Incantesimo draft

Il draft è alle porte, il momento più atteso della off season di football è ormai giunto; tra sabato e domenica prossimi le 32 squadre Nfl sceglieranno il loro futuro prossimo, sette giri di chiamate tra i giocatori che si sono resi eleggibili dopo la carriera collegiale o, come per i junior, un anno prima di terminare “gli studi” all’università. Draft lungo, che permette di costruire davvero le fondamenta di una squadra, se ben fatto, soprattutto nei giri più bassi, dove la capacità di scout e general manager davvero bravi emerge nel pescare talenti oscuri ai più e infilati in basso ai ranking di preferenza di ogni sito americano. Il draft, una scienza sbagliata, un pronostico che, ogni anno, finisce per essere cestinato con pochissime scelte indovinate (e spesso prevedibili dai più) creando un continuo susseguirsi di situazioni ed emozioni che, talvolta, agitano più del dovuto i tifosi e lasciano spiazzati gli spettatori. Nfl.com regalerà la diretta a chiunque vorrà connettersi, inserendo anche questo evento nel mazzo di carte a disposizione da utilizzare durante tutto questo periodo morto per tenere in alto il logo, l’immagine, le discussioni, i dibattiti. Tutto ciò che fa parlare e guadagnare, dalle combine in avanti, senza sosta fino al primo kick off.

Dibattiti che, a ben pensarci, risultano piuttosto inutili e troppo preventivi su ragazzi che ancora non hanno dimostrato niente; e proprio su questo discorso verte l’idea caldeggiata da Bill Polian, GM degli Indianapolis Colts, di cui parlammo qualche settimana fa, ossia l’idea di piazzare un bel salary cap ristretto ai soli rookie. Polian, che di scelte da quando è ai Colts ne ha fatte 79 vedendo 38 di queste crescere come titolari nella Lega e l’11.3% di esse finire al Pro Bowl, lancia però un grido nel deserto visto che, in attesa di eventuali regole e restrizioni, i Miami Dolphins hanno deciso di togliere suspense al draft accordandosi sin d’ora con il loro uomo. Lo avrete già letto, parliamo di Jake Long, offensive tackle da Michigan considerato da molti il migliore nel ruolo e, da altri, un giocatore poco utilizzabile in Nfl o, comunque, meno duttile di altri pari ruolo. Siamo, come al solito, alla bagarre pre-Draft, quella grazie alla quale il marchio Nfl rimane ben in alto anche quando non succede nulla, impresso nelle immagini, nelle pagine web, nelle menti dei tifosi speranzosi di una nuova era per la propria franchigia preferita. E giustamente, un po’ di lavoro ai siti che si occupano solo di draft bisogna darlo, no?

Comunque, dicevamo, Jake Long (foto) è la prima scelta assoluta 2008 ed è già tra i più pagati tackle della Lega, ad occhio, senza verificare (ci perdonerete per questa leggerezza) il più pagatro: 57.5 millioni di dollari, di cui 30 garantiti. Ciò significa che, se questo giocatore farà la fine di Ryan Leaf si godrà una pensione ampiamente anticipata di almeno 30 milioni. Non male, ma viene da chiedersi perché il discorso di Polian non prenda più forza, anche considerando il fatto che i contratti a seguire dipenderanno proprio dalla firma di Long. Tutti i tackle scelti dopo firmeranno in proporzione di quanto preso dal numero 1, ma anche gli altri giocatori, di altri ruoli, cercheranno di “ispirarsi” a lui nelle proprie richieste.

Intanto è già passata la prima scelta, Miami ha sistemato la propria chiamata e non ci sarà il tanto pubblicizzato scambio con Dallas, di cui si vociferava, in via mai ufficiale, da almeno un anno, ossia da quando i Cowboys cedettero la loro prima scelta 2007 per permettere ai Cleveland Browns di portare a casa il figliol prodigo Brady Quinn. Sarà infatti che questo draft non sembra garantire troppa profondità nei vari ruoli ad eccezione dei tackle offensivi, dove quest’anno si evidenzia una covata davvero ottima in prospettiva, ma la scelta dei Browns è stata chiara: rinunciare a draftare, se ci permettete il passaggio di un verbo come questo. Cleveland si è mossa alla perfezione, ha sistemato la linea offensiva nelle due precedenti stagioni, ha pescato in Joe Thomas un lineman capace da subito di integrarsi e fare la differenza ed ha ridato così linfa vitale a quel Jamal Lewis che a Baltimore, e non solo lì, davano per finito.

Questione di scelte; Cleveland ha perso la prima chiamata di quest’anno per Quinn, la seconda e la terza rispettivamente per Corey Williams e Shaun Rogers, eccellenti defensive tackle da Green Bay e Detroit, rinforzando così pesantemente anche la linea difensiva. Sceglierà dal quarto giro in poi, dove i round diventano misteriosi e affascinanti e un buon lavoro di scout, analisi e studio può fare arrivare altre pedine importanti. Questo è comunque il draft 2008 dei Browns, che non rischia nulla sui rookie e prende giocatori già rodati, e forti, con cui sistemare un reparto. Certo, Shaun Rogers ha 29 anni e, come potrebbero ribattere in tanti, meno anni da giocare rispetto a un rookie, ma la scelta dei Browns è ovvia e condivisibile: rinunciare a un draft profondo per vincere subito, terminando quanto di buono intrapreso nel 2007 con i playoffs sfuggiti per un soffio. Eccellente.

Se i Browns escono però da questa free agency con alcune certezze in più di chi dovrà rincorrere il mito del prospetto al draft, è giusto anche sottolineare il lavoro di chi ha costruito proprio attraverso i giovani usciti dal college un progetto vincente, giusto per creare la controprova che non esista, se mai alcuni avessero ancora dei dubbi, una sola strategia vincente. Non vale nessuna regola al draft, nemmeno quella che, a forza di stagioni perdenti e scelte alte, si arriva ad avere una squadra forte; chi ha messo al primo posto della propria via per la Terra Promessa Alex Smith, lasciando che un talento puro come quello di Braylon Edwards (anche lui accasatosi guarda caso ai Browns) volasse via è stato poco lungimirante ed oggi deve rincorrere ancora buchi lasciati qua e là senza la certezza di un vero quarterback in squadra. Ovvio, a posteriori diventa semplice, ma talvolta la classe di un giocatore rispetto a quella di un altro è piuttosto evidente. Non credo sia doveroso ricordare, per l’ennesima volta, il flop di Ryan Leaf, il fatto che Joe Montana fosse considerato inadatto al gioco tra i professionisti, così come Brett Favre scivolato al secondo giro e Tom Brady addirittura al sesto. Perdersi dietro a chiamate basse, a gente di division I-FCS o inferiore, è divertente, istruttivo, ma lascia il tempo che trova. E’ come giocare a poker, si può essere eccellenti bluffatori, grandi psicologi della tattica e osservatori del nervosismo avversario, ma se le carte non girano il rischio bancarotta è comunque dietro l’angolo.

Ciò che invece ha tutto il valore del mondo, una certezza inopinabile, è un Vince Lombardi Trophy da esporre in bacheca e per questo ci piace ricordare che i New York Giants, ovvero i detentori del titolo, vi siano arrivati anche grazie a un ottimo draft, di quelli che, se fosse possibile, andrebbero premiati con qualcosa di simile ad un Oscar cinematografico. “Best Draft 2007… the oscar goes to…”

I Giants arrivarono allo scorso draft con seri dubbi su Eli Manning, scambiato con Philip Rivers in una trade che impedì loro di muoversi meglio su altre scelte negli anni precedenti, un Tom Coughlin seduto su una panchina bollente e due passaggi ai playoff davvero poco soddisfacenti. Uscirono da quel draft quasi in sordina per ritrovarsi pochi mesi dopo sul tetto del mondo. Con la prima scelta portarono a casa Aaron Ross, cornerback risultato molto valido in stagione, uno degli uomini migliori durante la striscia vincente dei G-Men tra settembre e ottobre, giocatore rapido e con gran senso del pallone capace, in situazioni di nickel, di creare i cosiddetti mismatch, fenomenale nel suo intercetto a Chad Pennington nel derby della Grande Mela, favoloso per lettura, movimento, e… ricezione.

Al secondo giro arrivò Steve Smith, grezzo e giovane ricevitore dalle doti atletiche e di velocità davvero niente male, capace di mettersi in grande evidenza l’estate scorsa prima di un infortunio e di rientrare sul più bello quando, dopo aver pagato un po’ di inesperienza, è diventato a sua volta decisivo nel Super Bowl vinto da New York grazie anche ad una ricezione “ferma tempo” nell’ultimo vincente drive dei Giants. Fu il draft che vide come terza scelta Jay Alford, il tackle che ha scritto la parola “fine” sulla inarrestabile corsa dei Patriots con un sack da antologia su Tom Brady; fu il draft di Kevin Boss, quinta scelta, tight end dalle mani non proprio di velluto diventato eroe dei playoff al momento giusto, ossia quando il peso dell’assenza di Jeremy Shockey avrebbe potuto appiattire le soluzioni offensive di Eli Manning. Ed è stato il draft di Ahmad Bradshaw, un settimo giro, 250° giocatore chiamato al draft, che non solo ha sostituito al meglio il promettente Derrick Ward dopo l’infortunio, ma è diventato portatore di palla fondamentale nell’economia del game plan offensivo, nella profondità del backfield, nel dare fiato al titolare Brandon Jacobs. Un draft da favola, un capolavoro di costruzione di una squadra che, nella peggiore delle ipotesi, ha vinto un titolo (e questo è già un fatto straordinario) e lo ha fatto capovolgendo il più palese pronostico nella storia recente del football professionistico. Forse di ogni Super Bowl, persino di quello garantito da Joe Namath (sempre New York, ma altri colori) tanti anni or sono.

Il draft aiuta le squadre brave e fortunate, perché senza fortuna non ha mai vinto nessuno, aiuta gli osservatori appassionati a capire e seguire meglio il college football e ad avvicinarsi allo studio dei giocatori e del gioco in sé. Per chi non lo avesse mai fatto ne consigliamo la visione, almeno parziale, del primo round cercando di assaporare l’atmosfera festosa che si respira anche solo via TV, la tensione dei giocatori, i loro scatti di nervosismo. Memorabile quello di Matt Leinart, due anni fa, quando abbandonò per un attimo la sala dopo che il suo nome veniva costantemente snobbato dai team con le scelte più alte. O l’espressione di incredulità e delusione che si materializzò sul in di Brady Quinn un anno fa, quando persino Miami lo evitò buttandosi, con generale sorpresa, su Tedd Ginn Jr. Seguirlo tutto, al di là degli orari, è proibitivo per chiunque, a meno che non si sia presenti sul posto, seduti comodi a un tavolo da Gran Galà sorseggiando qualcosa di fresco. E di buono. Ma ne vale la pena, per farsi un’idea, ricordando che il risultato giusto dell’equazione non esce dal draft ma dal campo di gioco, a settembre, ogni domenica per i prossimi anni a seguire. Le valutazioni di ogni tipo sono difficili ed intriganti e tengono in alto il nome della compagnia di bandiera di Roger Goodell che, senza alcuno sforzo, spinge milioni di tifosi e addetti ai lavori a lavorare per lui. Basta che se ne parli, no?

Anche se il primo colpo è già stato sparato e non avremo così l’effetto sorpresa, potremo assistere alle facce di chi scivola più in basso del previsto (perdendo anche potere contrattuale, giova ricordarlo) e, la prossima settimana, cominceremo a leggere di quel tizio che non vuole firmare un contratto così basso. I Dolphins avranno avuto forse troppa fretta, ma hanno già un accordo, accordo che, anche solo verbale, mancava l’anno scorso tra gli Oakland Raiders e JaMarcus Russell, con le due parti successivamente coinvolte in un litigio terminato con l’holdout del giocatore e tutto ciò che ne ha fatto seguito. La settimana dopo, poi, cominceranno anche i voti degli esperti a questa o quella squadra, voti che, come i mock draft e le previsioni dei risultati di stagione, spesso vengono dimenticati, cestinati e classificati come errati nel giro di pochi mesi. Ogni anno. E’ il football parlato, che vogliamo farci? Nel momento del draft, però, non è nemmeno così male in questi lunghi mesi di pausa. Che ne dite?