Ieri, oggi e domani
Sembra ieri che ci adagiavamo su una poltrona, su una sedia o, meglio, spaparanzati sul divano di casa ci preparavamo al ghiotto antipasto tra New York Giants e Washington Redskins. Di colpo, ogni polemica estiva su chi, come e quando avrebbe trasmesso la Nfl in televisione, in Italia, svaniva per lasciare spazio allo spettacolo del football giocato per chi avesse solo una connessione al web decente o la capacità di maneggiare parabole, feed e abbonamenti esteri. Sembra ieri, con il sole di settembre ancora caldissimo, con il college su Nasn a fare da splendido contorno e l’avvio, dopo mesi di attesa, della stagione 2008 di football professionistico. Ed invece il tempo è scappato via, come ogni anno, come nella vita di tutti i giorni, fuggito con una progressione rapida e costante che ci ha portato fino qua, alle porte di dicembre, a un passo dall’inverno e dalla chiusura della stagione regolare.
Sono cominciate le partite del giovedì notte, questa settimana avremo le tre sfide del Thanksgiving Day e tutto senza che si sia davvero stati in grado di metabolizzare a fondo il campionato che ci passa davanti. Stephen King direbbe che gli amici sono come i camerieri nella stanza di un ristorante, entrano ed escono dalla nostra vita senza che ci si faccia troppo caso e, a volte, sembra anche che la Nfl sia così. Una stagione veloce, intensa, piena di aneddoti, immagini, numeri che scorrono via velocissimi come i titoli di coda di una sit-com con la sigla finale troppo breve per poter inserirvi tutto.
E nell’attesa che il Generale Inverno ci dichiari definitivamente guerra torniamo a mettere mano a questa rubrica che, senza averne alcuna responsabilità, è tristemente rimasta a lungo orfana di un padrone, di una continuità di “pubblicazione” e, di questo, ce ne scusiamo con tutti (tanti o pochi) quelli che la leggono. Ma il tempo corre nella vita tutta e non solo nella stagione di football e, questo, inevitabilmente porta con sé i problemi di chi, da queste parti, ci sta per passione e non certo con un salario garantito alle spalle. E se fuori dalla finestra oggi il cielo è più grigio di qualche settimana fa ammettiamo che anche la stagione in corso non sembra illuminarsi più di tanto così da rendere un mistero, un pronostico troppo azzardato, quale che sarà il suo esito finale a meno di non volersi accontentare dell’ovvio proprio da queste parti, dove l’ovvio fallisce sempre.
All’inizio fu molto facile paragonare il 2008 a quel 2002 di sorprese e con poche squadre dal record veramente eccellente. Oggi le cose sono meno chiare di allora, quando Tampa Bay e Oakland si affrontarono nel nome di Jon Gruden, coach dei primi appena uscito proprio dalla baia californiana che gli aveva regalato le prime grandi pagine dei giornali della sua fresca carriera da head coach. Oggi Gruden è al decimo anniversario (undicesima stagione) da comandante in capo, ma la Nfl non è la stessa di quel suo primo e unico Super Bowl conquistato.
Il 2008 è stato un anno di alti e bassi per tante, troppe franchigie, un regno di discontinuità legato non solo a qualche infortunio di troppo, qualche coaching staff piuttosto “ingenuo” o qualche campione troppo sazio, ma si tratta di una discontinuità dovuta anche a un ricambio generazionale in qualche posizione geografica della Lega che ha condizionato (e spalmato) il talento in giro per gli Stati Uniti. Il problema di molte squadre è poi sembrato mentale, quasi che ognuno soffrisse della pressione del “dentro e fuori” già dai primi snap di settembre, logica non del tutto sbagliata in un campionato di sole 16 partite ma che non può creare e distruggere miti più velocemente di quanto non ci voglia a chiudere un’azione degli special team.
A settembre Dallas aveva già un piede al Super Bowl, Aaron Rodgers avrebbe vinto a Green Bay più di quanto non fosse riuscito a Favre il quale, a sua volta, era finito nella squadra sbagliata nel momento sbagliato. E, ancora, Indianapolis era giunta al capolinea, la linea di Pittsburgh non avrebbe consentito grandi punteggi agli Steelers, Miami avrebbe vinto poco più di tre-quattro partite, Tampa e Carolina erano figlie del caso, Buffalo era finalmente da playoff e, senza Tom Brady, a New England sarebbe toccato il primo record negativo del nuovo millennio (il 5-11 collezionato nel 2000).
A ottobre, ombre e figure hanno cambiato via via immagine, tra una San Diego e una Green Bay che un giorno risorgevano e quello successivo cadevano ancora, tra una outsider che si confermava prima donna per tornare subito dopo al proprio rango di “comparsa”, tra “polemiche” arbitrali piuttosto e coaching staff che sembravano lì per caso, come a Buffalo, Chicago, Minnesota, per citare qualche nome. Segno che le rivoluzioni, in questo senso, potrebbero non essere finite e che nel 2009 ci sarà da discutere ancora tanto su questo o quell’allenatore, su questo o quel ciclo da aprire o da chiudere.
Nell’incertezza dominante una sola squadra ha navigato sino a domenica scorsa senza conoscere sconfitta, ossia quei Tennessee Titans che del gioco di squadra avevano fatto la parola d’ordine, facendo sì che molti di noi non riuscissero mai a pronunciare il nome di una vera e propria stella all’interno del team. Una squadra con una difesa tosta, compatta, una squadra che rinunciava al giovane e problematico Vince Young per lasciare spazio al vecchio Kerry Collins e giocarsi ogni chance di arrivare in fondo. I Titans sono parsi sin da subito squadra di contenimento, capace di arrestare le operazioni dell’attacco avversario e di vincere costruendo il minimo indispensabile in attacco, con un buon reparto corse e un quarterback abbastanza esperto da non perdere la testa, l’ennesimo vecchietto che dà lezioni di football vincente ai più giovani assieme a Brett Favre e Kurt Warner.
E proprio dal vecchio e discusso Favre è giunta la prima sconfitta per i Titans, grazie a dei NY Jets ritrovatisi in difesa e che in attacco hanno fatto valere la più vecchia logica del football: quando una dimensione del gioco prende prepotentemente forma il resto la segue a ruota. E così, dietro ad una linea offensiva robusta ed efficiente è bastato mettere un quarterback in grado di giocare a 360° e di sfruttare tutta l’esperienza del mondo per rimettere in piedi un gioco aereo credibile e dare spazio alle corse finalmente rifiorite grazie al buon Thomas Jones.
Il merito più grande va però attribuito a Eric Mangini ed il suo staff capaci all’ultimo secondo di inserire Favre in schemi che erano più adatti allo sfortunato Chad Pennington; facile lavorare con certo materiale a disposizione, direte voi, ed in parte è vero. Ma facile lo è fino a un certo punto e vedere come i Jets, anch’essi tra alti e bassi, siano giunti a questo 8-3 che li proietta in testa alla Afc East non può che portare a pensare all’immenso lavoro svolto dallo staff e dai giocatori che fanno così sognare anche l’altra metà della Grande Mela con un talento in cabina di regia che non si vedeva probabilmente dai tempi del mitico Joe Namath.
Ed è proprio a proposito della discontinuità generale che avevamo tutti visto nei Titans una squadra più che favorita al titolo; non era tanto il record da imbattibili che parlava, quanto il modo di stare in campo. Preciso, continuo, una squadra capace di non perdere praticamente mai la testa, di dettare i ritmi di gioco (spesso abbassandoli) a proprio piacimento tanto da non brillare come formazione ineguagliabile ma, sicuramente, come squadra abbastanza solida da vincere qualcosa di importante.
La sconfitta non ridimensiona troppo la formazione di Nashville, ma trasforma automaticamente i Jets nella squadra del momento, tanto più in quel gioco di informazione che è il media on line o cartaceo che ogni giorno deve raccontare una storia. Ma se una storia vale la pena di essere raccontata allora si deve rimanere a New York e voltare lo sguardo anche solo un attimo dall’altra parte e osservare i Giants.
Parleremmo volentieri dei coaching staff e delle loro difficoltà (e anche del maledetto “roughing the passer” di cui tratteremo poi N.d.R.), tema che andrebbe affrontato con calma e tempi giusti (per scriverlo, ma anche per leggerlo) ma visto che la stagione corre così forte sembra quasi inutile soffermarsi su chi perde. Sembra che il tempo di discutere sia solo per chi vince. E allora eccovi i New York Giants, loro sì i veri favoriti alla conquista del titolo altra cosa che, in pochi, avrebbero detto a settembre. Perché ripetersi nello sport è impresa ardua e farlo nel football lo è ancora di più.
Ma tra i Big Blue qualcosa è cambiato e non pensate che possa essere il solo aver abbandonato le mele marce al loro destino. A NY, a proposito di grandi staff, si è costruito qualcosa di immenso. Dal momento in cui, a gennaio 2007, si scommetteva sul (meritato) licenziamento di Tom Coughlin, a oggi che i Giants sono a tutti gli effetti la squadra migliore del 2008 inteso come anno solare. Il lavoro è stato soprattutto mentale, Eli Manning e compagni hanno cominciato a vincere e prendere coscienza delle proprie capacità soprattutto grazie a una attitudine che è cambiata come cambiano i colori del giorno e della notte. Una volta capito come gestire il proprio quarterback Coughlin ha trovato la continuità che cercava, ha visto gli errori diminuire vistosamente ed il lavoro di Steve Spagnuolo in difesa ha fatto il resto.
Spagnuolo, uno che nel football pro come allenatore ha esordito a Barcellona nella WLAF e che è divenuto il principale artefice del Super Bowl vinto dai Giants lo scorso febbraio strappando il miglior contratto da assistente dell’intera Lega. A lui, come a Coughlin, meriti di gestione innanzi tutto, la capacità di implementare al gruppo la convinzione, il lavoro, la compattezza prima degli schemi e delle posizioni. A gennaio i Giants erano altra cosa rispetto qualche mese prima e questa convinzione è via via cresciuta. Quando poi ti fregi del titolo di più forte ti convinci della cosa e da lì in avanti è stato sempre un piacere vedere una squadra giocare con questa costanza e questa intensità, devastante sulle corse, prepotente in difesa e finalmente continua nel gioco aereo e nella gestione delle partite. Intelligente, raramente forzata a esagerare, concreta e senza troppi fronzoli.
Una sconfitta nel 2008, contro i Cleveland Browns, una sconfitta in 15 partite e una convinzione che ormai sembra non scemare più. E come potrebbe essere diversamente dopo aver sconfitto gli Invincibili di Bill Belichick in uno dei Super Bowl più appassionanti di sempre? Ora il titolo di più forti è loro a tutti gli affetti, al di là della bacheca che, a volte, può sembrare più generosa di quanto i mezzi effettivi non dicano. Ora a New York si sogna su entrambe le sponde del fiume Hudson e si comincia a sperare in una finalissima costruita in casa, in un derby mai visto prima. E, forse, alcuni celati veleni tra cugini potrebbero finalmente trovare sfogo sul campo da gioco.
Sembra ieri che Brett Favre si ritirava e i New York Jets toccavano il fondo. O, almeno, sembra ieri l’altro. Come due giorni sembrano passati dalla ricezione magnetica di David Tyree e da quella, definitiva, di Plaxico Burress. Sembra ieri e domani, invece, si riparte che è già ora di festeggiare con un tacchino. Sembra ieri che Buffalo sotto il nevischio e il gelo stava per buttare fuori i Giants dalla corsa a una Wild Card mentre oggi continua la favola di una squadra che ha saputo vincere, convincere ed emozionare. Il domani è alle porte e i Giants vogliono entrarci di forza portando con sé una grande fetta di storia del football.
COMPLIMENTI per l’ennesimo articolo SPLENDIDO.
ciao.
Bentornato….abbiamo tutti sentito la tua mancanza….Comunque sei piu’ un poeta che un’esperto di NFL!!!!!L’unico appunto che devo farti che hai tessuto troppe lodi ai miei Jets…..forse si sono montati la testa e ieri sono stati ridimensionati dai Broncos……La butto li…..forse la finale piu’ giusta quest’anno sarebbe GIANTS-STEELERS.Big Ben(OL a parte) e Eli stanno guidando le loro squadre verso la meta finale.Outsider del momento potrebbero essere i Titans(ho paura che pero’ non siano una squadra da playoffs)e i Bucs(ma sono troppo discontinui)Chiudo con una domanda:riusciranno i mitici Lions a fare il PERFECT YEAR(0-16)?Saluti e ancora complimenti per l’articolo
Ciao Paolo e grazie. Sui tuoi Jets… non sono molto convinto che possano davvero essere una cosiddetta “contender” ma