Chicago cade ancora.

Partita persa e con non poche recriminazioni, non solo verso la mala sorte, ma anche ad una tattica confusa e ripetitiva che dopo un terzo quarto giocato dimostrando di poter vincere una partita tutt’altro che probitiva ha permesso il ritorno dei Cleveland Browns. Il 20-10 finale accentua i problemi di un attacco piuttosto sterile che, nonostante le dichiarazioni della settimana, ha visto ben poche novità. Kyle Orton è stato chiamato a giocare una partita in “tranquillità”, cercando raramente di andare oltre le dieci yards sui lanci e con poche forzature atte ad evitare perdite di possesso. Le troppe remore messe in mostra per salvaguardare il rating di Orton hanno trasformato l’attacco di Chicago in un’arma poco incisiva e legata all’esplosività delle corse di Thomas Jones. Un Mushid Muhammad tenuto a 52 yards ha del delittuoso, soprattutto se consideriamo che al WR non è mai stata chiamata un traccia in post, gioco sul quale può diventare davvero pericoloso. Tenere [i]Moose[/i] a spasso sulle flat non è bello a vedersi, e questo attacco quasi rinunciatario poco ha che fare col football e con la concretezza di un tentaivo portato a avanti per vincere l’incontro.

Dall’altra parte altri tre rookie, come Cedric Benson, chiamato ai soliti dive, specialità nella quale non pare eccellere, senza un solo tentativo di scatenarlo verso la sideline dove può essere letale. Nelle sue poche portate d’inizio stagione non ha ricevuto chiamate degne del suo repertorio, ed anche ieri è stato costantemente scagliato contro un muro che, col passare del tempo, non faceva altro che intasare il box per attutire il running game di Chicago, evitando decisamente i raddoppi sui WR. Mark Bradley, prima partita come starter, assolutamente poco efficace e vittima di un fumble che dava la possibilità a Cleveland di andare avanti di tre punti, non è parso pronto a giocarsi una chance concreta su di un campo NFL. Infine il nuovo kicker, quel Robbie Gould chiamato a sostituire l’indisponibile Doug Brien e che ha esordito col suo primo fiel goal in NFL sparando da 44 yards una palla da tre punti.

Una brutta partita, piatta e con poche emozioni, con i nuovi giochi dalla shotgun tanto decantati in settimana, non ancora pronti per Orton, visto che il giovane quarterback, ex stella di Purdue, non ha chiamato uno snap con quella formazione fino alla penultima play. Il gioco lo sposta fino all’infortunio quasi tutto Jones (137 yards), ma nel primo tempo (6-3 Browns) si vede davvero poco. Nel terzo quarto invece i Bears riescono a dare dimostrazione di quelli che sono realmente i valori in campo. Grazie al drive più lungo del 2005 (93 yards) Chicago ribalta il campo, correndo molto con il solito Jones e lanciando di tanto in tanto, fino al td pass per il fullback Marc Edwards. La difesa, che già aveva intercettato due volte Trent Dilfer nel primo tempo con Charles Tillman e Mike Brown, ferma i Browns a sole 12 yards di guadagno e, nonostante un fumble perso da Cedric Benson nel secondo drive della terza frazione, la partita sembra decisamente alla portata degli uomini di Smith.

Invece, nell’ultimo periodo la partita cambia rotta. Jones si fa male e con anche il tackle di sinistra Mike Brown fuori uso dal secondo quarto, la O-line comincia a mollare, il running game cala vistosamente e la pressione su Orton aumenta in maniera spaventosa. Dove non può Benson ci prova il terzo RB Adrian Peterson, e nonostante la prima portata sia ottima gli verrà consegnato un solo altro pallone. Il gioco di Chicago non varia, è sempre più noiosamente prevedibile ed irritante, la difesa non fa altro che stare in campo e, ormai stanca, crolla infine su una giocata di Dilfer su Antonio Bryant per il vantaggio di Cleveland.

Dei tre rookie dell’attacco solo Orton non aveva perso un fumble ed ecco che, con un buon numero di minuti per raddrizzare la partita, inevitabilmente il fattaccio si compie. Peterson si lancia a bloccare un blitz che proviene dal centro della linea rapidissimo, subito dopo lo snap. Il RB compie un movimento innaturale, forse scivola, e col casco tocca la palla togliendola dalle mani di Orton. Chris Crocker, vera spina nel fianco dell’attaccodella Windy City ricopre il suo secondo fumble, che si aggiunge ad un sack e 9 tackles totali. Sulle ali dell’entusiasmo l’asse Dilfer-Bryant si riattiva e colpisce di nuovo Chicago chiudendo l’incontro.

Nelle ultime fasi Orton tenta finalmente la tanto attesa giocata dalla shotgun, ma i risultati sono disastrosi e solo una flag lo salva dall’intercetto subito. Lovie Smith, sempre pronto a difendere i suoi giocatori davanti alle telecamere, parla tanto ma dice poco. La squadra stenta, ha un attacco poco incisivo e a fine gara anche la guardia John Tait esce per infortunio. Nessuno dei tre infortunati (Jones, Browns e Tait) dovrebbe saltare domenica la gara con Minnesota, ma urgono idee su come battere i Vikings. La difesa regge ben il colpo ma quando non riesce anche (!!!) a segnare Chicago non vince, vittima di un attacco poco prolifico, senza idee ed assolutamente prevedibile sul suo gioco di corse. Anche quando gli special team hanno concesso buoni punti di partenza, l’offensiva dei Bears è stata poco coraggiosa, lontana da quelli che sono i canoni di un incontro di football, dove quando si ha una partita in mano come nel terzo quarto è stato per Chicago, la si va a chiudere approfittando magari di lanci che taglino una difesa disorientata da un drive fatto di corse devastanti come quello subito poco prima.

Non portare Orton all’errore significa cercare di gestire l’orologio, ma anche portare il ragazzo ad una meccanica su alcune play che gli garantisca di avere in Muhammad un terminale fondamentale per cercare di aggredire verso le deep. Una nota positiva è stata la ritrovata vena difensiva di Charles Tillman, il quale prima di crollare fisicamente è andato otto volte al placcaggio ed ha intercettato Dilfer nel primo tempo. Per Brian Urlacher non ci sono ormai più parole, il vero leader del reparto, collante di una coesione che porta la difesa ad essere tra le più solide della lega. I 12 tackles totali (7-5) più un sack sono le stats di una partita che lo ha visto sempre nel vivio del gioco e pronto a colpire in ogni angolo del campo.

Chicago perde solo ed esclusivamente per non essere riuscita a mantenere l’inerzia (di gioco, ma anche psicologica) conquistata nel terzo periodo, dove è riuscita ad annientare completamente i Browns. Alla fine la difesa ha fatto il proprio, ma la linea e l’assenza di un gioco di corse credibili hanno aumentato la pressione su Orton che ha chiuso la partita con quattro sacks. I suoi numeri (16/26 per 117 yds e un td) dimostrano come in realtà non si cerchi di spingere il QB ad uno schema adatto a lui e ad un suo conseguente inserimento rapido in ottica NFL, ma solo come Smith cerchi di vincere le partite correndo e consegnando a Orton le chiavi per il compitino a casa. Con Minnesota, se si è stati puniti così da Dilfer, Culpepper potrebbe risultare un incubo tremendo e bisognerà vedere un’altra Chicago. I Vikings hanno i loro problemi, in difesa come in attacco, e sarà necessario per Chicago essere brava a sfruttarli, ma anche coraggiosa. Togliere pressione a Muhammad e Orton, cercare di levare dalla naftalina quel Bernard Berrian, veloce e tecnico WR retrocesso in quinta posizione nella depth chart, per valutarne l’efficacia oltre le giocate di Gage e Bradley; chiamare anche corse in off tackle e far fare più chilometri a Benson, magari verso la sideline, per rodarlo al meglio e dimostrare che il game planning non è così limitato e privo di invenzioni che possano dare maggior spinta anche a gara in corso. Inoltre bisogna dare coraggio a Orton e per farlo, a costo di vederlo sbagliare, bisogna di tanto in tanto fargli giocare il pallone un po’ più profondo per far prendere maggior confidenza con le aggressioni sulle deep e dare libera possibilità di scatenarsi a Muhammad.

Smith non può permettersi di far terminare la stagione prima del previsto, soprattutto in un anno in cui la NFC North tarda a decollare ed il raggiungimento dei playoffs potrebbe essere un’utopia molto meno difficile da raggiungere di quanto sembri. In una partita equilibrata come quella di domenica, dove i valori numerici delle due squadre si assomigliano incredibilmente a livello statistico, sarebbe dovuta emergere prima quella squadra che ha trovato in anticipo sugli avversari la quadratura del cerchio, ossia proprio i Bears de lterzo periodo. Il punteggio finale e le 278 yards (contro le 264 di Chicago) concesse con un Reuben Driugnhs limitato al massimo e un Dilfer bloccato fino a cinque minuti dalla fine, sono tutti frutto di un cedimento dell’attacco nel periodo in cui avrebbe dovuto cercare di creare il break decisivo. Aldilà della sfortuna sull’ultimo fumble, a risultato ancora in bilico, il fatto di non vedere mai un’azione davvero aggressiva e il gioco offensivo (e con esso la protezione su Orton) morire insieme a quello del running game causa l’uscita di Jones lascia perplessi. Chicago deve reagire, ma per farlo ha bisogno di grinta e soluzioni varaibili per non diventare sempre come un topo in gabbia.