La Storia dei Cowboys
Dallo Swing Team a “The Catch”
La città di Dallas, Texas, ebbe la sua franchigia NFL il 28 febbraio 1960. All’espansione si era opposto più di qualche proprietario. Uno dei più fieri fu George Preston Marshall, proprietario dei Washington Redskins, ricordato anche come uno degli ultimi ad aprire il proprio team ai giocatori afro-americani. Quella tra Cowboys e Redskins è tuttora una tra le più fiere rivalità in seno alla NFL.
I proprietari dei neonati Dallas Cowboys, Clint Murchison jr. e Bedford Wynne, assunsero alle loro dipendenze Tex Schramm, affidandogli il compito di costruire la nuova squadra dal nulla.
I Cowboys sarebbero stati uno “swing team”: nella prima stagione di vita, avrebbero infatti dovuto affrontare tutte le altre squadre, benché collocati nella Western Division.

Murchison, Wynne, Schramm e Landry
Texas Earnest Schramm (1920-2003), contrariamente a quanto potrebbe suggerire il suo nome, era un californiano di Los Angeles, discendente di immigrati tedeschi. Aveva lavorato per nove anni nei Los Angeles Rams, dimostrando notevoli doti di scopritore ed innovatore. Fu lui ad ingaggiare un giovane Pete Rozelle come PR degli Arieti, come fu anche uno dei promotori della fusione della NFL e dell’AFL nella NFL odierna. Grande comunicatore ed esperto di merchandising, tra le altre cose fondò le Dallas Cowboys Cheerleaders, introdusse l’informatica nello scouting e nei drafts, e promosse l’uso dell’instant replay.
Come prima mossa a favore dei Cowboys, Schramm ingaggiò il defensive coach dei New York Giants, Tom Landry, e gli affidò quello che la NFL aveva deciso di mettere a disposizione della nuova franchigia.
Dallas non partecipò al draft del 1960, quindi venne deciso che ogni squadra mettesse a disposizione dei Cowboys tre giocatori. Dallas si trovò ad essere la squadra contenente i peggiori giocatori NFL dell’epoca. Il 24 Settembre, i Cowboys ospitarono i Pittsburgh Steelers al Cotton Bowl, nella loro prima gara ufficiale. I texani, in vantaggio fino all’ultimo quarto, assistettero impotenti alla grande rimonta degli Acciaieri, guidati dal grande QB Bobby Layne: l’incontro si chiuse sul 35-24.
I Cowboys persero le loro prime dieci gare stagionali, fino al pareggio strappato ai Giants a New York, nella penultima gara di campionato. La formazione di Dallas perse l’ultimo incontro in calendario, e la sua prima stagione si chiuse senza alcuna vittoria, con un terribile 0-11-1.

Tom Landry sulla sideline dei Cowboys nel 1960
L’anno successivo, i Cowboys parteciparono al loro primo draft, e la loro prima scelta fu un nome che scriverà la storia della franchigia e della lega: Bob Lilly, un defensive tackle da Texas Christian University. Dallas vinse anche la sua prima partita il 17 Settembre, nel match inaugurale della stagione 1961, contro i Pittsburgh Steelers per 27-24, con un FG da 27 yards del PK Allan Green.
I Cowboys vinsero tre delle prime quattro gare, sconfiggendo per due volte un altro expansion team, i Minnesota Vikings. Tuttavia, Dallas tornò bruscamente alla realtà: la stagione si chiuse infatti con un pessimo 4-9-1.
Nel 1962, qualche incoraggiante progresso cominciò ad intravedersi: l’attacco di Dallas fu il secondo più produttivo della Lega (398 punti all’attivo). Ma la difesa texana fu la seconda peggiore in termini di punti concessi, ed i Cowboys, perdendo cinque delle ultime sei partite, chiusero col record negativo di 5-8-1.
Nel 1963, la rivista “Sports Illustrated” pronosticò la vittoria dei Cowboys nella Eastern Division, ma fu un abbaglio colossale: i texani partirono col piede sbagliato, perdendo le prime quattro gare, e sei delle prime sette. Allorquando i Cowboys cominciarono a giocare meglio, la città di Dallas piombò nell’oscurità, a causa dell’assassinio del Presidente John F. Kennedy. I Cowboys persero tre gare di fila, prima di sconfiggere in trasferta i St.Louis Cardinals e chiudere con un pessimo 4-10.
Il draft 1964 avrebbe segnato profondamente il futuro della squadra: al secondo giro, i Cowboys scelsero il DB Mel Renfro ed il QB Roger Staubach al decimo.
Nonostante Staubach avesse vinto l’Heisman Trophy 1963 mentre era ancora all’Accademia Navale, l’averlo scelto era una vera e propria scommessa, dato che avrebbe dovuto prestare ancora quattro anni di servizio in Marina prima di poter essere stabilmente a disposizione del team. I Cowboys faticarono ancora, chiudendo con un record negativo di 5-8-1.
Tuttavia, nonostante da più parti ne fosse stato chiesto il siluramento, al coach Tom Landry venne esteso il contratto per la bellezza di dieci anni. Una scelta che si sarebbe rivelata decisiva.
Buon esordio quello della stagione 1965, con due vittorie in altrettante partite, entrambe contro rivali di Division. Ma gli inconsistenti Cowboys dovettero subito tornare coi piedi per terra, incappando in ben cinque sconfitte consecutive. La squadra seppe però riprendersi nel finale di stagione, e con cinque vittorie in sette partite, portò il bilancio finale sul 7-7.
Durante quei primi anni ’60, i Cowboys avevano continuato a costruire la loro squadra. Il quarterback “Dandy” Don Meredith ed il runningback Don Perkins si erano uniti al gruppo, e il 1966 vide il Presidente e GM Tex Schramm intensamente coinvolto nelle trattative tra AFL ed NFL per una futura fusione e per una finalissima tra le loro due migliori squadre.
I Cowboys sembrarono da subito i candidati numero uno per quell’incontro, vincendo alla grande le prime quattro gare stagionali. Vi fu però una serie di quattro incontri, che vide i texani conquistare una vittoria, perdere una partita e pareggiarne un’altra: per rimettersi in pista, i Cowboys superarono in trasferta, con un solo punto di scarto, i Washington Redskins.
Una settimana dopo, i Cowboys stabilirono un primato, mettendo a segno 12 sacks ai danni del QB degli Steelers in quel di Pittsburgh, passando sul 6-2-1. A soli quattro giorni di distanza, iniziò una gloriosa tradizione: i Cowboys ospitarono i Cleveland Browns nel primo incontro del Thanksgiving Day a Dallas.
Quella fu una partita chiave, che vide i Cowboys imporsi per 26-14 e staccare il biglietto per la finalissima NFL, quali Campioni della Eastern Division, grazie ad un record di 10-3-1.
I Cowboys ospitarono i Green Bay Packers al Cotton Bowl, gremito da ben 75.504 spettatori. I Packers si dimostrarono la squadra migliore quel giorno, ma i Cowboys lottarono fino alla fine: la partita si chiuse infatti con un intercetto lanciato da Don Meredith in endzone a 28″ dallo scadere. Gli ospiti si imposero così per 34-27. I Cowboys non avranno un’altra stagione perdente fino al 1985. Da questo momento in poi, saranno una delle forze principali della giovane NFL, mandando otto giocatori al Pro Bowl, tra cui le leggende Bob Hayes, Chuck Howley, Bob Lilly, Don Meredith, Don Perkins e Mel Renfro.

Il defensive tackle Bob Lilly
Allo stesso modo, i Cowboys diventarono una parte importante per la vita della gente di Dallas. Nei loro primi anni, i Cowboys erano stati sempre considerati una specie di seconda scelta dietro i Dallas Texans di Lamar Hunt, dato che i Texans erano la squadra tradizionale ed avevano record migliori. Ma nel 1963 i Texans si spostarono a Kansas City prendendo il nome di Chiefs, ed i Cowboys diventarono l’unico team professionistico della città.
Nel 1967, nonostante tre sconfitte nelle ultime cinque gare, i Cowboys veleggiarono verso il titolo di Campioni della neonata Capitol Division, con un solido 9-5. Nella finale della Eastern Conference, i Cowboys massacrarono i malcapitati Cleveland Browns per 52-14; quella fu la prima vittoria nei playoff, e li proiettò alla finalissima NFL, per un rematch contro i Green Bay Packers, questa volta al Lambeau Field. La partita entrò nella leggenda, a causa delle temperature polari, tanto da venire soprannominata “The Ice Bowl“. La temperatura ufficialmente registrata fu di -25°C, ma quella percepita dai giocatori ed arbitri in campo fu di -44°C. Il freddo paralizzò il modernissimo impianto per il riscaldamento del terreno, rendendolo duro come roccia e scivoloso come ghiaccio. Gli arbitri non poterono usare i loro fischietti per dirigere il gioco, dopo che quello del capo arbitro gli si era incollato alle labbra per il gran freddo. I giochi e i falli vennero chiamati a voce. Green Bay vinse quella mitica partita per 21-17, con una quarterback sneak del grande Bart Starr a 16″ dalla fine, contravvenendo alle istruzioni impartite da Vince Lombardi, che avrebbe voluto “congelare” la palla per un altro down, per poi poter calciare il field goal del pareggio.

Il momento decisivo dell’ “Ice Bowl”
Splendida partenza quella della stagione 1968, con sei vittorie consecutive: i Cowboys non fecero prigionieri e si assicurarono il titolo della Capitol Division con un record di 12-2.
L’attacco di Dallas fu il migliore della Lega, con la bellezza di 431 punti all’attivo, mentre la leggendaria “Doomsday Defense” ne concesse solamente 186.
Tuttavia, la stagione si concluse con una delusione: i Cowboys vennero infatti piegati per 31-20 in trasferta dai Cleveland Browns nel Championship della Eastern Conference.
Il 1969, stante il ritiro dall’attività di Don Meredith, vide un cambio in cabina di regia: il signal caller chiamato a succedergli fu Craig Morton. I Cowboys conquistarono il titolo divisionale con un eccellente 11-2-1, impreziosito dalle prestazioni del RB Calvin Hill, nominato Rookie of the Year con 942 yards su corsa. La stagione si chiuse in modo identico rispetto alla precedente: furono ancora una volta i Browns a mettere i bastoni tra le ruote ai texani, sconfiggendoli per 38-14 nel Championship della Eastern Conference, disputatosi, però, tra le mura amiche del Cotton Bowl.
Agli inizi degli anni ’70 la NFL subì un grande cambiamento, assorbendo la AFL e diventando così l’unica lega professionistica di football. Anche i Cowboys subirono importanti cambiamenti: Meredith e Perkins si ritirarono nel 1969, e altri giocatori si unirono al gruppo, come Cliff Harris, LeeRoy Jordan, Rayfield Wright, Dan Reeves, Mike Ditka e Roger Staubach, finalmente libero dagli impegni del servizio militare. Il punto di svolta della stagione 1970 giunse per i Cowboys nel Monday Night del 16 Novembre, con la pesante sconfitta casalinga per 38-0 inflitta loro dai St. Louis Cardinals, che portò il parziale sul 5-4, mettendo a repentaglio la partecipazione ai playoff.
Da quel momento in avanti, i Cowboys vinsero tutte e cinque le partite ancora in calendario, conquistando il titolo della NFC East col record di 10-4.
Nel Divisional Playoff, la formazione texana ospitò i Detroit Lions, in quella che fu la partita di postseason col più basso punteggio di sempre: la “Doomsday Defense” annichilì i Lions, ed anzi mise a segno due punti, che insieme ad un FG furono i soli a finire sul tabellone.
Nel Championship NFC, i Cowboys raggiunsero finalmente il Super Bowl, sconfiggendo in trasferta, col punteggio di 17-10, i San Francisco 49ers.
Nel Super Bowl V, svoltosi a Miami, gli avversari furono i Baltimore Colts. In una brutta partita, caratterizzata da un numero incredibile di turnover (e perciò definita “Blunder Bowl”), i Cowboys si trovavano in vantaggio per 13-6 a metà dell’ultima frazione di gioco. Tuttavia, due intercetti lanciati da Craig Morton ed un FG di Jim O’Brien a tempo praticamente scaduto furono determinanti nella vittoria finale, col punteggio di 16-13, dei Colts. Nonostante la sconfitta, il titolo di MVP fu assegnato al LB Chuck Howley. Ma l’ennesima sconfitta in un incontro importante fece sì che i Cowboys venissero definiti impietosamente dalla stampa “The next day Champions“, i campioni del giorno che verrà.
Nel 1969, erano iniziati i lavori per un nuovo stadio che sostituisse il Cotton Bowl come “casa” dei Dallas Cowboys. Il Texas Stadium di Irving (un piccolo centro abitato nella Contea di Dallas) venne inaugurato il 24 Ottobre 1971. Non avendo lasciato il territorio della contea, la squadra non cambiò il suo nome, e per festeggiare degnamente l’evento, i padroni di casa bastonarono senza pietà i New England Patriots, con un sonoro 44-21.
Ma presto i Cowboys cominciarono a stentare, fino al parziale di 4-3, mentre Craig Morton e Roger Staubach continuavano a darsi il cambio in cabina di regia.
Il 7 Novembre i Cowboys diedero finalmente il posto di titolare a Staubach: i texani non si guardarono più indietro, vincendo le ultime sette partite, e conquistarono il titolo della NFC East col record di 11-3.
Nel Divisional Playoff, i Cowboys sconfissero i Minnesota Vikings per 20-12, pronti al rematch del Championship NFC contro i San Francisco 49ers. Fu la “Doomsday Defense” a trascinare i texani, che si imposero per 14-3 e si qualificarono per il secondo Super Bowl consecutivo.
E’ con la nomea di perdenti che il 16 gennaio 1972 i Cowboys scesero in campo per il Superbowl VI contro i Miami Dolphins, a New Orleans. Roger Staubach aveva chiuso la stagione regolare con 1.882 yards, 15 touchdown e solo quattro intercetti. La difesa di Dallas, la famigerata “Doomsday Defense”, non aveva concesso un solo touchdown nei 25 quarti di gara precedenti il Superbowl.
Il leader indiscusso era Bob Lilly, con alle spalle i linebackers Chuck Howley, D.D. Lewis e LeeRoy Jordan, coperti dai cornerbacks Herb Adderly e Mel Renfro e dalle safeties Cliff Harris e Cornell Green: 21 intercetti in tutto. Dallas ottenne una vittoria strepitosa sui Dolphins per 24-3, stabilendo i record per le yards corse (273), i primi down (23), il minor numero di punti concessi (3), e il minor numero di yards totali concesse (185), comprensive di uno spettacolare sack da -30 yards di Bob Lilly sul quarterback Bob Griese. I Cowboys sono tuttora l’unica squadra ad aver disputato una finale senza aver concesso nemmeno un touchdown agli avversari. Il trionfo fu completato dal titolo di MVP assegnato a Roger Staubach.

Landry portato in trionfo a New Orleans
Quello fu il momento in cui i Cowboys cominciarono a crescere in popolarità anche fuori dalla città di Dallas, in tutti gli States. Le loro apparizioni al Thanksgiving Day Game, iniziate nel 1966, li aiutarono a conquistare la notorietà nazionale. Sotto la capace guida di Tom Landry, la cosiddetta “Doomsday Defense” diventò una potenza dominante nel panorama della NFL, e veder giocare il loro attacco spumeggiante era un vero piacere per gli occhi.
Nel 1972, nonostante il grave infortunio alla spalla rimediato da Roger Staubach, i Cowboys non fecero una piega: sul parziale di 10-3, erano in corsa per il settimo titolo divisionale di fila, per il quale sarebbe stata sufficiente una vittoria. Le cose non andarono così: i texani vennero infatti sconfitti tra le mura amiche dai New York Giants per 30-28, il che mise fine al loro dominio nella NFC East. Il record di 10-4 assicurò comunque una Wild Card.
Nel Divisional, a San Francisco, i Cowboys erano in svantaggio per 28-16 nel terzo quarto contro i 49ers, quando Roger Staubach rimpiazzò Craig Morton alle spalle del centro. Staubach trascinò i suoi alla rimonta nell’ultima frazione di gioco, ed i texani si imposero per 30-28. Tuttavia, la stagione si chiuse una settimana più tardi, allorquando i Cowboys cedettero in trasferta per 26-3 ai Washington Redskins nel Championship NFC.
Nel 1973, dopo una partenza sul parziale di 4-3, i Cowboys vinsero sei delle restanti sette gare, conquistando il tiolo divisionale della NFC East con un ottimo10-4. Nel Divisional Playoff, i texani sconfissero i Los Angeles Rams per 27-16 al Texas Stadium, qualificandosi per il quarto Championship consecutivo. Tuttavia, nemmeno giocare tra le mura amiche potè evitare la sconfitta per 27-10 contro i Minnesota Vikings, che staccarono così il biglietto per il Super Bowl.
Il 1974 vide i Cowboys perdere quattro incontri consecutivi, dopo aver vinto solamente all’esordio. Sul parziale di 1-4, le speranze di postseason parevano compromesse. I texani vinsero sette delle ultime nove partite, chiudendo col record di 8-6, non sufficiente, però, per disputare la postseason. Si interruppe così una striscia di otto partecipazioni consecutive ai playoff. Il momento da ricordare di quella stagione fu la sfida del Thanksgiving, in cui il backup di Staubach, Clint Longley, guidò i Cowboys alla vittoria contro i Washington Redskins, al termine di una drammatica rimonta. Tuttavia alla fine di quella stagione i Cowboys effettuarono un draft eccellente, pescando due autentiche leggende come Randy White e Thomas “Hollywood” Henderson. Il primo dei due, soprattutto, ha incarnato lo stereotipo del difensore grintoso e tecnicamente ineccepibile per anni: detto “Manster” (half man half monster), seminerà il panico per 14 anni nei backfield avversari fino al suo ritiro, dopo 290 partite e nove Pro Bowl consecutivi, avendo saltato in tutto solamente 14 incontri in carriera.

Randy White a caccia…
La stagione 1975 non si aprì sotto i migliori auspici: il DT Bob Lilly, il CB Cornell Green ed il RB Walt Garrison si ritirarono, mentre il RB Calvin Hill passò alla Lega rivale, la WFL. La formazione di Dallas vinse le prime quattro gare, ma ebbe una battuta d’arresto a metà stagione, perdendone tre su quattro. I Cowboys seppero però riprendersi con prontezza, vincendo cinque degli ultimi sei incontri e chiudendo col record di 10-4; pur non essendo sufficiente a conquistare il titolo divisionale, valse loro una Wild Card.
Nel Divisional Playoff, giocato a Minneapolis, le speranze dei Cowboys stavano ormai esaurendosi: i texani si trovavano infatti sotto per 14-10 contro i Vikings allo scadere. A soli 24 secondi dal termine, Roger Staubach lanciò una bomba da metà campo, e la sua preghiera fu esaudita: il WR Drew Pearson vinse lo scontro con un difensore dei Vikings, afferrando il pallone in endzone e dando ai suoi una miracolosa vittoria per 17-14. I Cowboys utilizzarono l’espressione “Hail Mary” per definire quel lancio, e piegarono poi in trasferta i Los Angeles Rams per 37-7, qualificandosi per il Super Bowl X.
Al Grande Ballo di Miami, gli avversari di turno furono i Pittsburgh Steelers, alla caccia del secondo Lombardi Trophy. La partita fu tiratissima, ed i Cowboys giunsero all’ultimo quarto in vantaggio per 10-7. Ma l’incontro giunse ad una svolta quando il punt di Mitch Hoopes fu bloccato in endzone. Gli Steelers segnarono nei tre possessi consecutivi, coronati dalla ricezione in TD da 64 yards di Lynn Swann. Tuttavia, i Cowboys decisero di vendere cara la pelle, ed infatti Roger Staubach imbeccò Percy Howard con un TD pass da 34 yards. I Cowboys rientrarono velocemente in possesso del pallone, con ancora 1’22” per tentare un altro miracolo. Ma stavolta l’Hail Mary Pass di Staubach fu intertercettato, ed i Cowboys persero per 21-17.

La copertina di Sports Illustrated sul Superbowl X
Partenza sprint quella della stagione 1976, con cinque successi consecutivi, che furono il prodromo al record finale di 11-5, con il quale i Cowboys conquistarono il titolo della NFC East. Ma la mancanza del gioco su corsa dei texani si rivelò decisiva nel Divisional Playoff, che vide il successo dei Los Angeles Rams per 14-12 al Texas Stadium. Nella offseason, i Cowboys cedettero diverse scelte nel draft ai Seattle Seahawks, per salire in graduatoria e selezionare il RB Tony Dorsett, fresco vincitore dell’Heisman Trophy. Puntare su Dorsett, eletto Offensive Rookie of the Year, fu la scelta giusta: con lui ad occuparsi del running game, i Cowboys vinsero le prime otto gare della stagione 1977, e chiusero la regular season col miglior record di tutta la NFC, un eccellente 12-2 al termine della stagione in cui Bob Ryan, un giornalista della NFL Films, conia la definizione di “America’s Team”, nomignolo che avrebbe seguito i Cowboys negli anni a venire fino ad oggi, attraverso la buona e la cattiva sorte. Nonostante fosse divenuto titolare soltanto alla decima partita di stagione, Dorsett fu il miglior corridore della franchigia con 1.007 yards, 13 touchdown, ed altre 273 yards in 29 ricezioni, che ne fecero il terzo ricevitore della squadra. E se possibile, la “Doomsday Defense” sembrò essere addirittura più forte di quella schierata nel Superbowl X: la linea di difesa formata da Harvey Martin, Jethro Pugh, Ed “Too Tall” Jones e Randy White, è considerata da moltissimi ancora la linea più forte mai schierata da una squadra NFL nella storia della Lega.
Nei playoff, i Cowboys continuarono a giocare alla grande, facendo letteralmente a pezzi i Chicago Bears per 37-7 nel Divisional. Nel Championship NFC, Dallas vinse agevolmente contro i Minnesota Vikings per 23-6 al Texas Stadium, staccando così il biglietto per il suo quarto Super Bowl, e stabilendo così un nuovo record NFL.
Il Super Bowl XII fu il primo ad essere disputato in un dome, quello di New Orleans; l’incontro vide i Cowboys opposti ai Denver Broncos. Quel Superbowl fu la partita tra il passato dei Cowboys, impersonificato da Craig Morton ora quarterback di Denver, ed il suo presente, Roger Staubach. Ancora una volta, i Cowboys mostrarono tutta la propria potenza, chiudendo il primo tempo in vantaggio per 13-0. Dopo un FG messo a segno dai Broncos, i texani misero una seria ipoteca sul titolo, con un TD pass da 45 yards di Roger Staubach per Butch Johnson. I Broncos risposero a loro volta con un TD, ma i Cowboys misero la partita in cassaforte con un’altra meta nell’ultimo quarto, che portò il punteggio sul definitivo 27-10. I difensori Randy White e Harvey Martin furono i co-MVP dell’incontro.

La spettacolare ricezione di Butch Johnson
L’inconsistenza fu il tratto dominante delle prime dieci gare della stagione 1978, che videro i texani soccombere per quattro volte, pur mantenendo il primo posto nella NFC East. Nelle ultime sei gare, però, i Cowboys si decisero a giocare quel football solido e potente che avevano mostrato l’anno precedente, aggiudicandosi tutti e sei quegli incontri, cinque dei quali per 18 o più punti di scarto.
Nel Divisional Playoff, i Cowboys provarono un pò di paura, essendo in svantaggio contro gli Atlanta Falcons all’intervallo. Tuttavia, seppero riprendersi e conquistarono la vittoria per 27-20, qualificandosi così per il settimo Championship NFC in nove anni. In quell’incontro, i Cowboys vendicarono la sconfitta patita ad inizio stagione, infliggendo ai Rams un impietoso 28-0 a Los Angeles, guadagnandosi così l’accesso al loro quinto Super Bowl.
Dopo l’aumento delle partite da 14 a 16 e dei playoffs da 8 a 10 incontri, la NFL fu felicissima di vedere al Superbowl XIII le due franchigie più popolari del momento: Dallas e Pittsburgh, in una riedizione di quello che era stato il Superbowl X. Erano anche di fronte le due migliori difese della Lega, la “Doomsday Defense” e la “Steel Curtain”. Inoltre, Dallas era la prima squadra ad apparire in cinque Super Bowl, e non si era mai verificato che due squadre si affrontassero per la seconda volta, in una sorta di rivincita, in finale.
La partita fu in equilibrio per tutto il primo tempo, fino al TD messo a segno dagli Steelers allo scadere del secondo quarto, che portò il punteggio sul 21-14. I Cowboys riuscirono a segnare solo un FG nel terzo quarto, e gli Steelers assunsero il controllo della partita nell’ultima frazione di gioco, segnando due TDs. Il TE dei Cowboys, Jackie Smith, avrebbe potuto riaprire l’incontro, ma droppò clamorosamente quello che sembrava un TD pass perfetto, nel bel mezzo della endzone.
Alcuni degli Steelers stavano già celebrando a bordo campo, quando Staubach tentò di orchestrare una di quelle rimonte che gli avevano valso il soprannome di “Captain Comeback”: guidò un drive di otto giochi per 89 yards chiuso da un passaggio in endzone di 7 yards per BillyJoe DuPree. Dopo aver recuperato il successivo onside kick, spazzolò il campo con un altro drive da 52 yards in nove giocate (compresi due lanci da 22 e 25 per Drew Pearson), chiudendo con un lancio da 4 yards per Butch Johnson che fissava il punteggio sul 35-31 a 34″ dal termine. Ad un passo dall’impresa leggendaria, però, Dallas non recuperò il secondo onside kick, che terminò la sua corsa tra le braccia di Rocky Bleier, spezzando il sogno dei tifosi dei Cowboys.

Tony Dorsett in azione
Nel 1979, i Cowboys si trovavano sul 7-1 al giro di boa, e sembravano destinati all’ennesimo Championship NFC. Tuttavia, i texani persero quattro partite su cinque a metà stagione, perdendo il primato. Ma l’America’s Team si riprese prontamente, vincendo le due successive gare contro rivali di Division ed agganciando così il treno playoff. Sul 10-5, i Cowboys si apprestavano a giocare l’ultima di campionato: una vittoria avrebbe garantito loro il titolo della NFC East. I Cowboys, però, erano in svantaggio contro gli arcirivali Washington Redskins per 34-21 al Texas Stadium allo scadere. Ma Roger Staubach aveva in serbo un miracolo: guidò infatti i suoi in due fantastici drive, che si conclusero con altrettanti TDs. Così, i Cowboys vinsero l’incontro per 35-34 ed il titolo divisionale.
Nel Divisional Playoff, tra le mura amiche del Texas Stadium, Staubach fu ancora una volta magico, conducendo i suoi dallo svantaggio per 14-5 al vantaggio per 19-14 contro i Los Angeles Rams. Ma alla fine furono gli Arieti californiani a spuntarla per 21-19.
I giorni di gloria dei Cowboys degli anni ’70 si avviavano verso il tramonto. Roger Staubach si ritirò dopo quella sconfitta, lasciando alla guida dei Cowboys il suo backup Danny White, uno dei quarterbacks a torto meno considerati nella storia della franchigia, anche a causa dell’inevitabile confronto con l’autentica leggenda che l’aveva preceduto.
Con il ritiro di Roger Staubach, le aspettative per la stagione 1980 non erano granchè in quel di Dallas: persino lo stesso coach Landry sentiva che i suoi non avrebbero potuto far meglio di un 8-8.
Ma Danny White dimostrò di essere un valido sostituto, lanciando per 3.287 yards e guidando i Cowboys ad un impressionante 12-4. Tuttavia, una sanguinosissima sconfitta rimediata per mano dei New York Giants a metà stagione costrinse i texani ad una Wild Card, dopo aver perso il titolo divisionale.
Nel primo turno dei playoff, i Cowboys vendicarono il finale della precedente stagione, sconfiggendo i Los Angeles Rams per 34-13 al Texas Stadium: quella fu la 200ma vittoria in carriera per Tom Landry. La settimana successiva, i Cowboys volarono ad Atlanta, dove sconfissero in rimonta i Falcons per 30-27, qualificandosi per il Championship NFC di Philadelphia. Furono però gli Eagles ad imporsi, col punteggio di 20-7.
Nel 1981, i Cowboys iniziarono con quattro vittorie consecutive, prima di perdere due incontri di fila in trasferta; il secondo di questi, a San Francisco, vide i Cowboys distrutti per 45-14 dai 49ers. Quella pesante batosta fornì la giusta ispirazione ai texani, che bramavano di potersi vendicare nella postseason. I Cowboys vinsero ancora la NFC East col record di 12-4.
Nel Divisional Playoff, i Cowboys fecero a pezzi i Tampa Bay Buccaneers per 38-0 davanti al pubblico amico, guadagnandosi così il rematch contro i 49ers, ancora a San Francisco, con in palio il titolo di Campioni NFC.
Sin dall’inizio fu chiaro che i Cowboys non sarebbero stati bastonati un’altra volta. La partita fu combattutissima, ed i texani si trovavano in vantaggio per 27-21 verso la fine dell’ultimo quarto, ma Joe Montana condusse i suoi sulle 6 yard di Dallas, con ancora 58″ da giocare. Montana decise di giocare un lancio sul ricevitore Freddy Solomon, ma dopo lo snap si avvide che il suo compagno era coperto magistralmente dalla difesa di Dallas. E la pass rush texana stava facendo collassare la linea d’attacco dei 49ers. Ed Jones e D.D. Lewis braccarono Montana fino alla linea laterale, e il quarterback sembrò liberarsi della palla con un lancio alto e potente verso lo spigolo della endzone. Il receiver Dwight Clark compì un miracolo, inarcandosi e saltando altissimo per ricevere quel pallone impossibile, per poi ricadere con la punta dei piedi dentro la endzone.

“The Catch”
Quella ricezione diventò “The Catch”, la foto finì sulla copertina di Sports Illustrated, San Francisco vinse la partita 28-27 ed andò al Superbowl XVI, vincendolo contro i Cincinnati Bengals.
Ma quella ricezione segnò anche il punto di svolta per entrambe le squadre nei dieci anni successivi. I 49ers parteciparono ai playoff per otto volte nell’arco degli anni ’80, mentre Dallas non riuscirà più ad arrivare al Superbowl, interrompendo anche la sua striscia di stagioni vincenti durata vent’anni.
La nuova Frontiera
Per la prima volta in 18 anni, la stagione 1982 si aprì per i Cowboys con una sconfitta, per di più casalinga: furono i Pittsburgh Steelers ad espugnare il Texas Stadium col punteggio di 36-28.
I texani si ripresero, vincendo l’incontro successivo: sul parziale di 1-1, i giocatori NFL scesero in sciopero per ben due mesi. La loro agitazione portò alla cancellazione di ben sette gare. Quando il campionato riprese, i Cowboys vinsero cinque partite di fila, candidandosi ai playoff. Ma due sconfitte nelle ultime gare costarono loro il primo posto, e chiusero la stagione sul 6-3.
Al primo turno, i Cowboys superarono agevolmente i Tampa Bay Buccaneers per 30-17. La formazione di Dallas riuscì poi, a distanza di anni, a vendicare la sconfitta patita nell’Ice Bowl, piegando i Green Bay Packers per 37-26 al Texas Stadium. La vittoria proiettò i Cowboys al Championship NFC, con avversari i Redskins, nella Capitale.
Tuttavia, per il terzo anno di fila, la stagione dei texani si concluse ad un passo dal Super Bowl: i Pellerossa, infatti, si imposero per 31-17, dopo aver spedito in infermeria il QB Danny White con un trauma cranico.
Il 1983 vide una splendida partenza dei Cowboys, che vinsero le prime sette gare stagionali: sul parziale di 12-2, si apprestavano ad affrontare i Washington Redskins al Texas Stadium, in una sfida chiave per il titolo divisionale. La partita non fu mai in equilibrio, e vide i Cowboys soccombere per 31-10, ma le speranze di conquistare la NFC East non erano ancora svanite: una settimana dopo, i texani vennero nuovamente sconfitti, ed approdarono ai playoff col record di 12-4, giocando però il peggior football della stagione.
Il trend negativo proseguì nella sfida di Wild Card, che i Cowboys persero in casa contro i Los Angeles Rams per 24-17.
Nel 1984 H.R. “Bum” Bright acquistò i Dallas Cowboys da Murchison. Ancora un buon inizio in quella stagione, con quattro vittorie nelle prime cinque gare; tuttavia, l’inconsistenza e le troppe primavere di diversi giocatori si fecero sentire, tanto che i Cowboys persero poi quattro incontri su sette.
La formazione di Dallas si rimise in carreggiata, vincendo le due successive partite e, sul parziale di 9-5, pareva la candidata numero uno alla postseason.
Tuttavia, perdendo le ultime due gare stagionali, i Cowboys passarono sul 9-7: per la prima volta in dieci anni, e la seconda dal 1966, non disputarono i playoff.

H.R. “Bum” Bright
Fedeli alla tradizione, anche nel 1985 i Cowboys cominciarono alla grande, con cinque vittorie nelle prime sei partite, installandosi così in vetta alla NFC East.
Nonostante un’alternanza di vittorie e sconfitte nelle restanti dieci gare, il record di 10-6 dei texani fu sufficiente per conquistare il titolo divisionale.
Ma nel Divisional Playoff le debolezze dei Cowboys emersero impietosamente, e la formazione di Dallas fu estromessa dai playoff per mano dei Rams, che si imposero per 20-0 nella Città degli Angeli.
Ennesima buona partenza dei Cowboys nella stagione 1986, con sei vittorie nelle prime otto gare: i texani parevano ormai in piena corsa, insieme ad altre due formazioni, per il primato nella NFC East. Ma in una partita chiave a Meadowlands, i Cowboys vennero piegati per 17-14 dai New York Giants: a rendere la sconfitta ancor più pesante fu l’infortunio alla mano rimediato dal QB Danny White, che mise fine alla sua stagione. Con il backup Steve Peuller in cabina di regia, il resto della stagione fu disastroso: i texani vinsero ancora una sola partita, e chiusero con un deludente 7-9, mettendo così fine ad una striscia di venti stagioni consecutive con record vincenti, nelle quali avevano disputato i playoff per 18 volte.
Nel 1987, sul parziale di 1-1, la NFL scese in sciopero, e le franchigie utilizzarono delle riserve per continuare la stagione. Tuttavia, durante quella fase, i Cowboys ebbero un chiaro vantaggio, dato che molti dei loro migliori giocatori non presero parte all’agitazione: i Cowboys vinsero agevolmente le prime due gare, ma nell’ultima vennero battuti da un gruppo di rincalzi dei Washington Redskins in un Monday Night al Texas Stadium. Quando i titolari fecero ritorno, i Cowboys persero sei dei successivi otto incontri. Nonostante la vittoria nelle ultime due giornate di campionato, i Cowboys chiusero col record negativo di 7-8.
Il 1988 vide i Cowboys in caduta libera: sul parziale di 2-2, i texani persero infatti 10 incontri di fila, chiudendo poi con un allucinante 3-13. L’unica nota positiva della stagione venne dal RB Herschel Walker, che totalizzò 2.019 yards tra corse e ricezioni.
Ma quell’annata segnò soprattutto la fine di un’era: poco dopo la fine del campionato, i Cowboys vennero acquistati da Jerry Jones.
Jerrel Wayne Jones, nato a Los Angeles e vissuto a Little Rock, Arkansas era ed è un petroliere di successo in Oklahoma, con trascorsi da discreto runningback nelle high school e da linea d’attacco all’Università di Arkansas.
Jones assunse anche gli incarichi di General Manager, licenziando Tex Schramm, simbolo storico della franchigia, ed il suo primo passo lo rese subito inviso a gran parte dei tifosi dei Cowboys: lo stesso giorno del suo insediamento, licenzò anche il coach Tom Landry, che era stato l’unico allenatore della squadra in tutti i suoi 25 anni di storia.
Al suo posto mise il suo ex-compagno di Università e di squadra, il texano Jimmy Johnson. Inoltre, spinse al ritiro Danny White, che considerava scudiero di Landry, e quindi una minaccia per la stabilità dello spogliatoio.

Jerry Jones
Come prima scelta del draft venne preso un giovane quarterback da UCLA con trascorsi anche presso l’Università di Oklahoma, Troy Aikman. Inoltre, Jones cedette anche il runningback Herschel Walker in cambio di cinque giocatori ed otto scelte di draft.
La prima vittoria della stagione giunse sul campo dei Washington Redskins, battuti per 13-3.
Quello sarebbe stato però l’unico successo dell’anno, dato che i Cowboys chiusero con un imbarazzante 1-15, il peggior record in assoluto nella loro storia. Ma le basi della rifondazione erano state gettate.

Herschel Walker
Nel draft 1990, benché avessero perso la loro prima scelta selezionando il QB Steve Walsh, i Cowboys operarono molto bene: il colpo migliore fu certamente la scelta del RB Emmitt Smith a metà del primo giro. Quella che sarebbe stata poi chiamata “The Triplet” venne completata: Smith, Aikman ed il receiver Michael Irvin sarebbero stati i cardini portanti della dinastia dei Cowboys negli anni ’90.
La stagione si aprì con una vittoria, ma i Cowboys faticarono ancora, con un parziale di 3-7 dopo i primi dieci incontri. I texani, tuttavia, cominciarono ad ingranare, e vinsero quattro partite consecutive, entrando nella corsa ai playoff.
Con il QB Babe Laufenberg a rimpiazzare un infortunato Troy Aikman, i Cowboys persero le ultime due gare stagionali, chiudendo sul 7-9. Se avessero vinto entrambi gli incontri, sarebbero andati ai playoff. I Cowboys finirono la stagione con il record di 7-9, ma Smith venne nominato NFC Offensive Rookie of the Year, e Jimmy Johnson eletto Coach of the Year.

The Triplet
Con il record di 11-5, nel 1991 i Cowboys riuscirono ad approdare ai playoff, grazie ad una striscia vincente nelle ultime cinque gare di regular season, nonostante un infortunio rimediato da Troy Aikman. Nella sfida di Wild Card, i texani, guidati dal QB Steve Beuerlein piegarono in trasferta i Bears per 17-13.
Ma una settimana più tardi, la stagione dei Cowboys si chiuse anticipatamente, con la sconfitta per 38-6 rimediata per mano dei Lions a Detroit.
Il draft 1992 vide una buona messe di giocatori di livello, tra i quali il CB Kevin Smith, il LB Robert Jones, la S Darren Woodson ed il CB Clayton Holmes. Oltre a loro, i Cowboys si assicurarono il DE Charles Hailey, al fine di dare alla propria giovane difesa un punto di riferimento ed un leader di grande esperienza.
Le mosse della offseason furono realmente azzeccate, tanto che la formazione di Dallas si dimostrò un vero e proprio rullo compressore, con una partenza sul 9-1. La regular season si chiuse con un eccellente 13-3 e la conquista della NFC East per la prima volta in sette anni.
Nel Divisional Playoff, i Cowboys distrussero i Philadelphia Eagles per 34-10, volando così a San Francisco per disputarsi l’accesso al Super Bowl con i 49ers. A distanza di dieci anni, si riproponeva così una sfida che aveva segnato un’epoca: in quell’occasione, i ‘Niners avevano dimostrato di essere la miglior squadra della NFL, ma questa volta le cose sarebbero andate diversamente. Dopo aver chiuso il primo tempo in parità sul 10-10, i Cowboys sconfissero i 49ers per 30-20, staccando il biglietto per la finalissima NFL.
Il Super Bowl XXVII, giocatosi a Pasadena, vide il ritorno dei texani al Grande Ballo dopo 15 anni; gli avversari furono i Buffalo Bills.
Proprio questi ultimi misero i primi punti sul tabellone, capitalizzando al meglio un fumble commesso dai Cowboys in prossimità della goal line, e portandosi così sul 7-0. I Cowboys riuscirono a ribaltare la situazione, facendo pagare a carissimo prezzo agli avversari i propri errori: i texani misero infatti a segno 14 punti in soli 25″ nel primo quarto.
Il trend continuò anche nel secondo quarto, con i Cowboys capaci di segnare 14 punti in 18″ secondi, ed a chiudere il primo tempo in vantaggio per 28-10. Dopo aver chiuso il terzo quarto con un parziale di 7-3 in favore degli avversari, i Cowboys misero in ghiaccio la partita, realizzando 21 punti e portandosi sul 52-17, approfittando di ben nove turnover commessi dai Bills.
Alla fine, i Cowboys realizzarono un nuovo record in fatto di punti messi a segno in un Super Bowl, totalizzandone 59, ma il lungo ritorno di fumble di Leon Lett non si convertì in TD quando il giocatore cominciò a trotterellare nei pressi della goal line, ed il pallone gli venne strappato dalle mani da Don Beebe.
Ormai non c’erano dubbi: i Cowboys erano tornati in vetta alla NFL, guidati da un Troy Aikman ormai affermatosi come uno dei migliori quarterbacks in assoluto, premiato con il titolo di MVP del Super Bowl.

Uno dei TDpasses di Aikman nel Super Bowl XXVII
La stagione 1993 non si aprì nel migliore dei modi: Emmitt Smith era infatti nel bel mezzo di una disputa contrattuale con Jerry Jones, e non giocò le prime due partite di campionato, che videro la sconfitta dei texani. Ma dopo la positiva composizione della vertenza, i Cowboys non fallirono un colpo, vincendo 12 delle restanti 14 gare, trascinati proprio da Smith, che fu giustamente nominato NFL MVP con 1.486 yards su corsa all’attivo. I Cowboys vinsero il titolo della NFC East e si assicurarono anche il vantaggio campo.
Nel Divisional Playoff, i texani sconfissero i Green Bay Packers per 27-17, pronti al rematch contro i 49ers nel Championship NFC. Dopo uno stallo sul 7-7, i Cowboys ruppero gli indugi, mettendo a segno 21 punti consecutivi: l’incontro si chiuse col punteggio di 38-21, ed il coach Jimmy Johnson promise la vittoria nel Grande Ballo.
Il Super Bowl XXVIII, il settimo nella storia dei Cowboys, si svolse al Georgia Dome di Atlanta, e vide i texani nuovamente opposti ai Buffalo Bills.
Il primo tempo si chiuse con i Bills in vantaggio per 13-6, ma la vera svolta del match, in favore dei Cowboys, giunse all’inizio del terzo quarto, quando James Washington recuperò un fumble commesso da Thurman Thomas e lo riportò in meta per 46 yards, portando il punteggio in parità. Da quel momento in avanti, Emmitt Smith diede inizio al suo show personale, mettendo a segno due TDs e guadagnandosi il titolo di MVP del Super Bowl. Col punteggio di 30-13, i Cowboys conquistarono il secondo Vince Lombardi Trophy consecutivo. La sconfitta relegò i Bills nel club dei “losers”, con quattro apparizioni perdenti al Super Bowl, in compagnia dei Minnesota Vikings e dei Denver Broncos.
Dallas segnò un nuovo record, mandando al Pro Bowl ben 11 suoi giocatori: Troy Aikman, Emmitt Smith, Michael Irvin, Thomas Everett, Daryl Johnston, Russell Maryland, Nate Newton, Ken Norton Jr., Jay Novacek, Mark Stepnoski ed Erik Williams.

Emmitt Smith, MVP del Superbowl XXVIII
Verso la metà della stagione 1994, i Cowboys passarono da America’s Team ad America’s Soap Opera: nonostante i successi, la debordante personalità di Jerry Jones venne mal digerita dal suo vecchio amico Jimmy Johnson, che lasciò l’organizzazione.
Al suo posto venne chiamato Barry Switzer, un coach semisconosciuto a livello NFL ma molto noto nell’ambiente universitario.
Oltre ad avere uno dei record più vincenti a livello di college, Switzer era stato allenatore di Jones, Johnson ed Aikman, che aveva portato con sè da Oklahoma a UCLA. Dimessosi nel 1989 con un record di 157-29-4, venne ripescato dal divano di casa sua dal vulcanico Jerry Jones e proiettato sulla ribalta della NFL.
Nonostante le tensioni interne alla squadra per l’accaduto, i Cowboys conquistarono nuovamente il titolo divisionale, con un eccellente 12-4.
Nel Divisional Playoff, i texani si sbarazzarono agevolmente dei Green Bay Packers, superati col punteggio di 35-9, qualificandosi per il Championship NFC, nel quale avrebbero affrontato i 49ers per la terza volta di fila. La partita, che ebbe luogo a San Francisco, venne considerata come il vero Super Bowl, al quale i Cowboys sembravano i candidati numero uno.
Ma quando i padroni di casa si portarono rapidamente sul 21-0, i Cowboys non riuscirono più a rimontare, e dovettero inchinarsi ai californiani, che si imposero per 38-28.

Jones, Switzer ed il Superbowl XXX
Nel 1995, mentre i Cowboys stavano iniziando la stagione con un 35-0 ai danni dei Giants in quel di New York, Jerry Jones stava concludendo un contratto con il free agent CB Deion Sanders.
Con quest’ultimo a roster, i Cowboys conquistarono agevolmente il loro quarto titolo divisionale consecutivo, grazie ad un record di 12-4. Emmitt Smith stabilì un primato, con 25 touchdowns segnati.
Nel Divisional Playoff, i Cowboys sconfissero agevolmente i Philadelphia Eagles per 30-11, avanzando al Championship NFC, nel quale affrontarono i Green Bay Packers, che avevano piegato i San Francisco 49ers una settimana prima. I Cowboys si portarono sul 28-27, prima di far definitivamente loro l’incontro col punteggio di 38-27, mettendo a segno dieci punti nell’ultima frazione di gioco. Fu così che i texani staccarono il biglietto per il Super Bowl XXX.
Di nuovo al Grande Ballo per la terza volta in 4 anni, i tifosi dei Cowboys meno giovani ebbero un flashback degli anni ’70, quando si trovarono opposti ai Pittsburgh Steelers in quel di Tempe, Arizona. La formazione di Dallas sembrava controllare perfettamente l’incontro, avanti per 20-7 dopo che un intercetto del CB Larry Brown aveva portato ad un TD su corsa di Emmitt Smith.
Ma segnando dieci punti nell’ultimo quarto, gli Steelers riaprirono l’incontro.
Dopo uno stallo offensivo da parte dei Cowboys, l’attacco di Pittsburgh entrò in territorio avversario, e pareva sul punto di mettere a segno, quantomeno, il pareggio. Ma Larry Brown intercettò nuovamente un passaggio di Neil O’Donnell e lo riportò in profondità, mettendo nuovamente Emmitt Smith in condizione di realizzare un’altra meta su corsa, che mise il sigillo sul quinto Super Bowl nella storia della franchigia, conquistato col punteggio di 27-17. Grazie ai 2 decisivi intercetti, Larry Brown fu nominato MVP dell’incontro.

Larry Brown, primo cornerback MVP di un Super Bowl
Tuttavia, nonostante l’ennesimo trionfo, i giorni di gloria stavano nuovamente per terminare, anche a causa degli infortuni e alla politica della free agency. Switzer non aveva abbastanza polso per gestire la crisi, e venne accusato (come era già successo durante la sua carriera al college) di non far rispettare la disciplina da alcuni dei “senatori” della squadra, non ultimo il suo ex-pupillo Troy Aikman. Il 1996 vide inoltre il poderoso attacco dei Cowboys in grandissima difficoltà: il TE Jay Novacek si infortunò, e rimase fuori per tutta la stagione, il WR Michael Irvin venne sospeso per le prime cinque gare di campionato per non aver rispettato il protocollo NFL relativo all’uso di sostanze proibite, e persino un giocatore affidabile e costante come Emmitt Smith iniziò la stagione infortunato, senza mai essere al 100% della condizione.
I Cowboys iniziarono con un parziale di 1-3, sotto per 10-0 a Philadelphia nella quinta partita in calendario, prima che il ritorno di kickoff di Deion Sanders desse la svolta all’incontro ed alla stagione. Dallas finì col vincere nuovamente la NFC East grazie ad un record di 10-6, ma non riuscì a conquistare il bye al primo turno.
Nella sfida di Wild Card, i texani superarono agevolmente i Minnesota Vikings per 40-15, qualificandosi per il Divisional, che avrebbe avuto luogo in Carolina. In quella che fu da molti considerata la classica sfida “Davide contro Golia”, i Cowboys affrontarono i Panthers, al loro secondo anno di vita: la vincente sarebbe volata a Green Bay per il Championship NFC. I Cowboys, però entrarono in campo eccessivamente distratti e condizionati dalle accuse nei confronti di alcuni giocatori, e furono sconfitti per 26-17.
Ancora alle prese con gli infortuni, i Cowboys iniziarono la stagione 1997 con un parziale di 6-5, preparandosi ad affrontare i Packers al Lambeau Field. La formazione texana venne strapazzata per 45-17, e da lì ebbe inizio una striscia perdente, che avrebbe portato il bilancio finale su di un pessimo 6-10. Switzer si dimise lasciando la NFL con un record di 45-26-0. L’ex offensive coordinator degli Steelers Chuck Gailey venne chiamato a sostituirlo.

Chuck Gailey
Nel 1998, i Cowboys approfittarono dell’indebolimento della NFC East, conquistando il titolo divisionale per la sesta volta in sette anni, grazie ad un record di 10-6. Nella corsa a quel titolo, i Cowboys divennero la prima squadra di sempre a rimanere imbattuta nella propria Division, con un eccellente 8-0 contro le dirette rivali. Nella partita di Wild Card, i Cowboys furono opposti ad altri avversari di Division, gli Arizona Cardinals, che avevano già piegato due volte in regular season. Questa volta, però, i texani, privi di Deion Sanders vennero sconfitti per 20-7.
Dopo una travagliata offseason, nella quale Leon Lett venne sospeso per tutta la stagione per uso di droga ed in cui l’ex OT Mark Tuinei morì per overdose, i Cowboys iniziarono il campionato 1999 con un buon 3-0.
Ma le nubi nere erano all’orizzonte: la carriera del FB Darryl “Moose” Johnston si concluse anticipatamente, a causa di infortuni al collo ed alla schiena.
Nel quarto incontro stagionale, che li vide sconfitti 13-10 contro gli Eagles, i Cowboys persero un’altra pedina fondamentale: anche Michael Irvin dovette appendere il casco al chiodo a causa di un infortunio al collo. A rendere ancor più amara una situazione già di per sé grave, l’atteggiamento canzonatorio dei tifosi degli Eagles, che brindarono mentre il povero Irvin veniva portato negli spogliatoi in barella, con la schiena ed il collo immobilizzati.
I Cowboys riuscirono ancora a qualificarsi per i playoff, nonostante un mediocre 8-8. Nella partita di Wild Card, in trasferta contro i Minnesota Vikings, questi ultimi segnarono 24 punti di fila, imponendosi per 27-10. Al termine della stagione, Chan Gailey venne silurato, e la squadra fu affidata a Dave Campo.
Nel primo anno agli ordini del nuovo coach, i Cowboys proseguirono nel loro declino, anche a causa dell’età e della mancanza di giocatori di livello: la stagione si chiuse con un disastroso 5-11. Nel corso del campionato, Troy Aikman subì due traumi cranici, e fu costretto al ritiro dopo che i Cowboys l’avevano rilasciato per problemi fisici.
Un vecchio proverbio dice: “Se hai due quarterbacks non ne hai nessuno”. Ebbene, considerando anche la preseason, nel 2001 i Cowboys ne ebbero ben cinque.
Il titolare fu inizialmente Tony Banks, che venne poi rilasciato a metà della preseason: i Cowboys ne cambiarono altri quattro, alla disperata ricerca dell’erede di Troy Aikman. Ma, dopo qualche lampo isolato del rookie Quincy Carter, di Anthony Wright, diRyan Leaf e Clint Stoener, i risultati furono tutt’altro che positivi, ed i Cowboys chiusero sul 5-11 per la seconda stagione consecutiva, ancora all’ultimo posto nella NFC East.
L’unico motivo di consolazione furono le eccellenti prestazioni di Emmitt Smith, che corse per 1.021 yards, per l’undicesima stagione consecutiva oltre la barriera delle 1.000.
Un’aria di attesa circondò i Cowboys nel 2002: Emmitt Smith iniziò la stagione con un record da battere; con sole 539 yards su corsa, avrebbe infatti infranto il primato di ogni tempo, stabilito da Walter Payton, di 16.726.
Ma le difficoltà palesate dai Cowboys nella stagione precedente si ripresentarono, con un’alternanza di vittorie e sconfitte nelle prime sei gare.
Dopo una frustrante battuta d’arresto esterna per 9-6 contro gli Arizona Cardinals, i Cowboys tornarono a casa per la Week 8 con il record a portata di mano per Emmitt Smith, che lo superò con una corsa da 11 yards nell’ultimo quarto. Ma la squadra non potè gioire, dato che venne sconfitta per 17-14 dai Seattle Seahawks.
La formazione texana continuò a stentare, passando sul 3-7 ed all’ultimo posto nella NFC East.
Dopo aver arrestato la striscia perdente con un successo sui Jacksonville Jaguars, Emmitt Smith disputò la miglior partita stagionale in occasione del Thanksgiving, correndo per 144 yards; i Cowboys mantennero vive le speranze di playoff con il successo per 27-20 contro i Washington Redskins.
Ma quello fu l’ultimo momento positivo per i texani, che persero le ultime quattro gare e chiusero per la terza volta di fila col medesimo record, un pessimo 5-11.
Il destino di Dave Campo, già irrimediabilmente segnato dalla sconfitta alla sua prima uscita con l’expansion team degli Houston Texans, si compì. Molti tifosi e media, non avendo nonostante tutto digerito ancora il licenziamento del grande Tom Landry (venuto tra l’altro a mancare nel 2000), iniziarono ad accusare Jerry Jones di essere la causa dei malanni dei Cowboys, rifiutandosi di assumere un grande coach e preferendo mezze figure, allo scopo di poter gestire in prima persona la conduzione tecnica della sua organizzazione e le decisioni ad essa correlate. Per di più, al termine della stagione 2002 Emmitt Smith lasciò volontariamente i Cowboys, prima che Jones lo tagliasse per rientrare sotto i limiti del salary cap. Se ne andò con lui l’ultimo retaggio di quella squadra che aveva dominato la NFL negli anni ’90. Terminerà la sua carriera un paio di anni dopo come il runningback più prolifico della storia NFL, con 18.355 yards corse.

I Cowboys con il loro vero allenatore?
Ma l’imprevedibile Jones sorprese nuovamente tutti ripescando dall’esilio volontario, nel 2003, il “Grande Tonno”.
Duane Charles “Bill” Parcells, dopo aver portato al Superbowl due volte i New York Giants ed una volta i New England Patriots, ed aver cambiato la storia dei New York Jets, riportandola ai playoff, accettò l’ennesima sfida e decise lasciare la pensione ad un passo dalla sua introduzione nella Hall of Fame di Canton. Il proprietario dei Cowboys aveva finalmente deciso di puntare su un coach con la reputazione di vincente, che avrebbe sfidato la sua autorità quanto a scelte sul personale.
L’era Parcells non si aprì nel migliore dei modi: i Cowboys, infatti, persero all’esordio in casa contro gli Atlanta Falcons per 27-13.
La seconda settimana fu un ritorno a casa per Parcells, che con i suoi Cowboys affrontò e sconfisse la sua ex squadra, i New York Giants, per 35-32.
In quell’incontro, Billy Cundiff mise a segno ben sette FGs, tra i quali uno da 52 yards allo scadere, per mandare la partita in overtime e poi vincerla con un altro calcio da 25. Quel successo galvanizzò i Cowboys, che misero a segno cinque vittorie consecutive, portandosi in testa alla NFC East.
Dopo una sconfitta esterna contro i Tampa Bay Buccaneers, che li lasciarono a secco di punti, i Cowboys fecero ricorso alla difesa per vincere le successive due gare e portarsi sul 7-2.
Ma una settimana dopo, coach Parcells fece un’altra rimpatriata, stavolta sul campo dei New England Patriots, che si imposero per 12-0.
Dopo un’impressionante vittoria casalinga contro i Carolina Panthers, la difesa dei Cowboys, la migliore della Lega, venne ridicolizzata dai Miami Dolphins, che piegarono i texani per 40-21 nel Thanksgiving. Seguì un’altra sconfitta, sul campo dei Philadelphia Eagles, che si imposero per 36-10 e fecero perdere ai texani il primato in classifica.
I Cowboys chiusero la stagione con due vittorie nelle ultime tre partite, partecipando ai playoff per la prima volta in quattro anni.
Ma nella postseason, i Cowboys fecero pochissima strada, venendo sconfitti in trasferta dai Panthers per 29-10. In quell’incontro, l’attacco texano venne letteralmente imbavagliato, con sole 204 yards di total offense, la gran parte delle quali conquistate quando ormai la partita era impossibile da raddrizzare.

Bill Parcells
Il 2004 è iniziato in modo tumultuoso sin dalla preseason: il QB Quincy Carter, che aveva giocato un football solido nel 2003, è stato improvvisamente rilasciato all’inizio del training camp, apparentemente per problemi legati all’uso di sostanze stupefacenti.
Senza Carter, i Cowboys si sono affidati al veteranissimo 40enne Vinny Testaverde, che aveva ovviamente già vissuto i propri giorni migliori.
Con Testaverde alle spalle del centro, i Cowboys hanno stentato decisamente, perdendo sette delle prime dieci partite stagionali, venendo così estromessi in breve tempo dalla corsa ai playoff.
In occasione del Thanksgiving, i Cowboys hanno testato il rookie QB Drew Henson, che non aveva toccato un pallone da football in tre anni, avendo giocato in una minor league di baseball con i New York Yankees. La sua prestazione è stata a dir poco disastrosa: soli quattro passaggi completati ed un intercetto riportato in meta.
L’ingresso di Testaverde nel secondo tempo ha creato tensioni tra Jerry Jones, che puntava su Henson, e Bill Parcells, il quale non era invece convinto del fatto che il ragazzo fosse pronto.
Ma durante la disputa tra QBs, un altro giovane Cowboy si è segnalato come possibile grande speranza della franchigia texana: il RB Julius Jones, che aveva saltato gran parte della stagione a causa di infortunio, ha finalmente avuto l’occasione di iniziare a splendere di luce propria, con 50 yards e due TDs nella vittoria per 21-7 contro i Chicago Bears. Una settimana più tardi, Jones si è ripetuto, correndo per 198 yards e mettendo a segno ben tre touchdowns nell’incontro vinto per 43-39 sul campo dei Seattle Seahawks.
Jones è stato il punto focale dei Cowboys per il resto della stagione, chiudendo con 819 yards su corsa e sette TDs in sole otto partite.
Il record finale dei Cowboys è stato tuttavia un deludente 6-10.
L’ultima svolta epocale è storia recente: Dallas ha draftato al primo giro Demarcus Ware e Marcus Spears, per facilitare la transizione della difesa dal classicissimo 4-3 di landryana memoria ad un più attuale assetto 3-4.
Integrata la squadra da un buon numero di esperti veterani e da una dozzina di rookies dalla free agency, Parcells ha affidato la guida del suo reparto offensivo al fido scudiero Drew Bledsoe, sperando di raggiungere i playoff come tappa iniziale di quel cammino per il Super Bowl che, nella mente del tecnico, dovrebbe completarsi tra due o tre anni.
Ma purtroppo, dopo un esaltante avviso di stagione che ha visto Dallas in testa alla propria Division con un record di 7-3, il giocattolo si è rotto: l’infortunio al tackle Flozell Adams e ad alcuni uomini chiave della difesa (tra cui il LB Dat Nguyen, che sarà costretto al ritiro a fine stagione) hanno messo a nudo le pecche di un roster caratterizzato da scarsa profondità in alcuni ruoli chiave.
La stagione è terminata con un record vincente (9-7), ma con la franchigia nuovamente fuori dai playoff.
Ed oggi? Dopo l’ennesimo colpo di testa di Jerry Jones, che si è assicurato i servigi del controverso WR Terrell Owens, ed un robusto rimaneggiamento nello staff tecnico della squadra, i Cowboys si apprestano ad affrontare la stagione 2006 con rinnovati entusiasmi, confidando in quelli che sono i corsi e ricorsi della storia, una storia fatta di grandi uomini e grandi imprese, come quelle che formano la leggenda della Grande Frontiera Americana, a cui la squadra si è sempre ispirata…
Nel novembre 2004, la comunità di Arlington, Contea di Tarrant, ha votato una delibera che dà il via ai lavori di costruzione di un nuovo stadio adiacente l’esistente Ameriquest Field di Arlington. Il Cowboys Complex, costo stimato 59 milioni di $, dovrebbe essere completato per l’inizio della stagione 2009. I Dallas Cowboys lasceranno il Texas Stadium dopo 38 anni, e la Contea di Dallas dopo 49 anni. Ma niente paura: in fondo sono stati, sono e saranno per sempre semplicemente “The America’s Team”. E più forti dei grandi presidenti, dei grandi allenatori, dei grandissimi campioni, nell’immaginario collettivo rimarranno per sempre soprattutto quella stella azzurra e la divisa bianca blu e argento, simboli rimasti immutati sin dall’inizio della loro gloriosa storia.

I titoli vinti
Super Bowl Championships (5)
1971 (VI), 1977 (XII), 1992 (XXVII), 1993 (XXVIII), 1995 (XXX)
Conference Championships (10)
NFL Eastern: 1966, 1967
NFC: 1970, 1971, 1975, 1977, 1978, 1992, 1993, 1995
Division Championships (19)
NFL Capitol: 1967, 1968, 1969
NFC East: 1970, 1971, 1973, 1976, 1977, 1978, 1979, 1981, 1985, 1992, 1993, 1994, 1995, 1996, 1998, 2007
Gli allenatori
Tom Landry (1960-1988)
Jimmy Johnson (1989-1993)
Barry Switzer (1994-1997)
Chuck Gailey (1998-1999)
Dave Campo (1999-2002)
Bill Parcells (2003-2006)
Wade Phillips (2007-oggi)
Gli Hall-of-Famers
#8 Troy Aikman (QB 1989-2000)
#33 Tony Dorsett (RB 1977-1987)
#22 Bob Hayes (WR 1965-1974)
#88 Michael Irvin (WR 1988-1999)
Tom Landry (Head Coach 1960-1988)
#74 Bob Lilly (DT 1961-1974)
#20 Mel Renfro (S/CB 1964-1977)
Tex Schramm (Pres/GM 1960-1989)
#12 Roger Staubach (QB 1964-1979)
#54 Randy White (DT 1975-1988)
#70 Rayfield Wright (OT 1967-1979)
Il Dallas Cowboys Ring of Honor
#8 Troy Aikman 1989–2000
#33 Tony Dorsett 1977–1987
#43 Cliff Harris 1970–1979
#22 Bob Hayes 1965–1974
#54 Chuck Howley 1961–1973
#88 Michael Irvin 1988–1999
#55 Lee Roy Jordan 1963–1976
HC Tom Landry 1960–1988
#74 Bob Lilly 1961–1974
#17 Don Meredith 1960–1968
#43 Don Perkins 1961–1968
#20 Mel Renfro 1964–1977
GM Tex Schramm 1959–1988
#22 Emmitt Smith 1990–2002
#12 Roger Staubach 1969–1979
#54 Randy White 1975–1988
#70 Rayfield Wright 1967–1979

grazie ragazzi, bell’articolo !
so che fare delle richieste puo’ non sembrare carino, ma se nella seconda parte vi scappa qualche notizia su cosa combinano attualmente gli ultimi cowboys vincenti (es. aikman commentatore, smith agricoltore, etc. ….) sarebbe un tocco in piu’, ma avete fatto davvero un buon lavoro !
Grande Marcello.
Sono in trepidante attesa della seconda parte.
Sei un grandissimo!!!
grazie del bellissimo articolo!
sei bravissimo!
I have written a book about the Cowboys history – The Dallas Cowboys: The Biggest, Loudest, Most Hated, Best Loved Football Team in America, published by Little, Brown and Company.