La beffa di Joe Paterno, i nervi di Nick Saban

C’è una sottile differenza tra il football pro e quello collegiale, rappresentata dalla possibilità di rimediare ad un errore. Nella Nfl, difatti, una sconfitta ci può anche stare, normalmente non preclude la vittoria di una division o l’accesso ai playoffs, e la redenzione può arrivare affrontando con maggiore decisione gli impegni all’interno del proprio raggruppamento ottenendo quindi un buon record nella conference di appartenenza, il quale in ottiche postseason fa tutta la differenza del mondo.

Non è così il sabato, quando mezza America si ferma dinanzi ai kickoff semi-mattutini della Ncaa, e quando ci si rende amaramente conto che un’apparente fortezza costruita tutta in acciaio ci mette poco a trasformarsi in un castello di carte, che il minimo errore commesso può rapidamente far cadere cancellando gli sforzi di un anno.
Tanto poco è bastato a Penn State per lasciare il palco delle candidate alla finale, la beffarda sconfitta con Iowa all’ultimo secondo mette i Nittany Lions sullo stesso piano numerico di altre squadre il cui cammino segna una sola sconfitta in tutto il campionato, ma non certo sul piano della difficoltà del calendario nonostante la storica vittoria a Columbus di qualche settimana fa. E’ stato sufficiente solamente il terzo intercetto stagionale di Daryll Clark a consegnare nelle mani degli Hawkeyes la possibilità di mettere in piedi un improbabile drive per la vittoria, eliminando di fatto ogni potenziale polemica o disamina che si chiedeva, forse lecitamente, forse no, se fosse il caso di spingere a tutti i costi la conquista dell’ultimo titolo di una grande carriera per Joe Paterno. Pazienza, c’è sempre il Rose Bowl.

Ad aggravare la faccenda c’è il fatto che lo scenario non era poi così male per i Nittany Lions entrando nel periodo conclusivo, sembrava un sabato come tanti altri, certo, con un Clark non in grado di offrire la qualità di altre partite viste quest’anno, ma con i consueti touchdowns per Evan Royster e Derrick Williams si era arrivati ad un vantaggio, nove punti, che si pensava potesse essere rassicurante e definitivo, a maggior ragione dopo aver assistito per tutto il pomeriggio a qualche errore di esecuzione di troppo del quarterback Ricky Stanzi, che aveva già avuto modo di gettare alle ortiche due possessi importanti.
La vittoria ha messo in risalto un giocatore che di riflettori ne avrebbe meritati di più, Shonn Greene, capace si frantumare le 100 yards in ogni match disputato quest’anno e terzo running back più prolifico della nazione, tuttavia l’eroe per un giorno è stato il kicker Daniel Murray, ritrovatosi a calciare il field goal più importante dell’anno dopo aver perso il posto a favore di un freshman.

Murray (nella foto) era stato rimosso dal suo incarico già dopo la prima esibizione degli amati Hawkeyes, per i quali aveva sempre sognato di giocare, ed il suo compito fino a sabato era stato quello di calciare esclusivamente i kickoffs per via di una gamba imprecisa, ma molto potente. Il suo sogno si è avverato, perché nel momento stesso in cui il coaching staff si rendeva conto di aver bisogno di una gamba più esperta per infilare una conclusione di 31 yards con un fastidioso vento a fare da contorno, le caratteristiche di Murray erano diventatate all’improvviso la cosa più logica da scegliere, permettendogli di far vincere agli Hawkeyes la loro prima partita contro una top 5 dal 1990 ad oggi. Ed anche se Murray sa benissimo che la sua carriera di kicker finirà al college, un lunedì come l’ha vissuto lui, da eroe del campus, vorremmo averlo vissuto tutti.

Mentre Graham Harrell passeggiava sopra i resti di Oklahoma State inventandosi una prestazione con 40 completi su 50 tentativi e 6 passaggi da touchdown (roba da videogame), Alabama ha tenuto con i denti e con le unghie il suo primo posto del ranking, rimanendo imbattuta per un soffio contro Louisiana State.
Per tutta le settimana non si è affatto parlato della possibilità che i Crimson Tide potessero vivere il pericolo di non protrarre la loro presenza al top per altri sette giorni, perché l’attenzione pubblica si è fermata sul ritorno di Nick Saban nel luogo del delitto, lo stesso che il coach aveva abbandonato per tentare l’avventura targata Miami Dolphins, prima di rendersi conto che in tutta probabilità era meglio allenare al college.
L’ambiente era ostile, a maggior ragione perché si giocava in casa dei Tigers, con ogni tipo di cartello possibile esposto dai fans che ancora si sentivano traditi, se non altro per il fatto che il buon vecchio Nick aveva scelto una loro accesa rivale di conference per calpestare nuovamente una sideline collegiale; ecco facilmente spiegato l’eruttare ancor più forte di un rumorosissimo Tiger Stadium in reazione al bloccaggio del field goal che alla fine dei regolamentari avrebbe potuto affrettare una vittoria comunque poi conseguita in overtime, e chissà quanto forte pompava, in quel momento, il cuore di un coach apparso molto teso nei confronti dei suoi giocatori durante quell’ultimo drive decisivo dei regoalmentari, forse anticipando che qualcosa sarebbe andato storto.
Paura di perdere davanti all’ex pubblico? Certo, umano e comprensibile. Per fortuna ci ha pensato John Parker Wilson, il quale in seguito al recupero del possesso da parte della sua difesa, ha abbassato casco e paraspalle entrando in endzone con una provvidenziale qb sneak. Still #1.

Di Alabama ed Lsu si è letto anche nella cronaca nera, ed il fatto, se fosse confermato e confermabile, ci farebbe parecchio dispiacere. Chi scrive, ed attenzione, questa è un’opinione assolutamente personale, ha abbandonato da tempo la passione per il calcio nostrano stanco per le continue guerriglie contro le quali mai nessuno muove un dito, facendosi catturare dalla cultura americana per lo sport in generale osservando, con una sensazione di giustizia e liberazione, che esisteva un mondo diverso da quello italiano, un mondo dove il normale tifoso poteva sedere accanto ad un altro di fede diversa, scambiare due chiacchiere con lui o prenderlo per i fondelli amichevolmente per il touchdown od il canestro appena subìto.

La sconcertante notizia arriva dal sud dell’Alabama, dalla comunità di stampo prettamente rurale di Owassa: protagonisti e vittime della faccenda Dennis e Donna Smith, coppia divorziata in procinto di riappacificarsi, assassinati sabato sera da tale Michael M. Williams, con il quale Dennis aveva avuto un alterco telefonico circa la partita appena terminata tra le due compagini. Smith, che secondo i giornali era un tifoso di Lsu ma che secondo conoscenti stava dalla parte dei Crimson Tide, dopo la telefonata aveva deciso di recarsi presso l’abitazione di Williams assieme alla moglie per motivi apparentemente sconosciuti, ma la situazione si era solamente aggravata, portando ad un litigio terminato con l’uccisione dei due ex-coniugi, colpiti a morte dal fucile che Williams teneva nella sua jeep. E mentre arrivano forti smentite sul fatto che il litigio sia nato da argomenti correlati alla partita, il beneficio del dubbio resta, e ci lascia un grande sapore amaro in bocca, se non altro per quanto abbiamo già visto accadere nel nostro presunto belpaese.

Tornando al football giocato nonché ad argomenti meno tristi, restiamo un momento in Louisiana e facciamo un viaggio all’interno del campionato dei Ragin’ Cajuns, gli attuali leaders della Sun Belt: Luisiana-Lafayette è una squadra che non vanta records illibati come quelli di altre squadre provenienti da conferences minori, tuttavia la loro è una stagione interessante, nata da una particolare usanza portata avanti da squadra ed allenatori di seguito all’ispirazione data loro dalla delusione dei seniors del 2007 nei confronti di un 3-9, ennesimo consuntivo negativo di questi ultimi tempi.
Michael Desormeaux, starter nel ruolo di quarterback, ha recentemente ricordato i discorsi di molti compagni giunti al termine della loro avventura collegiale nel 2007, i quali avevano sottolineato davanti a tutta la squadra l’importanza di essere uniti per lo stesso traguardo, e quanto il giocare al massimo delle proprie possibilità fosse preponderante per non ritrovarsi, una volta divenuti seniors a propria volta, a doversi lamentare di ciò che sarebbe potuto essere e non è stato.

I Cajuns si sono finora comportati molto bene nelle partite divisionali, sconfiggendo gli avversari con uno scarto medio di 18 punti e mantenendo un record privo di sconfitte nella conferences, che comandano con una partita di vantaggio su Troy, che sarà loro avversaria tra due sabati per la resa dei conti finale. Molti sostengono che un miglioramento così notevole, arrivato in così breve tempo, derivi da quella particolare usanza cui accennavamo prima: ad inizio campionato, difatti, il coaching staff aveva chiesto ad ogni componente del team di scegliere una persona a cui dedicare la stagione, scrivere il suo nome e porre il tutto in una scatola che a turno viene tutt’ora custodita da un giocatore diverso, mentre ad un altro ne viene affidata la chiave. E prima di ogni apparizione sul terreno di gioco, ogni membro del team tocca quella scatola e ne ricava tutta l’energia possibile.
Sarà la scatola con dediche a far raggiungere ai Cajuns il primo Bowl degli ultimi 38 anni e la prima stagione vincente degli ultimi 4? Un ultimo sforzo, e dovremmo esserci.

Qualcuno, per cortesia, vorrebbe farci sapere se è interessato a vincere la Acc?

Quest’anno sembra non ne voglia sapere nessuno, ogni settimana c’è una squadra che si tira la zappa sui piedi e perde l’occasione di staccare qualche scomodo concorrente. Ci scusiamo per aver decantato con decisione le prestazioni di Virginia portandole un po’ di rogna, visto che da quando ne abbiamo parlato non ha più vinto, scusarci non possiamo invece per la debàcle di Georgia Tech, che solo due settimane fa aveva ottenuto un’importante successo contro Florida State (attualmente in testa all’Atlantic Division, in co-abitazione con altre due squadre) ma che ha perso lo scontro chiave con North Carolina: proprio gli stessi Tar Heels hanno approfittato degli incidenti di percorso di Virginia Tech, la quale a sua volta ha registrato cattive prestazioni e due sconfitte consecutive nelle ultime tre partite, trovando la redenzione solamente grazie alle spettacolari 165 yards su corsa di Darren Evans contro Maryland, quest’ultima tutt’altro esclusa dai giochi e fiera inseguitrice, assieme a Boston College e Wake Forest, dei Seminoles. La cosa buffa è che nonostante il clima di ricostruzione persino Miami è appaiata ad altre due squadre per la conquista della Coastal Division, ed il record di 3-2 all’interno della conference è tra i migliori dell’intero gruppo.

Se qualcuno vuol vincerla, questa Acc, faccia un fischio.