Howie Long
Sarebbe lecito aspettarsi che giocatori del calibro di Howie Long vengano scelti al primo giro del draft NFL, dopo una carriera straordinaria in un grande college.
Ma quando gli Oakland Raiders selezionarono Long (6-5 x 270 lbs) al secondo giro del draft 1981, era considerato un “diamante grezzo”.
I Predoni scelsero Long al termine della sua carriera a Villanova, dove le sue azioni crebbero dopo essere stato nominato MVP nel Blue-Gray Game del 1980.
All’epoca, gli scout dei Raiders videro un giovane talento poco allenato con un bruciante desiderio di essere il migliore. Ma, nonostante ciò, il suo futuro tra i pro sembrava ancora incerto.
Determinato ad avere successo, Howie fissò dei traguardi personali, e lavorò duramente per raggiungerli.
“Il mio obiettivo come rookie era semplicemente di far parte della squadra“, disse nel 1984. “Al secondo anno, volevo essere titolare. Poi, al terzo, volevo andare al Pro Bowl” .
Avendoli conseguiti tutti, gli venne chiesto se ne avesse un altro. Il DE, ormai veterano, rispose: “Voglio essere un Hall of Famer. Lo voglio disperatamente”.
Chi conosceva Long capì che non si trattava semplicemente di una smargiassata, ma piuttosto di un obiettivo chiaro, che avrebbe raggiunto 16 anni dopo, facendo parte della Classe del 2000.

L’ascesa di Howie Long nel firmamento del pro football e l’introduzione nella Hall of Fame non sono stati, però, un viaggio di piacere.
Cresciuto nella dura realtà della cittadina operaia di Charlestown, vicino a Boston, vide i genitori divorziare quando aveva 12 anni. Andò a vivere con la nonna, e poi con una serie di zii e zie.
All’età di 14 anni, si trasferì con uno zio ed una zia a Milford, nei sobborghi di Boston, e frequentò la Milford High School.
In quel liceo, Long impiegò tutte le sue energie nello sport, dedicandosi alla corsa, al football ed al basket.
“Non ero un ragazzo aggressivo”, disse Long a proposito della sua giovinezza. “Non facevo sport quando ero più giovane. La separazione dei miei genitori ed il fatto di essere cresciuto da mia nonna ebbero i loro lati positivi e negativi. Tra i primi, il fatto che mia nonna mi abbia insegnato ad occuparmi degli altri. Non sono mai stato il tipo che si approfitta dei più piccoli e dei più deboli. Tra i secondi, il fatto di non essere mai stato spinto in qualcosa”.
Ma, una volta giunto alla Milford, tutto cominciò a cambiare. L’allenatore Dick Corbin ebbe un grande impatto sulla vita del giovane Long. Quando lo vide nell’atrio della scuola, lo invitò a provare con la squadra di football.
“Rimasi scioccato dal fatto di saperci fare“, disse Long. “Non avevo mai giocato in alcuna squadra fino al liceo. Mi ha dato un senso di appartenenza, un obiettivo, e mi ha aiutato a credere in me stesso. Non mi ero mai immaginato nel mondo del football – non era nemmeno il sogno di una vita. E’ stata una cosa verso la quale sono andato col passare del tempo”.
Questo percorso di cambiamento portò Long a Villanova, grazie ad una borsa di studio, ottenuta in seguito ai grandi risultati sportivi.
Al college non fu solo un eccellente giocatore di football, ma anche campione di boxe.
Pur essendo maturato moltissimo a Villanova, risultando il migliore della squadra in fatto di sacks sia da sophomore che da senior, le sue capacità non attirarono l’attenzione di molti scout delle squadre professionistiche, dato che il piccolo college non era certo un palcoscenico di prim’ordine, soprattutto per il programma di football.
“Villanova è un ottimo college, ma il programma di football ebbe molti problemi quando mi trovavo là”, disse Long.
Tuttavia, dopo la sua grande performance nel Blue-Gray Game, gli scouts cominciarono ad interessarsi a lui.
“Sono dovuto passare per molti scout, molti più del lineman medio inserito in un grande programma. Avevo frequentato un piccolo college, e c’erano molti dubbi sulle mie capacità“.
A puntare su di lui fu il coach della linea difensiva dei Raiders, Earl Leggett, che l’aveva osservato al college; Leggett dovette combattere con gli altri allenatori della squadra pur di selezionarlo nel draft del 1981.
“Pensavo ci fosse una possibilità di vederlo ancora libero al terzo giro”, disse Leggett. “Nessuno lo seguiva davvero. Ma non volevo lasciarmi sfuggire quella chance. Lo stavo puntando quel giorno”.
I Raiders lo presero dopo aver utilizzato le prime 2 scelte per il DB Ted Watts ed il tackle Curt Marsh, entrambi poi usciti dal mondo del pro football nel giro di 5 stagioni.
“Earl Leggett è responsabile di Howie Long, inteso come giocatore di football, più di chiunque altro“, disse l’atleta. “Se non fosse stato per lui, non sarei stato altro che un signor nessuno”.
Leggett fece del rookie il suo progetto personale, facendolo lavorare praticamente in tutte le posizioni della linea di difesa.
“Ogni giorno in allenamento venivo messo in una posizione diversa”, disse Long. “Giocai nose tackle, end di destra, end di sinistra, tackle di sinistra, tackle di destra. Non riuscivo a capire cosa stesse facendo all’epoca. Un sacco di persone si chiedevano il perchè, dato che non mi veniva data una posizione stabile. Come potevo crescere da giocatore?”.
Ciò che Leggett stava facendo era sfruttare la forza, la velocità ed il desiderio di emergere di Long. Disse il coach a tale proposito: “Stavamo solo provando a sviluppare quei talenti, portandolo avanti lentamente, per vedere come progrediva. Fortunatamente, imparò in fretta”.
Seguendo quel procedimento, Leggett rese Long uno dei più versatili defensive linemen della Lega.
Pur non divenendo da subito titolare al suo primo anno in quel di Oakland, l’eclettismo di Howie diede i suoi frutti.
Nell’anno da rookie, fu il migliore della squadra in termini di sacks, giocando sia da end che da tackle. A metà della sua seconda stagione – la prima dei Raiders a Los Angeles – Leggett lo promosse a titolare.
Il “diamante grezzo” stava per emergere come una vera e propria gemma.

Nel 1983, Long stabilì il primato personale di 13 sacks, 5 dei quali in una sola partita contro i Washington Redskins, squadra che i Raiders avrebbero poi ritrovato nel Super Bowl XVIII.
Nel Grande Ballo, Howie mise a segno 4 placcaggi da solo ed uno in collaborazione con un compagno; Los Angeles sconfisse i Pellerossa per 38-9.
Long fu nominato All-Pro e partecipò al primo dei suoi 8 Pro Bowl, divenendo il secondo difensore Silver & Black di sempre ad essere convocato per la partita di Honolulu.
“Ci sono tipi più grandi, tipi più forti, tipi più modesti“, disse il compagno di squadra Matt Millen. “Ma nessuno riesce a combinare il tutto come fa lui. Nessuno ha quell’alchimia. Sa fare qualunque cosa“.
Nel 1984, Long continuò la sua scalata alle vette della NFL disputando una stagione stratosferica, che lo vide chiudere con 58 placcaggi, 12 sacks e 9 passaggi deflettati.
Fu ancora una volta nominato All-Pro e selezionato per il Pro Bowl; gli NFL Alumni lo elessero NFL Defensive Lineman of the Year.
Il gioco superlativo di Howie non attirò solo l’attenzione del pubblico e del media, ma ciò che più conta anche quella dei suoi pari, che lo stimavano moltissimo.
Pur essendo stato costantemente tra i migliori della Lega quanto a sacks, sapeva difendere bene anche sulle corse. Sfortunatamente, ciò significava per lui venire raddoppiato o triplicato in molte occasioni. Le squadre avversarie riuscirono facilmente ad evitare di giocare su corsa dal suo lato della linea.
Ma nel 1985 riuscì ancora a realizzare 10 sacks, almeno uno in 8 gare.
“Penso di aver avuto forse 2 o 3 giochi su corsa diretti su di me in tutto l’anno”, disse Long. “In alcuni giochi di passaggio, mi sbarazzavo del tackle, superavo il the tight end, per poi ritrovarmi addosso l’halfback. Era un gran complimento, credo, ma alla fine era diventato frustrante”.
Frustrante o no, Long era chiaramente un giocatore dominante, che poteva da solo cambiare le sorti di un incontro.
“Per me, Long è il miglior defensive end in circolazione“, disse l’allora HC dei St. Louis Cardinals Jim Hanifan. “Mi ricorda un giovane Randy White”.

Sempre in grandi condizioni fisiche, Long non saltò mai una gara per infortunio sino alla metà della stagione 1986, quando dovette rimanere fuori per 3 settimane, mettendo fine ad una striscia di ben 81 partite consecutive.
Ma ciononostante il suo modo di giocare, prima e dopo l’infortunio, gli garantiì la quarta convocazione di fila al Pro Bowl. Fu anche nominato NFL Defensive Player of the Year dai tifosi e da un gruppo di addetti ai lavori.
Le successive 2 stagioni, però, furono difficili per Long.
La stagione 1987, decurtata a causa dello sciopero dei giocatori, e quella del 1988, segnata da troppi infortuni, videro le sue statistiche in flessione.
Del riposo forzato dell’87 sembrò risentire non soltanto Long, ma l’intera squadra.
“Non siamo la stessa squadra che è scesa in sciopero”, disse Earl Leggett a propsito della sua difesa. “Ma stanno tutti cominciando a giocare più duramente, e lo stanno facendo di settimana in settimana”.
Howie giocò sufficientemente bene da volare per la quinta volta consecutiva alle Hawaii.
Nonostante ciò, alcuni scettici cominciarono a sostenere apertamente che il suo modo di giocare non fosse più ai livelli di un tempo e che la sua carriera avesse preso una direzione sbagliata.
Un infortunio, originariamente diagnosticato come stiramento al polpaccio, lo mise fuori combattimento per le ultime 9 gare della stagione successiva.
Ogni settimana, gli allenatori, i compagni di squadra ed i giornalisti si chiedevano quando sarebbe tornato a giocare.
Nessuno all’epoca si accorse che l’infortunio, il quale avrebbe poi richiesto un intervento chirurgico, era in realtà ben più grave di quanto si era pensato in un primo momento.
Long aveva il polpaccio completamente rovinato, ed il sangue stava colando nella cavità della parte inferiore della gamba.
Incredibilmente, il medesimo trend negativo si ripetè nella stagione seguente, in cui Howie si ruppe i legamenti della caviglia durante il training camp.
Determinato com’era, tentò di giocare nonostante l’infortunio.
“Il fatto è che quando non sei in forma non puoi giocare bene“, spiegò al termine del campionato. “E’ tutto un problema di salute . . . Sono orgoglioso di quello che faccio. Lavoro duramente. Ma quando il polpaccio si rovina, quando ti si spezzano i legamenti della caviglia, non puoi farci nulla”.
Il nuovo HC Art Shell disse alla sua stella, amico ed ex compagno, di prendersi del tempo per guarire.
Pur apprezzando la comprensione del suo allenatore, un impaziente Long rientrò nella lineup titolare nel giro di 2 settimane.
Al suo ritono, benché ancora molto dolorante, fu una vera furia. Quasi da subito sembrò essere tornato agli antichi splendori.
Pur giocando sole 11 partite da titolare, mise a segno 5 sacks e mise in apprensione gli attacchi avversari. La sua resurrezione non passò inosservata: il veterano di 9 stagioni fu premiato con la sesta chiamata al Pro Bowl.
“Sono più orgoglioso di quel Pro Bowl che di tutti gli altri, dopo essere stato infortunato e con tutti che mi pensavano ormai fuori dai giochi”, dichiarò un fiero Long. “Mi venne lanciata una sfida, ed io l’accettai“, disse con riguardo alle voci circa un peggioramento del suo stile di gioco.
Come a voler sottolineare il fatto di essere tornato in piena forma, il defensive end iniziò la stagione 1990 con una partita “alla Howie Long”.
Contro i Denver Broncos, mise a segno 6 placcaggi da solo, uno in tandem con un compagno, 2 sacks, un fumble forzato ed uno recuperato, e mise una pressione tale sul QB avversario da portarlo all’intercetto e ad un TD dei Raiders.
Ma la settimana successiva a Seattle, a 4’40” dalla fine del terzo quarto, ecco il disastro.
In una giocata piuttosto facile, il piede di Howie finì in una giuntura del manto artificiale e sotto una pila di giocatori. Disse al riguardo: “Non riuscivo a togliere di lì il mio piede, e vi sono rimasto per circa 27 secondi”.
Il risultato? Una distorisione al ginocchio destro, una frattura ad un osso del piede e la injured reserve list.
Ancora una volta, le solite malelingue dissero che la carriera di Long era ormai giunta al capolinea.
Pur a fronte di un probabile stop di almeno 6 settimane, Howie rientrò in campo dopo sole 4. Il suo ritorno fu un grande sprone fisico ed emotivo, che trascinò i Raiders ai playoffs.

Lungi dall’essere conclusa, la sua carriera proseguì per altre 3 produttive stagioni.
In quel periodo, venne convocato ancora per 2 volte al Pro Bowl, eguagliando il record di 8 appartenente ad Art Shell.
Ma stava pensando al ritiro ormai da qualche tempo: quando apprese di aver eguagliato il primato del proprio amico e coach, decise che era venuto il momento di appendere il casco al chiodo.
“Molte cose ti guidano”, disse annunciando il ritiro. “Vuoi essere il migliore in ciò che fai. Vuoi vincere un titolo di Campione del Mondo e andare al Pro Bowl. Io volevo essere l’Art Shell della linea difensiva dei Raiders”.
Howie Long ha chiuso la sua esperienza tra i pro con queste eccezionali statistiche:
– 13 stagioni NFL;
– 179 incontri disputati;
– 84 sacks;
– 2 INTs per 84 yards;
– 10 fumbles recuperati per 5 yards;
– 8 convocazioni al Pro Bowl;
– 2 volte All-Pro (1983, 1984)
– NFL Defensive Lineman of The Year (1984)
– NFL Defensive Player of The Year (1986).
Terminata la carriera nel mondo del football, Howie si è dedicato alla radio ed al cinema (partecipando a film d’azione come “Tempesta di fuoco” e “Nome in codice: Broken Arrow“, con John Travolta e Christian Slater) ma, soprattutto, è divenuto un brillante analista per il network televisivo Fox.
Howie Long è sempe stato un uomo con degli obiettivi, disposto ad andare anche oltre se stesso per raggiungerli.
In pochi possono mettere in discussione i suoi successi.
Fonte: http://www.profootballresearchers.org/Coffin_Corner/22-04-855.pdf
Autore: Joe Horrigan
Originariamente pubblicato su “The Coffin Corner”
Il sopra riportato testo costituisce una traduzione dell’elaborato originale, i cui diritti di proprietà intellettuale ed economica spettano al relativo Autore.
Uno dei pochi giocatori a fare eccezione allo “stile Raiders”. Sar