Le strane regole che fanno la storia
Il football, come tutti gli sports americani, si basa soprattutto sui calcoli statistici per decretare rendimento e valore dei suoi atleti. Probabilmente è anche questo che rende intriganti i fantasy games del basket, del baseball e del football stesso: una buona valutazione tecnica del giocatore e dell’ambiente in cui offre le sue prestazioni è quasi sempre fonte di grossa soddisfazione per quei tifosi che “draftano” ad inizio stagione questo o quel campione, a differenza del calcio, in cui i giocatori vivono della prodezza individuale avulsi dal contesto tecnico della squadra in cui giocano.
La matematica, per definizione, è scienza esatta, e come tale dunque incontestabile. Eppure, qualcosa non funziona. Ne è testimone il fatto che, ogni sacrosanto anno, alla nomina dei nuovi giocatori introdotti nella Hall of Fame del football professionistico, c’è una puntuale levata di scudi da parte di qualche frangia di tifosi o di qualche analista del gioco, che si fanno araldi di presunti soprusi o colpevoli dimenticanze.
Sinceramente, la cosa mi tocca quasi direttamente: storicamente tifoso dei Dallas Cowboys, ho sempre un pò sofferto le preferenze della commissione di Canton, da più parti accusata di non favorire la franchigia della Lone Star nelle sue votazioni finali, anche se negli ultimi anni – per merito della “Triplet”, con l’ingresso di Troy Aikman e quello un pò più sofferto di Michael Irvin, ed la futura nomination di Emmitt Smith – qualche soddisfazione in più abbiamo potuto incassarla anche noi.
Rimane però incontestabile che ci sia più di qualche contraddizione nei criteri di nomina dei papabili alla Hall of Fame. Due esempi su tutti, fatti per la conoscenza diretta delle loro storie e non certo solo per tifo: Bob Hayes e Danny White. Entrambi hanno svolto la loro carriera nei Cowboys, anche se in tempi molto diversi. Anche le loro storie sono molto diverse, e potrete approfondirle leggendo le rispettive monografie nella nostra sezione di Endzonepedia. L’unica cosa che li accomuna è il fatto di essere stati ignorati dalla commissione di Canton.
Bob Hayes è stato il ricevitore che ha costretto i coach della NFL ad inventare la “Zone Defense”. Era così veloce da vincere la medaglia nella 4×100 alle Olimpiadi di Tokio del 1964 con una frazione stimata di 8″6 sui 100 metri. Era così veloce da vincere anche i 100 metri nella stessa Olimpiade. Era così veloce da costringere la sua squadra a schierare un quarterback che potesse lanciare alle distanze siderali che riusciva a percorrere in pochi secondi. Era così veloce da avere una media di 25 yards a ricezione, e da un TD ogni quattro ricezioni effettuate. Era così veloce da costringere l’intero mondo del football ad adattarsi al suo gioco. Eppure non è mai nemmeno stato incluso nella lista “finale”, quella da cui escono i nuovi nominati alla Hall of Fame. Si dice perchè scontò 10 mesi per spaccio di stupefacenti: francamente irreale, visto quello che sta succedendo anche in questi ultimi mesi ad alcuni campioni (o presunti tali) della NFL.
E Danny White? Se ne potrebbe parlare come un atleta sfortunato: prese le redini della squadra all’addio di Roger Staubach, con gli occhi di tutti puntati addosso ed i fucili dei facili giudizi spianati. Non era facile sostituire “Capitan America”, eppure ha stabilito tutti i record di squadra sul passing game fino all’avvento di Troy Aikman, e fino allo scorso anno ne deteneva ancora qualcuno, battuto da Tony Romo. Non fu colpa sua se Dwight Clark effettuò The Catch, e se l’Hail Mary Pass lanciato subito dopo su Tony Hill fosse riuscito, anche The Catch non avrebbe avuto oggi alcun significato. Portò la sua squadra a tre NFC Championship game consecutivi, e ad un titolo divisionale nel 1985. Nel 1986 si spezzò il polso con la squadra sul 6-2: i Cowboys vinsero soltanto un’altra sola partita con Steve Pelluer in cabina di regia. Con il licenziamento di Tom Landry ad opera di Jerry Jones, fu allontanato dalla squadra perchè considerato un fedelissimo del vecchio coach.
Si dirà: beh, Danny White non ha mai vinto il Superbowl. Ma nemmeno Barry Sanders, che però ha il suo posto nell’Arca della Gloria. E Bob Hayes invece il Superbowl lo ha vinto: il 16 gennaio 1972, a New Orleans contro i Miami Dolphins. Eppure non è nell’Arca della Gloria. Eccezioni? Contraddizioni? Non so dirvi. Il sottoscritto è cresciuto con la convinzione che il tempo è galantuomo, e che la Storia è magistra vitae. Sempre che non venga filtrata, come accade sovente, dalla fallace – o troppo spesso maliziosa – capacità di giudizio umana…
Quando certe scelte spettano agli uomini, e non al risultato del campo, le controversie riempiono le pagine dei giornali e i luoghi di incontro dei tifosi. Per assurdo sembra che il solo titolo di MVP della regular season della Nfl metta pi
Bell’articolo Rod.Sono daccordo pienamente con il “P.S.” di Alessandro:se uno
Concordo pienamente con Marcello: a volte certe scelte sono assolutamente incomprensibili.
Per esempio, ancora mi chiedo come mai, della Fearsome Foursome solo Jones e Olsen siano in HoF, mentre Grier e Lundy no: hanno fatto parte anche loro di quello straordinario pacchetto difensivo o no?
Bravo Marcello, bellissimo pezzo.
Bob Hayes , a parte quella parentesi negativa,