Un match deludente.

Per chi, come il sottoscritto, è cresciuto ammirando le gesta di grandi giocatori del passato come Roger Staubach, Dan Marino, Joe Montana, o John Elway, la partita del Divisional NFC di ieri sera tra i New York Giants e i Philadelphia Eagles è stata un’amara delusione. Amara perchè si è avuta l’impressione che il football non sia più un gioco di lirica bellezza, di acrobazie, di scatti brucianti, di precisione assoluta, ma sia semplicemente ostaggio delle difese più o meno dominanti che ci sono in giro.

E sembra quasi che abbia avuto ragione chi ha picchiato più forte. Quello che è successo al Giants Stadium sembra confermarlo: tre quarti in cui gli attacchi non sono riusciti a capitalizzare quello che le difese rispettive avevano costruito, fino a che le maglie non si sono naturalmente allentate a causa della fatica. E allora, ha vinto l’attacco più completo ed equilibrato, quello con il quarterback più esperto e con i rookies migliori. I Giants hanno pagato la scarsa produttività dei giovani receivers Steve Smith e Domenik Hixon, meno precisi e puntuali dei colleghi Jason Avant e DeSean Jackson, ed hanno rimpianto il desaparecido Plaxico Burress, che oltre che a sè stesso, ha sparato probabilmente anche alle ambizioni di riconferma dei Giants in vetta alla NFL. Che hanno anche pagato il divario di esperienza che c’è tra Eli Manning e Donovan McNabb. Le diverse possibilità delle due squadre si potrebbero verificare confrontando il gioco a terra che hanno svolto: Brandon Jacobs e Derrick Ward hanno tirato la carretta finchè hanno potuto, ma nel momento cruciale del match, quando è arrivato il momento di mettere la palla in aria, la forcella tra le due squadre si è allargata e il punteggio finale di 23-11 lo testimonia.

In generale questi playoffs stanno decretando un pò la fine del football “champagne”; il motivo probabilmente è che da un pò di tempo mancano gli innovatori, per intenderci quegli allenatori alla Tom Landry, o alla Vince Lombardi, alla Don Shula o alla Bill Walsh, in grado con le loro invenzioni di mettere alla frusta chi predica il colpo selvaggio sull’avversario o chi sguinzaglia i suoi in blitz otto volte su dieci azioni. Il football deve ritrovare i suoi equilibri, se vuole tornare ad essere maestro di vita e palestra di intelligenza come era tanti anni fa. Per ora, bisogna confidare negli estri di quei pochi reduci da quei tempi gloriosi che ancora calcano i campi. E sperare in uno sprazzo estemporaneo di football “champagne”. Ancora un volta, per poter di nuovo essere felici.