Sette giri di draft
Dopo sessantasette anni all’università di Michigan hanno festeggiato una prima scelta assoluta al draft della National Football League, un colpo che segue quello, lontanissimo, di Tom Harmon, Heisman Trophy che in Nfl giocò pochissimo soprattutto per colpa del Secondo Conflitto mondiale a cui dovette partecipare e che lo restituì Patria con arti inferiori piuttosto malridotti. Jake Long è il suo successore, l’uomo che ha tolto patos al mistero della prima scelta assoluta della Classe 2008, anche se il draft non ne ha risentito troppo e ci si è ritrovati ad osservare una serie di scambi continui che hanno sconvolto la logica delle scelte attribuite in base alla classifica trasformando un primo giro già anomalo in partenza (con solo 31 scelte) in un valzer giocato sul filo del telefono tra i vari general manager.
Ben 14 squadre hanno scelto al primo giro in posizione differente da quanto conquistato grazie alla graduatoria finale del 2007 e man mano che si avanzava nei giri più bassi ci si rendeva conto, come ogni anno, che questa parata di future stelle è per lo spettatore un divertimento ed un interesse nei confronti di giocatori più o meno sconosciuti ed una faticaccia incredibile per gli staff delle squadre, impegnati in maratone interminabili tra telefono, computer, draft board, tattiche e strategie. Con un occhio magari rivolto anche agli anni a venire.
Ora è il momento dei primi mini-camp, in molti casi riservati ai soli rookie che cominceranno così a prendere confidenza con il coaching staff e l’ambiente, riprenderanno un certo allenamento, inizieranno a togliere un po’ di ruggine, lottando, soprattutto tra i nomi meno altisonanti, per un posto tra i magnifici 53 che a settembre si batteranno per il titolo.
Ciò che tiene banco ora, tra le contestazioni dei più, sono però i voti che gli esperti rifilano a questa o quella squadra per le scelte effettuate. Inutile perdersi dietro a questi giudizi, tempo perso prenderli troppo sul serio. Sono indicativi, ci mancherebbe, ma come al solito esiste anche un gruppo di giornalisti che criticano questo metodo e in particolare il metro su cui si basa.
Dice Mike Downey del Chicago Tribune che i Bears hanno voti più bassi di quanto non meritino e che questi siano giustificati dall’assenza di una scelta spesa per un quarterback, ma il senso non lo si capisce nel momento in cui (a) giocatori potenzialmente fenomenali nel ruolo da mettere in campo sin dal primo snap non sembravano essercene e (b) i Bears hanno comunque pescato due quarterback dall’ampia schiera di giocatori rimasti liberi dopo il draft. Quanto cambi tra il prendersi un rischio al quarto o quinto giro e quanto prenderselo tra gli undrafted non è cosa nota, ma chi giudica si cala nei pali del giudice inappellabile. Inoltre, aggiungiamo noi, la miglior stagione dei Bears dopo il 1985 aveva Rex Grossman come titolare, ennesimo segno che è anche il sistema che deve girare, non solo il quarterback.
Ha ragione Mel Kiper che a Sport Centre di Espn giudica buono il lavoro di quelle squadre che hanno coperto i ruoli in cui sembravano più indifese e che si sono buttate su potenziali titolari (in tempi brevi) senza perdersi troppo dietro alla vox populi che chiede ed esige una scelta da essa espressa. Quello che ci piace del draft è lo sguardo emozionato che questi ragazzoni mostrano quando vengono scelti, la determinazione che esibiscono al pubblico promettendo, con una parola, con un sorriso, che il mondo professionistico sarà loro, che nessuno meglio di loro potrebbe fare le fortune della squadra che li ha scelti. Non i voti, ma lo spirito con cui questi ragazzi si buttano nella mischia.
In definitiva il draft è anche questo, una scommessa che si spera di vincere, un sogno che si avvera e va confermato nel tempo, una speranza di vittoria. Per questo è ingeneroso avvicinarsi troppo ai giudizi che stroncano a prescindere, che non attendono il risultato del campo, che si perdono dietro a disamine che assomigliano più a incomprensibili espressioni algebriche piuttosto che a opinioni concrete e supportate dalla realtà dei fatti.
Conta costruire, cercare di coprire buchi, dare profondità a determinati ruoli. Stiamo generalizzando, ovviamente, ma quello che ci importa è che oggi quei ragazzi siano atleti della Nfl e, d’ora in poi, combatteranno ogni giorno per non uscirne più. E’ il fascino dell’agonismo. E se dare i voti non ci piace (e non pensiamo di averne le competenze visto che, citando un altro giornalista americano, dovremmo sbobinare ore ed ore di filmati) ci permettiamo nel nostro piccolo di valutare giro per giro i nomi migliori e qualche piccola curiosità, cercando di dare un’idea a chi ci legge di quello che può essere o meno un buon prospetto. Senza supponenza, senza arroganza, concedendoci, nei prossimi mesi, la libertà di entrare ad osservare più da vicino qualcuno di questi nomi. Solo non si può rimanere troppo immobili davanti al draft e al canto delle sirene del voto, così…
Primo giro – La prima tornata è ovviamente composta dai grandi nomi, numeri e volti che da mesi riempiono le pagine delle news collegiali ed in ambito draft. Difficile dire quale sia la scelta migliore, inutile sottolineare che la diatriba su quale sia il runningback migliore tra il giocatore X e Y sia già cominciata e (Dio ci scampi) potrebbe durare ancora dieci anni.
Detto di Jake Long, secondo noi scelta comunque buona dei Dolphins, escono tutti gli offensive tackle previsti, e tutti dal pedigree garantito. Gente forte, anche se qualche dubbio sul Gosder Cherilus scelto dai Detroit Lions e sul Sam Baker (figlio di David, commissioner dall’Arena Football League) finito ad Atlanta rimane, quantomeno come impatto sin dal primo snap.
Sono usciti ben 5 runningback ed erano sicuramente i nomi migliori. Al Davis da Oakland è stato ammaliato per l’ennesima volta dal presunto talento piuttosto che dalle evidenti necessità del team californiano ed è andato su Darren McFadden, Carolina si è buttata sull’interessante Jonathan Stewart da Oregon, mentre dalla 22 alla 24 ecco sbucare il resto della Top5 del ruolo.
I Cowboys hanno optato per Felix Jones (Arkansas), gli Steelers per Rashard Mendenhall (Illinois) e i Titans per Chris Johnson (East Carolina); talenti interessanti, prospetti di valore, ma a fare la differenza saranno molto probabilmente il sistema di gioco, il coaching staff e la costituzione del resto del reparto visto che non sembra ci siano dei nuovi Barry Sanders da queste parti. Nulla di nuovo sotto al sole insomma.
In definitiva molte sono le squadre che hanno scelto in base alle esigenze primarie o secondarie, anche se stupisce la discesa di due posizioni dei Patriots per pescare il LB Jerod Mayo da Tennessee, così come la repentina risalita dei Baltimore Ravens che, a tutti i costi, hanno voluto mettere le mani sul gigante Joe Flacco (6 piedi e 7, cioè 199 centimetri), quarterback da Delaware. Prospetto da primo giro? Chissà…
I nomi migliori? Probabilmente buona parte della squadra degli offensive linemen chiamati, lo stesso McFadden nonostante i Raiders e, in difesa, attenzione a Vernon Gholston (Ohio State) finito ai NY Jets e a Chris Long (Virginia) scelto con la numero 2 dai St. Louis Rams. Molto buona anche la partenza dei campioni del mondo, i NY Giants, che alla 31 si trovano (per noi inspiegabilmente visto che ci sembrava materiale quantomeno da San Diego Chargers) disponibile l’interessante safety da Miami Kenny Phillips.
In ultimo, eccellente l’avvio di Kansas City che realizza un buon draft in generale ma che solo al primo giro si porta a casa due importanti scelte per la O-line: Glenn Dorsey, ottimo offensive tackle da LSU alla 5 e Branden Albert, guardia da Virginia alla 15,
Secondo giro – Al secondo giro arriva finalmente il turno dei ricevitori totalmente snobbati nel primo round. E’ intrigante la scelta dei Green Bay Packers che si buttano su Jordy Nelson (foto), elemento dalla pelle bianca che segue la moda Wes Welker tanto funzionale nella rivale Boston. Nelson esce da Kansas State e nelle ultime settimane il suo nome è cresciuto tantissimo nel borsino degli scout, tanto da trasformarlo (quasi) nel miglior prospetto del ruolo. Una buona scommessa tra i 10 WR chiamati in questo turno, quasi un terzo delle scelte.
Diventa buona anche la chiamata di Brian Brohm (Louisville), forse l’unico quarterback che insieme a Matt Ryan da Boston College (prima scelta dei Falcons) e lo stesso Flacco, veniva considerato merce di primo livello. Sono ancora i Packers a scegliere il giocatore in questione, il che lascia parecchi dubbi sul futuro di Aaron Rodgers in quanto ci si trova di fronte ad un buon prospetto e non al tipico materiale da backup che, spesso, viene cercato in giri più bassi.
Buoni anche i movimenti dei Washington Redskins che, con tre scelte a disposizione, aggiungono bersagli su bersagli al loro attacco. Arrivano due ricevitori (l’ottimo Devin Thomas da Michigan State e Malcolm Kelly da Oklahoma) e il tight end Fred Davis da USC, talento più che discreto in ricezione che può essere il giusto elemento per dare rotazione a Chris Cooley oltre ad aggiungere, naturalmente, profondità nel settore della squadra.
Terzo giro – E’ il giro in cui si tentano i primi veri “steal”, i colpi di draft su giocatori mediamente considerati con un talento da primo o secondo giro e che, per una infinita serie di motivi, scendono fino qua. E’ il momento in cui si strappa gente che ambiva, spesso giustamente, a chiamate più onorevoli e che invece riceve contratti a prezzo ridotto dalle squadre che li scelgono. Ed è anche il momento dove ci si affretta, al contrario di quanto detto sopra, a far proprie scelte che se lasciate cadere troppo in basso non riusciremmo a far nostre. Insomma, il vero inizio del draft, lontano dai grandi nomi e dai ranking di tutte le più importanti testate giornalistiche il punto in cui, insieme al quarto giro, si pescano gli elementi più solidi da inserire a roster.
Alcuni nomi di quest’anno lasciano davvero spiazzati, perché mai avremmo creduto che Dan Connor, linebacker da Penn State, sarebbe scivolato fino alla numero 74. Lo prendono i Seattle Seahawks e, secondo il nostro giudizio, sarà un potenziale titolare in pochi mesi.
Earl Bennett, wide receiver da Vanderbilt, è al suo posto, nel senso che non è uno scandalo trovarselo al terzo giro. Lo pescano i Chicago Bears e noi siamo convinti che sottovalutare colui che ha stabilito il record di palloni ricevuti nella storia della SEC con un quarterback (Jay Cutler) vero a disposizione solo il primo anno dei tre di carriera collegiale potrebbe essere stato un errore.
Altri nomi importanti in attacco dove escono Steve Slaton, tra i leader di West Virginia negli ultimi due anni e pescato da Houston e Mario Manningham, ricevitore dalle buone mani uscito da Michigan. In questi due casi nomi altisonanti ma talento forse inserito nel round giusto, anche se Slaton può fare male come RB di situazione e, secondo noi, Manningham non vale meno di un secondo giro come talento assoluto; ha pagato l’assenza di pari ruolo chiamati al primo passaggio uscendo dalla scorpacciata del secondo, ma non pensiamo sia facile considerarlo l’undicesimo ricevitore del lotto a livello assoluto.
Ottima anche la chiamata dei Ravens che in Tom Zbikowski, safety da Notre Dame, pescano a nostro giudizio un giocatore abbastanza sottovalutato che non sarebbe stato scandaloso trovare al secondo giro.
Quarto giro – Il quarto round ci è sembrato piuttosto ordinato ed ordinario: gente giusta scelta nel posto giusto. A nostro avviso le migliori chiamate sono quelle di Philadelphia e Chicago che vanno entrambe su due safety. Quintin Demps (UTEP) finisce agli Eagles, Craig Steltz (LSU) ai Bears. Non male anche la scelta di Dre Moore (defensive tackle, Maryland) per Tampa Bay ed interessante quella di Cleveland che con Beau Bell (UNLV) catturano un buon prospetto tra i linebacker.
Quinto giro – E’ il giro di John David Booty, non il nuovo Joe Montana ma un quarterback certamente meritevole di attenzioni superiori a quelle di una quinta scelta . Il programma da cui esce, USC, garantisce poi una preparazione mentale e fisica al professionismo più di quanto non dicano i suoi numeri. I Minnesota Vikings lo portano a casa alla 137^ scelta e si mettono al riparo da eventuali fallimenti di Tarvaris Jackson.
Buona la scelta dei New Orleans Saints, un offensive tackle da Nebraska che risponde al nome di Carl Nicks, giocatore che cade davvero in basso rispetto alle aspettative e al talento generale del ragazzo.
Sesto giro – Ormai arrivati in fondo ci si sbizzarrisce sulle scelte ed arrivano altri quarterback, giocatori che certamente ambivano a qualcosa in più. A Washington si dice che il nuovo head coach Ron Zook sia fenomenale nel trattare i quarterback e in quest’ottica va letta la scelta di Colt Brennan (Hawaii) prospetto che ha visto le proprie azioni crollare peggio di quelle Parmalat dei tempi del “bond argentino” da gennaio a oggi. Giocatore da sistema “amico”, poco portato alla Nfl, Brennan conta sull’esperienza e la voglia di lavorare per dare un contributo importante alla propria crescita e alle possibilità di soffiare eventualmente il posto a Jason Campbell.
Interessante anche la scelta di André Woodson da Kentucky, altro elemento che avrebbe meritato un po’ di fiducia in più e che, tra le altre cose, finisce in una New York ormai estasiata da Eli Manning a cui sarà quasi impossibile soffiare il posto per almeno un lustro.
Ci piacciono le tre scelte che gli Indianapolis Colts spendono tra le compensazioni in fondo al giro: Steve Justice, un centro Wake Forest molto interessante e che quasi tutti gli analisti valutavano tra il 4° e il 5° giro. Subito dopo arriva Mike Hart il quale, dopo aver stabilito il record di yard corse per la Michigan University, meritava certamente qualche considerazione in più. Forse rimarrà sempre e solo un secondo violino, ma messo in mano al giusto direttore d’orchestra può far cadere la platea a suon di applausi. La terza scelta è Pierre Garcon, che poteva tranquillamente scivolare fuori dal draft senza troppo rumore. Garcon viene da una carriera esaltante a Mount Union il college più dominante d’America degli ultimi dieci anni… in Division III!!! Atletico, veloce, con grande controllo del corpo e del pallone, Garcon è ricevitore e ritornatore, un nome che fa sognare i ragazzi delle piccole province americane e noi con loro. Garcon è la classe operaia che punta al paradiso. Garcon è la prossima favola da raccontare e noi tiferemo perché si realizzi.
Settimo giro – Partiamo dal presupposto che l’ultima scelta in assoluto (premiata dal soprannome di Mr. Irrelevant) ha dalla sua la fortuna di finire negli almanacchi, di rimanere ad imperitura memoria inserita nelle liste di siti, enciclopedie come Wikipedia o altro. Mal che vada la sua carriera non sarà peggio di tantissimi dei 253 giocatori scelti quest’anno, ma il suo nome sarà scritto, da qualche parte e per sempre. E’ David Vobora, linebacker da Idaho, la “scelta irrilevante” di quest’anno, e lo portano a casa i Rams.
Tra gli altri irrilevanti (perché, diciamocelo, non cambia molto tra Vobora e qualcuno scelto dieci posizioni prima di lui), tra i nomi più altisonanti, c’è quello di Kirk Barton, OT pluri-titolare a Ohio State ed autentico protagonista di due ottime stagioni dove ha lavorato benissimo sulle corse e nelle quali ha raggiunto altrettante finali per il titolo con i Buckeyes. E’ anche il turno di Matt Flynn, che vola ai Packers, lui che il titolo nazionale al college lo ha vinto proprio contro OSU guidando Louisiana State. E’ un altro segnale verso Aaron Rodgers, forse un altro atto di sfiducia verso la prima scelta 2005 considerata troppo fragile. Dopo aver passato tre anni aspettando il ritiro di Brett Favre, a Green Bay hanno pensato bene di mettergli una leggera pressione dietro le spalle.
Interessante la scommessa dei Denver Broncos su Peyton Hillis, fullback tuttofare oscurato ad Arkansas dalla presenza di McFadden e Jones e utilizzato in carriera come tight end, ritornatore, halfback e wide receiver. A nostro giudizio lo si può considerare il più promettente atleta del ruolo per la Classe 2008, peccato per le vertebre fratturate nel 2004 che ne hanno messo a rischio la carriera (e anche di più, ovviamente) e lo rendono un giocatore a rischio.
Tutto questo non deve essere vissuto né come un giudizio, un voto o un particolare apprezzamento a questi giocatori piuttosto che ad altri che naturalmente non abbiamo citato, ma solo una rapidissima indagine svolta giro per giro per capire quali possono essere i nomi più importanti scelti di volta in volta. Anche noi sbaglieremo, ma quanto detto sopra non è per mettere le mani avanti: davvero, noi aspettiamo il risultato del campo per capire chi e cosa sia arrivato nel posto giusto al momento giusto. Del resto l’ultimo draft dei Giants fu considerato piuttosto mediocre, salvo poi vedere una squadriglia di rookie trasformarsi in autentici eroi, anche solo per pochi istanti, nella splendida cavalcata al titolo dei Road Warriors.
Parlare dei giocatori chiamati dopo il draft porterebbe via ulteriore tempo e toglierebbe spazio a qualcosa che potremmo scrivere in questo lungo periodo morto della Nfl. Ne parleremo più avanti, magari, cercando anche di capire tra forum, commenti e mail ricevute, quali siano i giocatori che più interessano i lettori italiani e gli appassionati d’oltreoceano. Ci sarà di che parlare. Ora, riposiamoci un attimo.
Vorrei ringraziarvi per queste analisi lucide che sono di notevole aiuto a chi segue questo sport ma non ne conosce tutti i dettagli, quindi continuate su questa strada facendoci apprezzare sempre di pi
vedrete che nel sistema di corse degli Steelers Rashard Mendenhall far
Cio
non intendevo assolutamente mettere in confronto Mendenhall-Sanders anche perch
Caro Alessandro,
splendido lavoro, come sempre.
Solo una piccola svista nel commento alle prime scelte: Glenn Dorsey (Chiefs)
Phillips a Miami giocava strong safety. Tribble