defensive end di taglia medio-bassa (188 cm per 111 kg), che rispondeva al nome di Jim Marshall.
Il 16 dicembre 1979, al Foxboro Stadium, casa dei New England Patriots, i Minnesota Vikings uscivano mestamente dal campo, chiudendo una stagione molto deludente, e quella era l’ultima apparizione in campo di Jim Marshall: tra le 2 date ci sono 302 (trecentodue!!!!) partite giocate consecutivamente.
Questo numero è impressionante di per sè, ma ci sono molti motivi per considerarlo, senza ombra di dubbio, uno dei più clamorosi di tutti gli sports a stelle e strisce.
Primo: si parla di football americano, non di golf o curling. Lo scontro fisico è connaturato al gioco, la possibilità di farsi male (anche molto seriamente, con gravi lesioni permanenti) è molto alta.
Secondo: Jim non era un kicker (calciatore), bensì un uomo di linea difensiva, quindi vuol dire picchiarsi in ogni azione con un uomo di linea offensiva avversaria, che magari pesa 15/25 kg più di te, ed in più dover placcare il tight end ed il running back in corsa, tanto per gradire.
Terzo: la carriera di Jim si dipanò tra il 1960 ed il 1979, il primo anno con i Cleveland Browns e gli altri 19 con i Minnesota Vikings, ed all’epoca questi ultimi non giocavano al caldo e al coperto del Metrodome di Minneapolis, ma all’aperto, al freddo e al gelo del Metropolitan Stadium di Bloomington. Da ottobre, la regola era giocare su un campo coperto di neve, con l’aggiunta del famoso vento “blizzard”, che soffia dalla tundra canadese e colpisce con regolarità il Minnesota.
La carriera di Jim Marshall è stata caratterizzata da un ardore infinito, che gli permetteva di sopperire ai chili in difetto: ovviamente, giocando sempre al limite ed anche oltre le sue possibilità fisiche, finiva spesso gli incontri sulle ginocchia e non del tutto sano, eppure la domenica seguente era della partita.
La sua dedizione lo portò ad essere designato co-capitano della squadra fin dal secondo anno, e mantenne questo titolo fino al ritiro.
Come si diceva, giocò spesso infortunato, ma almeno 3 volte superò se stesso: una volta si presentò al campo pochi giorni dopo un’operazione in anestesia totale per un’ulcera. Un’altra fece di meglio, scappando dall’ospedale dove era ricoverato per una polmonite per giocare, ma il meglio lo diede, però, quando ebbe un singolare incidente domestico: pulendo la propria pistola, si sparò accidentalmente ad una coscia. Assente la domenica seguente? Ma non scherziamo, fu regolarmente in campo!
I Minnesota Vikings degli anni ’70 furono quasi una dinastia: il loro allenatore, il grande Bud Grant, impostò teorie 10 anni avanti rispetto ai suoi tempi, sia a livello offensivo che difensivo, ed era sopratutto la difesa il punto di forza di quei Vikings, dato che Jim Marshall faceva parte della leggendaria “Purple People Eaters” (I Mangiatori Viola Di Persone), una delle linee difensive più forti di tutti i tempi. Una linea che dominava con la forza e con la tecnica.
I mitici Purple People Eaters si preparano alla battaglia: in primo piano Jim Marshall ed al suo fianco Alan Page
I Purple People Eaters bloccano un field goal avversario
I Purple People Eaters si riposano in panchina nella stagione 1969: da sinistra Jim Marshall (defensive end destro), Carl Eller (defensive tackle sinistro), Alan Page (defensive tackle destro già introdotto nella Hall Of Fame) e Gary Larsen (defensive end sinistro)
L’entrata in campo dei Purple People Eaters prima del Super Bowl VIII della stagione 1973, poi perso dai Minnesota Vikings contro i Miami Dolphins per 24-7
Putroppo, quei grandi Vikings degli anni ’70 sono ricordati sopratutto per essere stati la prima squadra ad andare per quattro volte in finale al Super Bowl e perdere sempre (un non invidiabile record che è stato in seguito pareggiato, prima dai Denver Broncos negli anni ’70-’80, ed ovviamente dai Buffalo Bills, che hanno addirittura fatto di … meglio o peggio dipende dai punti di vista perdendo 4 Super Bowls consecutivi dal 1990/91 al 1993/94) … anche se bisogna dire che Minnesota fu sfortunata, dato che dovette misurarsi con autentiche Dinastie della NFL come i Miami Dolphins, i Pittsburgh Steelers e gli Oakland Raiders degli anni ’70, tutte squadre molto piu’ forti di loro, e quindi alla fine i Vikings possono recriminare sopratutto per il primo dei loro 4 Super Bowls persi, quello contro i Kansas City Chiefs (squadra ampiamente alla loro portata) nella stagione 1969.
Nel corso della sua carriera, Jim Marshall collezionò ben 133 sacks (ovvero placcaggi al quarterback avversario quando è in possesso di palla, l’azione più prestigiosa che un difensore possa compiere), ma oltre le 302 partite consecutive possiede un altro record pesantissimo: con 29 è il leader dei fumbles ricoperti (ovvero conquistare palloni persi dagli avversari). Quando ricopri un fumble, magari sei al posto giusto al momento giusto, ma se lo fai 29 volte non può essere solo un caso … eppure quasi tutti si ricordano di Jim per una sola azione, che è entrata di diritto nella “Top Ten” delle football follies (gli errori piu’ clamorosi) della storia della NFL. Il 25 ottobre 1964, durante una partita di campionato giocata al Candlestick Park di San Francisco contro i 49ers, Jim recuperò un fumble (tanto per cambiare…) ma questa volta, per un incomprensibile motivo, si confuse e partì a tutta velocità in direzione sbagliata verso la propria area di meta (!!!), pensando di andare a segnare un touchdown per la propria squadra, e invece segnò il piu’ clamoroso autogol della storia del football americano!
Infatti, Jim corse incontrastato dagli avversari per ben 66 yards verso la propria endzone (e ci credo, dato che lui era l’unico nello stadio che non aveva capito che stava correndo nella direzione sbagliata!), poi gettò il pallone a terra per celebrare quello che credeva fosse un touchdown, ma arrivò un uomo di linea dei 49ers, Bruce Bosley, che gli diede una pacca e gli disse “Ottimo lavoro, Jim, ce ne servirebbe qualche altro!”“, e lui lo fissò con una faccia stupita, finchè non si guardò intorno, vide i fans dei ‘Niners e i giocatori avversari celebrare e i suoi compagni disperarsi, ed allora finalmente capì di avere segnato una safety da 2 punti contro la sua squadra e si disperò a sua volta.
Nonostante il suo exploit, i Vikings riuscirono lo stesso a vincere quella partita per 27-22, ma da quel giorno il suo soprannome fu per tutti “Wrong Way” (Direzione Sbagliata)!!!
Due giorni dopo quel clamoroso incidente, Jim ricevette, assieme alla migliaia di telegrammi e lettere e telefonate, anche una lettera dal suo illustre predecessore “Wrong Way” Roy Riegels, anche lui passato alla storia del football americano per avere segnato per sbaglio una safety simile contro la propria squadra dopo una corsa da 60 yards nella direzione sbagliata durante la finale di college fooball del Rose Bowl del 1929 … la lettera iniziava con “‘welcome to the club!“.
A fine anno, Jim Marshall vinse il premio di “Bonehead of the Year” (una maniera elegante di definire L’Imbecille dell’Anno), ma ovviamente perse l’aereo che lo doveva portare a Dallas per ritirare il premio ed invece finì a Chicago… tutti pensarono che gli organizzatori si fossero messi d’accordo con Jim, ma alla fine lui riuscì ad arrivare in tempo ed a ritirare il premio, e da allora ricavò un sacco di soldi dal suo incidente di gioco fra pubblicità, discorsi ed apparizioni in televisione.
I Vikings gli perdonarono subito quell’incredibile errore, ma putroppo, a tutt’oggi “Wrong Way” Jim (che, fra l’altro, sta attualmente combattendo la sua battaglia più importante per sconfiggere un cancro alle ossa), titolare di 2 records così importanti, non ha ancora ricevuto il meritato riconoscimento per la sua grande carriera, ovvero l’essere introdotto nella Pro Football Hall Of Fame a Canton, nell’Ohio.
Il suo nome viene ogni anno inserito fra gli eleggibili, ma, putroppo, quando il giorno prima del Super Bowl vengono nominati i nuovi eletti, Jim viene sempre escluso.
E’ anche quest’anno tra i 15 finalisti (fra l’altro assieme al compagno dei Purple People Eaters Carl Eller), in mezzo ai quali verranno scelti sabato prossimo i prossimi Hall Of Famers; anche se e’ dura, dato che di solito vengono scelti non più di 6 nomi, e quest’anno in lizza per la Hall Of Fame ci sono miti come John Elway ed il mio idolo Barry Sanders, e poi nomi illustri come Art Monk, Richard Dent, Lester Hayes, Cliff Harris, Bob Brown e George Young.
Mi auguro che quest’anno sia finalmente la volta buona, ma ormai è solo una questione di tempo e sono sicuro che o quest’anno, o al massimo entro qualche anno, anche “Wrong Way” avrà il suo busto nella Hall a Canton, assieme a quello delle più grandi leggende del football americano.