Ripartire da Miami.
Passata la sconfitta, metabolizzato il risultato negativo e riguardato il tutto con piena lucidità non resta che guardare avanti per i Chicago Bears e per i suoi tifosi che, ancora, non riescono a mettersi alle spalle il mitico 1985. Il Super Bowl XLI se ne va mandando in letargo gli animali NFL fino a settembre e se ne va senza le polemiche di un anno fa, le diatribe o le discussioni filobiscardiane che erano seguite a Seattle-Pittsburgh.
I Colts hanno vinto con merito, il predestinato Peyton Manning ha finalmente il suo anello e tutti gli onori che spettano ad un campione come lui; Chicago si lecca le ferite e si pone mille domande, ma il rammarico resta e difficilmente un’occasione così si ripresenterà già dal 2007. La stagione dopo una sconfitta di queste dimensioni, più per l’evento in sé che non per quanto visto sul campo, è dura ripartire da zero e giocare con il serbatoio pieno di pensione e la testa più spinta a cercare una rivincita che non a inseguire la lucidità giusta per compiere, di nuovo, un passo alla volta ripartendo da zero.
In questa off season sarà da rivedere il contratto di Lance Briggs e in particolare come sistemare la situazione coaches. Lovie Smith deve giocoforza essere rifirmato, il suo lavoro in questi tre anni non si può certo discutere, mentre qualche ombra cala sulle teste degli assistenti Ron Turner (attacco) e Ron Rivera (difesa).
I tifosi e i giornali di Chicago fanno cerchio intorno a Rex Grossman vittima nel Super Bowl di alcuni errori davvero sconvolgenti, ma non per questo considerato unico colpevole. “Si vince e si perde tutti insieme” è la frase più ricorrente nel lunedì del day after. Vero. Grossman però diventa una soluzione abbastanza spinosa da affrontare; il ragazzo ha palesato limiti mentali e tecnici che non possono più essere giustificati con la sola inesperienza maturata per via dei tanti infortuni. Quanto si possa lavorare per migliorare questo giocatore è difficile dirlo, certamente a livello psicologico non ha mostrato di essere davvero forte e, questo, è un aspetto che difficilmente si può migliorare.
Smith ha creduto in lui per tutta la stagione, ma proprio i suoi limiti sono il rammarico più grande della partita di domenica scorsa; i due fumble che hanno impedito a Chicago di giocarsi due drive, ed i due intercetti, uno dopo l’altro, con il secondo trovato con un pallone lanciato in modo pessimo verso la sideline e riportato in meta dalla difesa dei Colts, praticamente il gioco che ha chiuso la gara. Grossman non andava abbandonato a metà strada, giusto capire tutto il suo valore e quanto fosse davvero la dote del QB, pensando che in ogni caso al Super Bowl ci si è arrivati e che Rex qualche cosa di buono l’aveva fatta vedere. Non può però essere sempre così, lo sanno tutti, Grossman e Smith in testa.
Si era sul 22-17 per Indianapolis e c’era ancora molto tempo da giocare, per questo il nome su cui tutti decidono di puntare il dito è, ovviamente, Ron Turner. Non è la prima volta che quest’anno l’offensive coordinator finisce sotto accusa, ma dopo il Super Bowl perso è giusto che ogni nodo venga sciolto. Turner non ha sviluppato un playbook convincente, fossilizzandosi su pochi giochi che, alla lunga, sono diventati davvero troppo prevedibili, e la chiamata fatta proprio sul secondo intercetto ha lasciato tutti a bocca paurosamente aperta. Turner non è nuovo a chiamate così pazze, quasi non conoscesse i limiti del proprio quarterback e come se non si fosse accorto che, dopo lo splendido avvio di settembre, tutte le difese avevano ormai capito il gioco di Rex.
La pioggia alla fine ha agevolato i Colts, squadra più esperta e con un Manning davvero fenomenale e capace, dopo l’intercetto in avvio, di giocare senza eccessi ma mettendo su le yards giuste per portare a casa punti importanti. Grossman è affogato sotto la “purple rain” di Miami già prima del concerto di Prince all’half time, e stavolta né la difesa né il gioco di corse lo hanno tolto d’impaccio. Tenere Grossman e lavorarci potrebbe essere un rischio, il ragazzo è ormai più vicino ai trenta che ai venti, e a Chicago serve la certezza di non dover buttare altri anni e sprecare quanto di buono costruito in difesa e tutto ciò che si sta coltivando in attacco.
Servirà certamente irrobustire e ringiovanire una linea offensiva che non sembra troppo solida nella pssa protection, bisognerà buttare un occhio su qualche TE, ma serve certamente un coach offensivo capace di dare profondità e costanza al gioco e che non si limiti a un effetto sorpresa che, passato quello, non abbia più alcuna contromossa. Per attuare un gioco diverso, comunque serve un QB più freddo, più continuo, che non si perda in un bicchier d’acqua ma che soprattutto riesca a gestire il pallone anche su tracce corte per dare più ritmo e maggior coinvolgimento a un po’ tutto il reparto.
L’avvio era stato ottimo, ma piano piano le noie sono spuntate qua e là lasciando alla solita difesa il compito di limitare i danni e, se possibile, di recuperare palloni. Il peso di trentotto minuti in campo ha comunque limitato alla lunga la tenuta di un reparto che, contro il miglior attacco NFL, è riuscito a limitare a 22 i punti subiti e a tenere in partita Chicago nonostante la nullità offensiva. Non sarà un problema immenso perdere Rivera, contestato da quegli stessi tifosi che proteggono Grossman per via della sua prevent defense schierata contro i Colts, Smith ha grandi abilità difensive e chiunque lo affianchi potrà trovare un immenso collaboratore.
In attacco serve aria fresca, ma per trovare un buon OC è necessario mettere a disposizione le armi giuste per farlo lavorare e qui, di nuovo e per sempre, spunta il problema Grossman. I prossimi mesi ci diranno cosa si deciderà di fare dalle parti di Chicago, la quale difficilmente andrà su un QB al draft, vista anche la presenza di Kyle Orton che va per il terzo anno ed è tuttora considerato un prospetto interessante, nonostante tutto.
Per ora ci si gode una stagione che ha avuto nei suoi episodi più bassi proprio i crolli di Grossman, ma che ha dimostrato che Chicago sa essere squadra anche nei momenti più duri e che può arrivare davvero in alto; il margine di crescita c’è e questo, in un team che appena giocato un Super Bowl, è sempre un buon segno. Le 430 yards totali concesse ai Colts nel Super Bowl sono un fattore che dimostra che, probabilmente, andava messo in campo qualche rischio di più, alzando il baricentro dei linebackers rischiando qualcosina sui lanci che, comunque, con quella pioggia non garantivano un pericolo di big play concreto ad ogni snap, anzi. Il problema è venuto dal non poter sfruttare più i ritorni di Devin Hester (in meta al primo kick off return in 14 secondi) grazie agli squib di Adam Vinatieri il quale sapeva perfettamente che, dall’altra parte, se Hester non ritornava yards non era dai giochi offensivi che poteva davvero nascere qualcosa di importante.
Chicago ha pagato una pressione paradossalmente maggiore, certo più inesperienza, qualche errore sui placcaggi e le già citate carenza offensive. “Quando perdi così tanti palloni nei momenti cruciali di una gara difficilmente la vinci” ha detto Lovie Smith senza rendersi conto, forse, che quei palloni li ha persi quasi tutti e Rex grossman e che, in situazioni analoghe, la frase di rito è sempre stata quella. Qualcosa cambierà di certo, resta da vedere cosa perché, fondamentale, un altro passo deve essere fatto da settembre a dicembre prossimi. Intanto ci si goda il titolo NFC, per quel poco che possa valere, e un Super Bowl che ventuno anni non era mai stato così vicino.