Una notte pazzesca!
Non potevo trovare altri modi per titolare il pezzo da dedicare a questa gara. Non c’è modo e non basterebbero cento pagine per parlare delle emozioni che questa notte ci ha riservato. Non saranno d’accordo i tifosi dei Cardinals, ma gli dei del football hanno non solo regalato la vittoria ai Chicago Bears, ma soprattutto ci hanno ricordato quanto possa essere incredibile questo sport. Fino all’ultimo respiro. Una notte pazzesca, appunto…
La partita che non ti aspetti piove sui Bears nell’occasione più importante, un Monday Night Football, evento che i Cardinals ospitano dopo sette anni. Vince Chicago 24-23, ma lo fa senza gloria e senza merito, soprattutto guardando la gara offensiva. Raccontare questa partita avrebbe bisogno di capitoli su capitoli, un match dalle mille facce e dai tanti colpi di scena finali. Più di una volta abbiamo immaginato tifosi di Chicago in ogni angolo del pianeta, cambiare canale, alzarsi per uscire di casa o, per quelli allo stadio, far su fagotto e abbandonare la propria poltrona. Ma i Bears hanno sette vite quest’anno e quando l’attacco non arriva da nessuna parte la partita te la vince la difesa.
Rex Grossman assaggia la più grande delusione in carriera, provoca sei turnover (4 INT, 2 FMBL) e non lancia quasi mai un pallone preciso. Il quarterback dà subito segnali di debolezza; manca per poco una tremenda connessione con Bernard Berrian sul primo gioco, ma poi manda la squadra al punt rischiando un intercetto. Secondo drive e stessa fine con un drop clamoroso di Antrel Rolle che lo grazia in modo incredibile. Con la partita che pende da subito in favore dei Cardinals, avanti 14-0 in due drive, Grossman perde in sicurezza e in braccio, va in confusione e continua a lanciare palle piuttosto imprecise, spesso lunghe o fuori bersaglio, anche quando la pressione avversaria non è al massimo livello. E così arriva il primo intercetto, con un pallone stavolta scagliato corto verso Berrian, e subito dopo il secondo, con una lettura pessima e l’ovale “appoggiato” ad Aaron Francisco.
Ci si mette anche la difesa, molle nel primo quarto, spesso fuori posizione, con placcaggi deboli ed errati. Matt Leinart punisce con uno screen per Bryant Johnson prima e un pallone teso per Anquan Boldin subito dopo. Boldin riceve spalle alla endzone, rolla su sé stesso anticipando i movimenti di un Brian Urlacher misteriosamente impacciato e finisce in meta. Correre sembra inutile, la difesa dei Cards chiude abbastanza bene, Thomas Jones (11/39) non è utile alla causa, ma via aerea non succede quasi mai nulla. Desmond Clark (4/61) tira via d’impaccio il povero Grossman nel mezzo quando può, ma tutto finisce lì. I Bears producono solo three and out e turnover. Il secondo quarto si chiude con due fumble consecutivi procurati da pressioni difensive che coinvolgono entrambe le volte Grossman. Sul primo il giovane passer è sorpreso, ma sul secondo potrebbe stare più attento, cercare di muoversi meglio, di accelerare sulle gambe, guardarsi intorno ed evitare il contatto, soprattutto visto quanto successo un attimo prima. Da questo nasce il 20-0 che chiude la prima metà di gara, con due calci di Neil Rackers che in precedenza aveva sbagliato solo un difficile tentativo da più di 50 yards.
La difesa ha ricominciato a girare dopo la batosta iniziale, ma qualcosa là davanti non funziona proprio. Lovie Smith non può giocarsi Grossman psicologicamente e ormai è tardi per diventare conservativi cercando di ragionare, la rimonta sembra impossibile e peggiora, sul secondo drive dei Cardinals nel terzo quarto, quando un roughin the kicker di Dante Wesley regala un primo down automatico ad Arizona. Il quarto era cominciato con un buon drive di Grossman chiuso da tre punti di Robbie Gould (18° field goal consecutivo dalla prima di campionato, record assoluto di franchigia), ma il gioco offensivo si era perso di nuovo immediatamente, ripresentando le difficoltà che Kyle Orton palesò lo scorso anno nella domenica nera contro i Cincinnati Bengals (5 intercetti). Dicevamo del down automatico per i Cards, regalo che porta altri tre punti e uno spreco di tempo incredibile sull’orologio a Leinart e compagni i quali si trovano pronti, dopo l’ennesimo punt di Brad Maynard (6/49.8) a chiudere di nuovo a più venti il terzo periodo. Per Chicago l’unica manna sembra aver evitato lo shutout. Invece la difesa, ormai tornata ai suoi soliti standard, comincia a pescare jolly dal mazzo. Il primo è un ingresso nella tasca da smarcato per Mark Anderson, colpo su Leinart, fumble forzato e Mike Brown raccoglie, ringrazia e segna. Un’iniezione di fiducia che non aiuta un Grossman ormai allo sbando ma rilancia il reparto difensivo più forte della lega.
E allora via con altri due intercetti, il primo (terzo) dovuto all’ennesima lettura imperfetta (eufemismo) di Grossman e il secondo (il quarto) con un pallone scagliato sulla linea e rimbalzato tra le mani di un Darnell Dockett che, dopo aver subito il placcaggio, pretende anche di segnare la meta. Incontentabile. Eppure questo intercetto a poco più di cinque minuti di gioco dal termine sembra chiudere la gara. Invece no. L’impossibile, a volte, capita.
Ai Cardinals basta correre e lasciar scivolare giù giù il cronometro e così fa. Edgerrin James in mezzo, fermato per un -1. Edgerrin James in mezzo, fermato, di nuovo prima di arrivare alla linea di scrimmage; ha un nugolo di avversari addosso, non cade e Brian Urlacher ne approfitta. Mette le mani sul corpo del running back avversario e, quando questi è sbilanciato, riesce a strappargli la palla. Fumble di nuovo. Lo recupera Charles Tillman e lo riporta in endzone, Chicago è clamorosamente in partita anche se l’impresa è comunque ardua, sarà di nuovo palla per i Cardinals. Il reparto difensivo forza comunque un altro punt subito dopo, dando così a Grossman la possibilità di rifarsi e di giocare il drive che potrebbe regalare (solo ed esclusivamente con una meta) la vittoria. Ma non ci sarà bisogno. Devin Hester, rookie e specialista in ritorni, recupera il punt a 83 yards dalla endzone avversaria. Avanza di qualche passo verso destra poi vede un buco tra i due primi giocatori che gli si fanno incontro. Dietro di loro una parte di campo vuota. Hester l’aggredisce aumentando la velocità in maniera inverosimile, scarta a destra di parecchi metri, salta di nuovo verso sinistra evitando il penultimo uomo e dribblando l’ultimo qualche yard più avanti. Chiude in endzone e nessuno, davvero, riesce a credere ai propri occhi. Chicago 24, Arizona 23!
Finita qui? No, chiaramente, quando una partita è epica lo è fino alla “sirena”. Drive decisivo per i Cardinals, la difesa dei Bears (39:43 minuti in campo) è stanca e difficilmente non concederà almeno un calcio. Infatti è proprio così e, per Neil Rackers, la palla verrà colpita verso il goal post da sole 40 yards. Un gioco da ragazzi per lui. Ma in una notte come questa è destino che nulla, alla fine, debba andare per il verso giusto. Il field goal è wide left, Chicago ha vinto e Grossman torna in campo solo per inginocchiarsi.
Poteva perdere Chicago, doveva perdere. I Cardinals hanno il demerito di non aver capitalizzato sei turover a favore (l’ultima volta che una squadra vinse in trasferta perdendo così tanti palloni era il 21 dicembre 1986 quando Chicago -di nuovo- espugnò Dallas), ma appena la difesa dei Bears si è ricordata di fare il proprio dovere è stata davvero dura per loro fare gioco. L’attacco dei Cardinals è davvero solido anche se troppo a lungo la O-line è sembrata più forte del suo reale valore. Quando è servito la difesa ha colpito comunque bene, ma con una giornata del genere in attacco era davvero impossibile aspettarsi di vincere, nonostante tutto. Urlacher è cresciuto a dismisura durante la gara, Brown e Todd Johnson hanno picchiato come pazzi, ma fermare quell’ultimo drive contro Leinart, James e Boldin era praticamente impossibile. Dopo lo sbandamento iniziale i Bears non hanno comunque concesso più mete rendendo ancor più fondamentali i palloni recuperati e convertiti in oro.
Il margine creato è stato ottimo e solo big play difensivi potevano ribaltare una gara così. Vedere Grossman partire freddo e stonare qualche nota è normale, ma quando nei primi quindici minuti di gioco è mancato l’appoggio difensivo si è trovato in difficoltà e, dopo il primo intercetto, toccava a Lovie Smith farlo ragionare, chiedendo un game plan più conservativo per dare più tempo alla difesa. Sotto di due mete e a quelle condizioni c’è stato poco da scegliere, ma Grossman si è trovato divorato psicologicamente e ha perso la partita da solo. Un 5-1 poteva paradossalmente fare bene all’umore, risvegliare quelli che pensano che tutto sia già scritto e che il destino sia dalla tua parte. Di certo il rpossimo bye week servirà a ragionare su questi errori e su questa ignobile (non ci sono altri termini) prestazione offensiva (168 yards). Con una difesa più tonica sin dall’inizio e magari sotto di soli sette punti avremmo certamente visto un’altra gara, più moderata e con meno rischi, ma a volte bisogna saper reagire a un vuoto che la tua difesa (pur raramente) concede. Stavolta ciò che la difesa ha concesso ottiene inevitabilmente tutto il perdono del mondo ed anche di più. Sulle corse, poco sfruttate, forse un piccolo passo indietro, su Grossman meglio sorvolare sperando che l’incidente non si ripeta, perchè ciò che conta (e conterà maggiormente ai playoffs) è la capacità di riprendersi anche da soli, senza aspettare necessariamente che qualcuno vinca al posto tuo.
Lovie Smith è una persona convinta, forse troppo a volte. Dei propri mezzi soprattutto, ma anche del proprio destino di coach predestinato. Mentre il suo QB si pente incredulo per quanto accaduto (“Non ho mai giocato così male e vinto una partita” ha detto “Mai vista una cosa simile. Incredibile”) lui dice che “a volte, quando sei la squadra predestinata, certe cose succedono”. E basta. Per chi di voi crede fermamente nel destino, eccovi serviti.