Daryl “Moose” Johnston

Negli anni novanta i Dallas Cowboys sono state una delle squadre più vincenti nella NFL, con la conquista di ben tre titoli.
Dei giocatori più rappresentativi di quel team si è già scritto molto, soprattutto di Troy Aikman, Emmitt Smith e Michael Irvin, ma come sappiamo il football è sport di squadra per antonomasia, ogni giocatore svolge sempre un ruolo chiave, per quanto oscuro possa essere.
Tra i tanti che lavoravano nell’ombra per rendere indimenticabile quella squadra merita sicuramente una menzione speciale il fullback Daryl Johnston.
Nato a Youngstown, New York il 10 febbraio 1966, Johnston ha iniziato a calcare i campi nella locale High School, venendo nominato Western New York Player nel 1983 e portando i Lancers alla vittoria di divisione nel suo anno da senior, il 1984.
La squadra ha poi ritirato la sua maglia numero 34 il primo settembre 2006.
Johnston ha quindi frequentato l’università a Syracuse, venendo convocato per la selezione All-Big East nel 1988 e per la All-American nel 1989.
Dopo aver conseguito la laurea in Economia, è stato scelto al secondo giro del draft 1989 dai Dallas Cowboys, dove il backup quarterback Babe Laufenberg gli affibbiò il soprannome di Moose (alce).

Con la maglia di Syracuse
Da allora, in casa o in trasferta, ogni volta che Johnston toccava palla tutto lo stadio lo acclamava con un “mooooosssseeee”.
Diventò subito un idolo per i tifosi, grazie alla sua abnegazione nell’aprire la strada per le corse di Emmith Smith blocco dopo blocco, concedendosi qualche corsa in endzone, numerose ricezioni fuori dal backfield e anche giocate d’impatto con gli special teams.
Un sunto di queste sue doti si può trovare nel Championship NFC del 1992, quando i Cowboys sconfissero i 49ers e si guadagnarono l’accesso al Superbowl dopo 14 anni.
In quella partita Johnston recuperò un fumble con una mano sola in un’azione di punt, realizzò un touchdown, effettuò quattro ricezioni e svolse il suo normale lavoro di bloccaggio, aprendo la strada a Smith che corse per 117 yards.

In azione con i Cowboys
Grazie alle sue doti e alla sua abnegazione fu il primo fullback ad essere convocato per un Pro Bowl, costringendo la NFL a creare un vero e proprio posto per quel ruolo nel roster dell’All Star game.
Si è ritirato nel 1999, a causa di un infortunio al collo, dopo 10 stagioni di NFL tutte disputate con i Dallas Cowboys.
Attualmente Johnston lavora come commentatore nel secondo team della Fox.

Nel suo ruolo di commentatore con la Fox
Nella sua carriera “The Moose” ha realizzato 22 touchdowns e ricevuto una media di 42 passaggi a stagione, pur continuando a svolgere quello che era il suo ruolo primario, aprire la strada a Emmitt Smith, contribuendo all’abbattimento del record di yards corse in carriera, record che prima apparteneva a Walter Payton.
Nell’occasione, un match contro Seattle del 2002, Johnston scese sulla sideline per congratularsi con l’ex compagno.
Mentre poi stava tornando al suo lavoro fu raggiunto da Smith che lo abbracciò e gli disse: “Non avrei potuto farlo senza di te”; al che Johnston rispose: “E’ stato un piacere, non avrei potuto immaginare di farlo per nessun altro”.
Johnston vive a Dallas con la moglie e due figli; è impegnato in numerose attività umanitarie, tra cui Special Olympics, Children’s Cancer Fund, Cystic Fibrosis e Literacy Instruction for Texas (LIFT).
È stato anche impegnato come honorary chairman per la campagna MDA’s “Aisles of Smiles” e per la American Cancer Society’s Gunslingers’ Ball.
Nel 1999, grazie ai numerosi servigi resi alla comunità, è stato uno dei candidati a ricevere il prestigioso “Whizzer White Humanitarian Award”.
Un giusto tributo per quello che è stato, probabilmente, il migliore interprete della storia NFL di questo ruolo difficile ed importantissimo. Bravo Jeremy!