Miami corsara, finisce la serie dei Bears.

Per i più scaramantici la sconfitta di Chicago contro Miami non è altro che il punto d’incontro con la stagione 1985 dove furono proprio i Dolphins l’unico team capace di battere quei Bears che poi sarebbero diventati campioni del mondo. Oggi non è così, non lo si può pensare. In vista di tre trasferte difficilissime contro Jets, Giants e Patriots, l’immagine che i Bears danno di sé è quella di una squadra traballante, insicura e fragile. Non a torto; il miracolo di Phoenix dove la difesa salvò la squadra da una batosta tanto pesante quanto meritata, non si è ripetuto.

Chicago butta via una palla dopo l’altra (sei turnover tra intercetti e fumbles) e Miami ringrazia, segna e vince. Tutto qua. Difesa sempre in campo, posizioni di gioco ridotte al minimo per gli avversari, inconsistenza offensiva. Impossibile vincere giocando così. Nel primo tempo si era già intravisto un pessimo andazzo per gli uomini di Lovie Smith, ma tutto sommato la squadra era rimasta in corsa. Devin Hester provocava un fumble all’interno delle proprie dieci yards capace di dare il La alla prima segnatura avversaria, e la cosa si ripeteva con l’intercetto a Rex Grossman (18/42 210 yards, TD, 3 Int) su un pallone sparato basso, troppo basso, sulla pressione nemmeno tanto pesante di Jason Taylor, che pizzicava il pallone del QB avversario trasformandolo in sei punti per i propri colori e, nel drive seguente, eseguiva un sack perfetto con tanto di fumble provocato sempre su Grossman. Un blitz sul lato cieco del QB e un’altra palla recuperata.

Solo l’ultimo drive offensivo dei Bears trovava, grazie alla splendida ricezione di Muhsin Muhammad (2/42, TD), una chiusura del big play che riapriva i giochi. Senza Bernard Berrian (1/10) fuori per infortunio da subito, i Bears sono sembrati un po’ fuori giri in avanti, cercando troppo spesso Justin Gage (suo il fumble a inizio terzo quarto) e non sono mai andati con la stessa frequenza verso Desmond Clark che, solitamente, è il miglior target per Grossman.
Anche la tattica di dividere con insistenza le portate di palla tra Cedric Benson e Thomas Jones è sembrata poco utile visto l’evolversi della partita che ha visto i Bears sempre sotto eccezion fatta per il 3-0 con cui Robbie Gould aveva sbloccato il risultato su field goal. Nonostante i problemi l’idea era comunque di rivedere una squadra diversa in campo per la ripresa, invece gli errori sono continuati a fioccare e Miami, guidata dal miglior Joey Harrington mai visto al Soldier Field, ha dilagato portandosi sino al 31-13 finale.

Un risultato che sorprende e che Miami ha costruito giocando alla perfezione, macinando un take-away dopo l’altro e convertendo sempre il tutto in oro. Persino un FG bloccato a fine secondo quarto non ha demoralizzato gli ospiti che espugnano un Soldier Field dove da settembre 2005 nessuno vinceva, dove Grossman non era mai stato intercettato in questa stagione e con un Ronnie Brown semplicemente perfetto capace di superare per la prima volta le cento yards corse nella tana degli orsi dal 2004 quando Edgerrin James ne coprì ben 204.

Brown è riuscito a togliere tutta la pressione del mondo a Harrington correndo 157 yards contro una difesa fino ad oggi perfetta. E non è certo questo reparto a preoccupare, visto i due intercetti di Adewale Ogunleye e Nathan Vasher che avevano tenuto a galla la squadra, viste le volte in cui si trovati alle corde avendo a che fare con un running back impressionante e un gioco sicuro e fluido. No, è l’opposto, è un attacco che, nel bene o nel male, perde troppi palloni, non riesce ad essere decisivo nel gioco aereo contro secondarie tutto sommato non tra le top della lega, non mostra il coraggio di giocarsi dei quarti downs quando ormai la situazione è disperata. Pazzesco.

In generale Grossman va considerato alla stregua di un rookie vista l’inesperienza accumulata sul campo in NFL, e questa offensive line che non sembra trovare la compattezza di un anno fa non dà strada alla crescita del QB e costanza al running game. Un attacco che alle prime difficoltà e quando la squadra va sotto trova problemi su problemi, sembra manchi di idee e inventiva. Smith sbaglia se pensa davvero che questa difesa possa portarlo in fondo, regalare sei palloni, dopo che due weeks or sono furono cinque, non aiuterà contro nessuno; tenere in campo la difesa per tutta la gara non aiuterà a vincere, ma solo a stancarla e a perderla definitivamente.

Smith deve proteggere Grossman ora, da attacchi esterni e critiche e, insieme a Ron Turner, risolvere i problemi dell’attacco dandogli quella profondità che serve quando le cose si mettono male. Una volta la partita te la può vincere Brian Urlacher, ma in quella dopo deve essere l’attacco a dimostrare di saper recuperare. Le prossime tre trasferte, valutando le ultime tre gare di Chicago, potrebbero consegnarci un team a 7-4; sarebbe un bel problema gestire un finale di stagione del genere, ma è assurdo che dopo le avvisaglie della gara contro Arizona si sia pensato di aver risolto tutti i problemi nella gara con San Francisco e si sia entrati in campo oggi con l’idea di poter passeggiare e finire col regalare una gara incredibile. Mediti Smith e mediti chi vedeva questa Chicago già in fondo; forse è vero che la difesa vince i campionati, ma l’attacco deve segnare punti, non regalare palloni, altrimenti l’editto più celebre nello sport americano crolla inesorabilmente.