La Nfl del 2008

I casi della off season che colpiscono in periodi di stanca il popolo di appassionati vengono quasi sempre vissuti come una manna da questi ultimi che, da un po’ di mesi, vivono ormai una condizione di astinenza prolungata che trasforma i suddetti in personaggi brutti a vedersi, legati ad ogni più assurda notizia passata dal web neanche fosse calciomercato estivo e chiusi in scantinati a riguardare vecchie VHS che mostrano rovinate immagini di Super Bowl anni 80. Una manna, un dono del cielo, perché finalmente riscalda gli animi una notizia che bombarda la rete e le testate giornalistiche americane per settimane dando a tutti qualcosa di nuovo di cui parlare e su cui esprimere opinioni. Un anno fa toccò al caso di Michael Vick e delle battaglie di cani da lui organizzate e finanziate con un macabro contorno di scommesse ed esecuzioni gestite dal campione degli Atlanta Falcons.

Quest’anno sono cadute le braccia un po’ a tutti, per motivi ovviamente meno gravi, quando si è saputo che Brett Favre aveva deciso di rientrare in attività a pochi mesi dal suo commovente addio. Il suo ritiro era giunto poco prima della primavera, i Green Bay Packers avevano cominciato a lavorare su Aaron Rodgers, il quarterback del futuro, e si erano tutelati al draft scegliendo altri due giocatori nel ruolo. Poi il fulmine a ciel sereno, un mai troppo convinto Favre che torna sui propri passi, accusa la società di averlo “spinto” al ritiro e di essere intenzionato a tornare a Green Bay a fare il titolare. La 19^ stagione ai Packers per il trentottenne di Gulfport, nel Mississippi, è però durata poche ore. L’incontro con coach McCharty ha decretato la fine di una storia durata 61665 yard, tre titoli MVP consecutivi, due Super Bowl giocati: per Favre, per i suoi capricci, non c’era più posto.

Giusto il ragionamento della società, ormai orientata verso il futuro e che già da qualche anno lanciava messaggi al suo capitano: decidi alla svelta, sembravano dire certe mosse di mercato, i Packers esisteranno anche dopo di te. E così è stato. I Packers esistono senza Favre, mentre il #4 è già stato stampato sulle maglie biancoverdi dei New York Jets. Non è ben chiaro cosa abbia spinto Favre a tornare sui campi, una decisione talmente sicura da permettergli di rifiutare i 20 milioni di dollari appoggiati sulla scrivania dai Packs perché questi decidesse di rimanere un pensionato di lusso, una decisione talmente sicura da spingerlo lontano dalla sua amata Green Bay fino a NY, in una squadra con poche chance di playoff.

Ne abbiamo lette e sentite tante, ma siamo convinti che la scelta di qualche mese fa fosse la più logica e che se Favre avesse davvero creduto di potersi giocare un altro Super Bowl avrebbe dovuto battere i Giants in gennaio perché, da lì in poi, le sue chance sembravano pari a zero. E oggi che è finito nella Grande Mela non sembrano molto più alte. Si dice che i Jets lo abbiano preso nonostante un gioco offensivo totalmente differente da quello a cui è votato l’ex stella del Wisconsin per riportare un grosso nome in città, sul lato “perdente” dell’Hudson River, per avere di che primeggiare sui cugini campioni del mondo, per avere qualcosa da “vendere” nel momento in cui si cercano sempre più fondi per il nuovo stadio e i biglietti del Giants Stadium sono volati alle stelle.

Sarà, resta il fatto che noi lo preferivamo pensare ritirato mentre andava a pesca o guidava un trattore tra gli infiniti terreni acquistati nel tempo, dopo aver deciso di fare il padre e il marito a tempo pieno; così come ci rese tristi vedere Michael Jordan indossare la maglia di Washington o Magic Johnson invecchiare in una piccola squadra svedese; ci aveva infastidito vedere Joe Montana finire a Kansas City, per motivi differenti, questo è un altro colpo che fatichiamo a digerire. Le domeniche Nfl avranno ancora Favre, almeno per un altro anno, ma nessuno riesce davvero ad esultare. Forse a NY sì, dove lo hanno già ribattezzato Broadway, come fu per il grande Joe Namath, dove anche il sindaco Bloomberg lo ha accolto in Municipio regalandogli un’insegna col suo nuovo soprannome, allestendo una conferenza stampa esaltante e tenuta in piedi da quei giornalisti newyorkesi che, tra un mesetto, saranno proti a sputare fuoco e fiamme se le cose non dovessero andare come si spera, con un quasi quarantenne che tolto un piccolo camp di allenamento tra giocatori free agent è fermo dal Championship Nfc del gennaio scorso. Un po’ arrugginito insomma.

Ha fatto bene Green Bay, con lo spogliatoio dalla parte di Rodgers e del coaching staff, ha fatto bene a guardare avanti, a imporsi, a proporre a Favre un posto per cui combattere se proprio avesse deciso di tornare, sottolineando che la prima scelta del 2005 era comunque in vantaggio. Ha fatto bene Green Bay a pensare a sé stessa, con molti tifosi tutto sommato comprensivi, anche se a far notizia, e rumore, sono sempre quelli che contestano. Hanno fatto bene i Packers, che in cambio di un 38enne che non avrebbe giocato hanno guadagnato almeno una quarta scelta. Ha sbagliato Favre, a voler tornare a tutti i costi, anche in una squadra diversa della quale non conosce l’ambiente, il gioco e dove dovrà ripartire da capo in una Division che vede impegnati anche i New England Patriots all’interno di un contesto di squadra in netta difficoltà. E hanno fatto male i conti anche i Jets, che nella migliore delle ipotesi si giocheranno una quarta scelta, ma che hanno trasformato una squadra che dovrebbe pensare alla ricostruzione in un cantiere aperto senza futuro concreto nella posizione di quarterback.

Fino all’ultimo il nome che circolava maggiormente era quello di Tampa, ma alla fine qualcosa è cambiato, avremo Favre a NY, non avremo scontri diretti con la sua ex squadra, non lo avremo a combattere all’interno della Nfc North. E anche questo toglie un po’ di sapore a un suo rientro che, in queste modalità, non fa davvero felice nessuno se non lo stesso Favre. Forse.

E se da settembre le domeniche Nfl avranno di nuovo Favre, le domeniche italiane non avranno più Nfl. Ormai le fonti che hanno indicato il nuovo accordo tra la Lega pro americana e la televisione italiana sono tante. Ascoltando alcuni addetti ai lavori, sentiti spesso nelle settimane scorse, era ormai chiaro da giorni che Sky avrebbe lasciato il testimone Nfl a Rai Sport Più, le conferme sono aumentate via via che passava il tempo, fino alle dichiarazioni, private, che Andrea Zappia, responsabile di Sky Sport, avrebbe rilasciato a chi vi scrive, dove si “accusava” la Nfl di voler passare in chiaro per un anno. Parole ne abbiamo sentite, lette, scritte tante, verità non ne vendiamo, aspettiamo l’inizio della stagione per capire, concretamente, cosa ci aspetta, anche se l’intervista rilasciata da Michael Signora proprio sulle pagine di Endzone sembra l’epitaffio migliore per la National Football League su Sky Sport.

I metodi per seguire la Nfl sono ormai infiniti, da internet con il Game Pass di Yahoo!, fino a streaming più o meno validi qualitativamente e legalmente, ma il palinsesto che pare aver proposto la Rai proprio non ci va giù, non fosse altro che ci tolgono la metà della postseason. Speriamo sia un anno di transizione, o di purgatorio se preferite, e che si finisca per avere Nasn Europe nel 2009, rimanendo convinti che di un canale All-News sportivo non se ne sentisse il bisogno, tanto più considerando che il 95% del tempo verrà impiegato per parlare di moviole e calciomercato, le due parti che sembrano davvero interessare di più gli amanti del nostrano mondo pallonaro. Ma siamo davvero così stupidi o, semplicemente, compriamo a forza solo quello che qualcuno decide che debba essere passato? Gli interessi economici e politici del calcio ci hanno sempre fatto pensare che, in fin dei conti, i padroni del vapore considerino un fastidio il fatto che qualche sport possa realmente emergere e fare concorrenza al calcio, soprattutto considerando che viviamo in un paese che inneggia al libero mercato ma, sempre più spesso, di concorrenza reale non vuol sentire parlare. Anche perché, in una reale concorrenza tra sport, in un paese davvero appassionato a quello che non sia necessariamente il solo calcio, come ne sarebbe uscita una disciplina come quella dallo scandalo di Calciopoli? Sarebbe davvero sopravvissuta?

Sarà che ci sbagliamo, che siamo noi a pensar troppo male commettendo peccato, ma preferire il calcio russo alla Nfl è una mossa che non arricchisce il pacchetto di Sky e, soprattutto, consolida l’inutilità della divisione di due pacchetti (Calcio e Sport) quando ormai il canale sportivo è una succursale di quello calcistico.

Eppure, al di là delle scelte economico-commerciali di Sky, a qualcuno che vada oltre l’azienda di Murdoch questo giochetto deve per forza fare comodo. Il ricco basket italiano degli anni 90 si è visto rifilare fallimenti, multe e radiazioni, la pallavolo mangiatutto dell’epoca Velasco è sempre costantemente stata oscurata per bene a livello televisivo, poco pubblicizzata, con un campionato nazionale snobbato di continuo, mentre dall’altra parte partivano leggi salva calcio, spalmadebiti, promozioni automatiche e ripescaggi clamorosi. Sarà che a pensar male si commette peccato, ma è anche vero che spesso ci si azzecca e se in Italia calcio, politica, economia e televisioni sono sempre in mano a un minuscolo gruppuscolo di famiglie potenti non se ne uscirà mai, tralasciando per una volta quali possano essere la colpa e l’ottusità della mentalità italiana e la sua scarsissima cultura sportiva.

La buona notizia, invece, è che domenica scorsa è finita la off season e con l’Hall of Fame Game di Canton tra Washington e Indianapolis, è cominciata la preseason. Periodo di stanca, certo, ma almeno periodo in cui si gioca. Inutile dire che le amichevoli nel football siano di una noia spesso mortale, che diano indicazioni praticamente nulle e che sfruttino i titolari, e spesso anche i giochi principali del playbook, in maniera davvero ridottissima. Ma sempre per la questione dell’astinenza di cui sopra, è già qualcosa.

E visto che si è in clima di partite giocate, oltre che di clima olimpico per tutte le altre discipline del mondo, è anche giunta l’ora di qualche pronostico, da buttare lì per poi dimenticarlo per sempre o, quando le cose vanno bene, fino a febbraio dove ognuno di noi potrà sventolare il proprio pronostico azzeccato. Nella Nfc aspettano tutti i Dallas Cowboys di Tony Romo e Terrell Owens ma, in senso assoluto, pensiamo che la squadra migliore del pacchetto siano i San Diego Chargers, sponda Afc.

Ammesso che i Bolts abbiano saldato i debiti con la sfortuna che li tenne fuori dal Championship 2006 dopo un Divisionl dominato contro New England e gettato alle ortiche dall’incauta giocata di Marlon McCree, che perse un fumble dopo aver completato l’intercetto della vittoria ai danni di Tom Brady, e dal Super Bowl di Glendale giocando, di nuovo contro New England, con i tre uomini migliori dell’attacco infortunati (Philip Rivers, LaDainian Tomlinson e Antonio Gates). Ammesso che il destino cinico e baro sia soddisfatto, dicevamo, allora questo potrebbe davvero essere il loro anno.

Forti in ogni reparto del gioco compresi degli ottimi special team, i Chargers hanno trovato in Philip Rivers un quarterback combattente, preciso, capacissimo di guidare i compagni in ogni situazione, il tassello ideale per chiudere il cerchio di un attacco che vive della grandi giocate di Antonio Gates e del miglior playmaker offensivo in circolazione, quel LaDainian Tomlinson capace di ricevere, correre e… lanciare. L’aggiunta di Chris Chambers ha dotato la squadra di Norv Turner di quel ricevitore di possesso che era mancato per varie stagioni e con una difesa di nuovo ancorata dal formidabile nose tackle Jamal Williams, un pacchetto linebacker di livello e delle buonissime secondarie, la San Diego di oggi appare come una squadra davvero di ottimo livello, capace certamente di tenere testa alle corazzate di Afc, come i Patriots e quei Colts sconfitti due volte nel 2007. Proprio all’interno delle secondarie si è conquistato il posto da titolare quell’Antonio Cromartie che lo scorso anno fu capace di big play esagerati incluso il record di meta più lunga nella storia: 109 yard ormai solo eguagliabili, su un field goal sbagliato. Un Cromartie che oggi è simbolo di un reparto arretrato consistente che vuole essere simbolo di una stagione vincente.
San Diego è una squadra equilibrata, 5 o 6 grandi nomi e tanti bravissimi giocatori, ben allenati e schierati sul campo di gioco, squadra che sa attaccare bene e difendere benissimo, squadra che oggi è in testa alle nostre preferenze.

E visto che abbiamo aperto con un quarterback leggendario chiudiamo con due giovani promesse nello stesso ruolo, due dei nomi che hanno fatto più parlare in questi primi giorni di preseaosn anche se non tutte le squadre sono già scese in campo. Parliamo di Colt Brennan dei Washington Redskins e di Caleb Hanie dei Chicago Bears.

Il primo ha esordito nella settimana della Hall of Fame giocando una partite precisa e convincente completando 9 lanci su 10 per 123 yard e 2 touchdown. Numeri straordinari se non fosse agosto, numeri figli della voglia di lavorare di un ragazzo che nel suo college di provenienza, Hawaii, è stato al tempo stesso esaltato e discriminato per quella spread offense che ne gonfiava i numeri e ne indorava le prestazioni. Uscito dalla Ncaa col terzo miglior punteggio in fatto di yard lanciate (14193) e il record assoluto di TD pass (131), Brennan ha rischiato seriamente di non trovarsi dove si trova oggi quando, nel 2004, venne espulso da Colorado dopo una irruzione notturna nel dormitorio femminile in preda ai fumi dell’alcol. Entrato in squadra come walk-on e ritrovatosi redshirt al primo anno, Brennan si ritrovò senza college e con una denuncia di reato sessuale sulla testa passando una settimana in carcere.

Caduta l’accusa più grave il ragazzo di Laguna Beach finì al Saddleback College, parte del California Community College System (praticamente una sorta di JuCo), dove trovò posto nella squadra di football e la guidò sino alla finale di conference. Questo convinse June Jones, coach di Hawaii fino allo scorso anno, che il ragazzo era recuperato, che in Colorado era stata compiuta una ragazzata pesante ma pur sempre episodica e che Colt poteva essere un giocatore di football. Reclutato dai Rainbow Warriors, Brennan divenne subito titolare mostrando una grande predilezione al lavoro e la volontà di essere parte della squadra in ogni sua sfaccettatura, tanto da imparare un po’ di quell’idioma simil samoano che i nativi dell’arcipelago del Pacifico parlano come prima lingua, il tutto per comunicare meglio con gli uomini di linea nell’huddle.

Un ragazzo ritrovato, un lavoratore, un atleta che ha conquistato via via il pubblico arrestandosi però di fronte a Georgia in uno Sugar Bowl che ha messo in evidenza la totale inesperienza del giocatore nei grandi eventi. I Redskins hanno puntato su di lui, scivolato per via di quella pessima finale, fino al quinto giro, ora si aspettano che, crescendolo al meglio, possa diventare un numero uno in Nfl, magari ripetendo certi numeri quando conta davvero.

Molto diversa e meno disordinata la vita di Caleb Hanie che in comune con Brennan ha il Colorado, visto che ha fatto parte dei Rams di Colorado State in Division I-FCS per quattro anni. Hanie, originario di Forney (Texas), fu definito dopo il draft uno dei migliori prospetti nel ruolo di quarterback da Mel Kiper jr, analista draft per Espn e considerato tra i migliori del campo. Uscito undrafted dall’ultimo draft ha firmato per i Bears rifiutando i Cowboys consapevole del fatto che un posto da titolare sarà più facile conquistarlo in Illinois che sottrarlo a Tony Romo.

Hanie ha già eliminato Nick Hill, mancino e prima firma dei Bears post draft, quarterback dell’area metropolitana di Chicago dal quale era uscito anche lo stesso Romo. Oggi è il terzo quarterback ed il suo esordio parla di un 9 su 16 per 101 yard, un TD pass ed uno splendido scramble a destra da 18 yard che ha permesso di convertire un 3° e 9. Peccato per un paio di drop di Marcus Monk e Earl Bennett nell’ultimo drive, passaggi che, se completati, avrebbero alzato i numeri di Heanie e, forse, dato la vittoria a Chicago. I Bears sperano di aver pescato il futuro da un cilindro magico, sarebbe una bella favola da raccontare; nella settimana che li fa sperare in Caleb Hanie, però, crolla la certezza di ricostruire una linea offensiva solida quando tutto il lato sinistro finisce in infermeria. Prima la guardia Terrence Metcalf, per un ginocchio operato, poi la prima scelta assoluta Chris Williams a cui hanno tolto un’ernia al disco e che, per il rientro, ha segnato in rosso una data agli inizi di novembre. Troppo per un rookie.

Ma per ora resta solo football d’agosto, tante chiacchiere e niente di più. Però è già un inizio.