Once were warriors
I Santi all’Inferno
Che la stagione appena cominciata potesse riservare delle sorprese, era fisiologico (ed auspicabile). L’NFL ci ha abituato ad exploit inattesi e a cadute altrettanto fragorose (remember Denver ’09?). Ma che dopo le prime cinque partite, i campioni del mondo in carica dei Saints, pressoché perfetti la scorsa stagione, dopo la battuta d’arresto con Atlanta perdessero abbastanza nettamente a Phoenix con i Cardinals, un po’ meno. Visto tra l’altro che gli stessi Cardinals, pur vincenti con St. Louis e Oakland (ma di strettissima misura), erano stati abbondantemente strapazzati da Atlanta prima e San Diego poi. Insomma, almeno sulla carta, una partita che doveva sancire la fine della breve convalescenza dei Santi. Le cose sono andate invece in tutt’altro modo. Cosa succede ai Saints? La fame di vittorie è placata e il team appagato, o c’è dell’altro?
Senza dubbio, l’assenza di Reggie Bush si fa sentire, e non poco. L’attacco dei Saints deve trovare un nuovo equilibro, e i numeri dicono che al momento Drew Brees e i suoi segnano 12 punti in meno a partita (e ne “macinano” circa 100 in meno…).
A preoccupare i tifosi dei Saints anche la raggiunta maturità dei Falcons, che si, hanno faticato per avere la meglio su Cleveland, ma sembrano oggi come oggi la vera squadra da battere nell’NFC South. E la concomitante rinascita di Tampa Bay, che ha battuto in una partita rocambolesca i Bengals (insieme a Green Bay, candidati alla nomination come “suicidi perfetti”) rappresenta una variabile in più con la quale dovranno fare i conti i campioni della scorsa stagione. Con ogni probabilità, gli scontri divisionali saranno decisivi per definire gli equilibri della NFC South.
Dallas in difficoltà
Ma se New Orleans piange, non stanno meglio altri team che, prima dell’avvio del campionato, erano considerati da tutti sicuri protagonisti della stagione. A cominciare dai Cowboys di Tony Romo, che sognano di poter giocare in casa il nono Superbowl della loro storia.
Sconfitti in casa anche dai Titans, con una linea offensiva decisamente sotto tono che ha consentito a Tennessee di mettere più volte sotto pressione il QB dell’”America’s Team”, il male di Dallas per certi aspetti è più “oscuro” rispetto ad altre squadre. Senza dubbio, le penalità (quindi, in parte, anche una mancanza di concentrazione e la pressione per trovarsi con un inatteso record di 0-2 in casa) hanno avuto un ruolo importante. Ma non l’unico.
A differenza di altre franchigie in crisi, Dallas rappresenta in un certo senso un caso a sé: molti giochi offensivi differenti, cifre di tutto rispetto (Romo ha lanciato per 400 yds, Jones ha corso per oltre 100 yards stabilendo il record personale e prendendo di fatto il posto di Barber, Miles Austin ha ricevuto per oltre 150 yard), ma anche una serie di problemi di non semplice soluzione. A cominciare dai turnovers (0-3 contro i Titans), dalle penalità come detto (12 per 133 yards totali) e dalla prestazione dello special team, che ha concesso un ritorno di 73 yards a Marc Mariani sulle 5 di Dallas. Per inciso, in quest’ultimo caso, il kick-off di Dallas è avvenuto dalle proprie 15 come conseguenza di una penalità affibbiata a Marc Colombo per celebrazioni eccessive dopo il TD. Errori banali ed autolesionismi a parte, Dallas è quartultima nella lega per copertura su ritorno di kickoff: molto lavoro attende su questo fronte Wade Phillips e Joe DeCamillis, allenatore dello special team texano. La qualità dei singoli non si discute (Dallas probabilmente è una delle franchigie con il maggior tasso tecnico complessivo nel roster), ma la quadratura del cerchio come squadra non è ancora avvenuta.
Dallas è a un bivio: a due vittorie dalle prime della Division, nulla è ancora compromesso (considerato l’enorme potenziale della squadra), ma gli aggiustamenti in corsa non possono più tardare, pena l’abbandono anzitempo di ogni velleità di playoff. E la ritrovata competitività delle altre pretendenti al titolo della Division è un ulteriore elemento di preoccupazione per i Cowboys, a cominciare da Washington che, pur mostrando ancora diversi limiti, è riuscita comunque nell’impresa di battere in rimonta niente meno che i Packers di Aaron Rodgers.
A proposito dei Redskins, provvisoriamente in testa all’NFC East insieme ai Giants (vittoriosi su Houston) e agli Eagles, evidentemente l’arrivo di McNabb in cabina di regia e di Mike Shanahan come head coach (al posto di Zorn, ora allenatore dei QB a Baltimora), sta dando i suoi frutti. Per i più giovani (o smemorati), questo signore porta un paio di anelli vinti coi Broncos nel ’97 e ’98….
Minnesota, stagione già compromessa?
Ma la lista dei convalescenti non può non comprendere i Vikings di Favre & co., forse una delle sorprese (in negativo) più clamorose e inaspettate della stagione. Dopo un avvio preoccupante, con vari scricchiolii che, forse frettolosamente, erano stati in parte imputati alla tardiva decisione di Favre di annunciare l’ennesimo rientro (e al conseguente ritardo nel raggiungimento dei giusti equilibri in attacco), l’arrivo di Moss dai Patriots (in attesa del rientro di Sidney Rice) sembrava accendere più di una luce di speranza nei tifosi di Minnesota, Il campo, invece, ha raccontato un’altra storia.
D’accordo, giocare a New York coi Jets (per chi scrive, una delle più serie candidate ad andare avanti nell’AFC), al giorno d’oggi non è facile per nessuno, ma se si considera che, in un attacco in cui oltre al nonno terribile Favre ci sono (tra i tanti) due signori di nome Peterson e il succitato Moss, è forse lecito aspettarsi qualcosa di più che un gioco (non un drive, un gioco) nella metà campo avversaria in tutto il primo tempo. Malgrado questa situazione, figlia di un attacco incapace di costruire qualcosa di credibile contro una delle difese più efficaci della lega per metà gara, l’ex QB dei Jets (e dei Packers, ovviamente, prima ancora) era riuscito a risalire la china grazie ad alcuni lanci dei suoi: l’attacco dei Vikings, spettatore per tutto il primo tempo, si riportava in partita grazie all’apporto decisivo della difesa di Minnesota (unica vera certezza della squadra, al momento), capace di limitare i danni a 5 field goal (impresa quasi miracolosa, visto l’andazzo). E a 1:38 dalla fine, sotto di 2 (20 a 22), le chances di portarsi in zona field goal sembravano altissime (considerato anche che Favre in queste situazioni ci sguazza). E di riacciuffare una partita che sembrava segnata dopo i primi due quarti. Ma l’ultraveterano QB dei vichinghi subiva un sanguinoso intercetto sulle proprie 26, consegnando definitivamente ai Jets la quarta vittoria su cinque partite.
Episodi a parte, i Vikings patiscono una serie di problemi, soprattutto in attacco. Prima di tutto, Favre ha un anno in più, e alla sua non più verde età, questo si sente (e si vede), e non poco. Nella partita persa coi Jets, Favre ha raggiunto quota 500 TD passes in carriera. Chapeau! Ma non è tutto oro quel che luccica. L’anno scorso, nella sua esplosiva stagione di esordio a Minnesota, Favre aveva lanciato 34 TD passes nelle 16 partite di regular season. Ad oggi siamo a 5, ovvero 19 per la stagione se mantenesse queste statistiche. Poco più del 50%… Oltre all’età di Favre, il problema è legato almeno in parte alla pressione che gli avversari esercitano sul veterano dei Vikings, certamente non al top per quanto riguarda la mobilità (non è poi da tutti giocare nell’NFL a 40 anni suonati…). Favre ha subito ad oggi 10 sacks e lanciato 7 intercetti. Se i Vikings riusciranno a registrarsi in attacco, tutto può ancora succedere. In ultimo, va segnalato il rendimento meno clamoroso della difesa: se è vero che con New York ha tenuto a galla la squadra per tutta la prima metà della gara, è altrettanto incontestabile che, a questi ritmi, la pass rush di Minnesota (prima nell’NFL nella stagione scorsa, con 48 sacks) rischia di veder dimezzate le proprie statistiche (6 sacks nelle prime 4 partite, ovvero in proiezione 24 sacks, la metà esatta del 2009). Metteteci pure che Cedric Griffin, CB titolare, è fuori tutta la stagione per infortunio, e forse sarà chiaro ai più che il cinquantennale dei Vikings potrebbe non essere all’altezza del blasone della squadra. Ma aspettiamo a darli per morti…
I guai della baia verde
A complicare le cose ai Vikings, già abbastanza complicate, ci pensa al concorrenza. Per fortuna di Favre e soci, quella che dovrebbe essere la favorita della division Green Bay (considerata da molti analisti NFL ad inizio stagione la pretendente numero uno a rappresentare l’NFC il 6 febbraio prossimo a Dallas) ha ben pensato di suicidarsi a Washington, in una partita che, a poco più di sei minuti dalla fine del terzo quarto, sembrava ampiamente sotto controllo.
Indubbiamente, la squadra che fu del grande Lombardi qualche scusante ce l’ha. A cominciare da una serie di infortuni, primo fra tutti un certo signor Clay Matthews, che hanno consentito a Washington di riportarsi sotto dopo che i Packers si erano portati sul 13 a 3 a 6 minuti dalla fine del terzo quarto. Unitamente all’indisponibilità, già nel corso del primo quarto, di Jermichael Finley e Donald Lee, i due TE della squadra del Wisconsin. Ma, questo è quanto emerge dalla trasferta nella capitale, uno dei grandi problemi di Green Bay è l’insistenza quasi ossessiva di Mike McCarthy nel passing game. Che, su un terzo e uno e la squadra ancora sopra di due segnature, chiama una nuova azione di lancio. Una tendenza ripetuta più volte nel corso della gara, anche quando forse era il momento di “macinare minuti” sul cronometro. Risultato? 21 yards guadagnate su terzo down nel corso della partita, con un’imbarazzante media di 1.6 yards/play. Così, difficilmente si arriva ad un Superbowl. Aggiungiamoci che, su un totale di 67 giochi offensivi di GB, 53 sono stati di passaggio e 14 di corsa, e forse si comincia comprendere quanto sia sbilanciato l’attacco di una potenziale pretendente al titolo. Per inciso, anche se le statistiche non dicono tutto e, a volte, non danno il preciso senso di una partita, su giochi di passaggio contro Washington Rodgers e soci hanno guadagnato una media di 5.66 yds/play e 2 turnovers, contro le 9.07 yds/play e nessun turnover dei giochi di corsa. Che sia il caso di alternare un po’ le chiamate offensive?
Non solo: l’insistenza di McCarthy sui lanci espone troppo pesantemente Aaron Rodgers: il QB ha subito un forte trauma durante uno scontro casco contro casco, con il risultato che la sua presenza contro Miami domenica prossima è in forse. Come rovinarsi da soli una stagione? I Packers, flagello infortuni a parte, ci si stanno mettendo d’impegno…
Squadra quindi da rivedere all’opera per capire se quello di domenica è stato uno sfortunato incidente di percorso o la spia di qualcosa di più serio. Nel frattempo, Chicago continua la sua marcia (4 vittorie su 5 partite, unica sconfitta, per quanto netta, in casa dei Giants), pur avendo giocato senza Jay Cutler.
Insomma, una situazione complessiva incandescente dove Detroit, che già aveva dato segnali più che incoraggianti ai suoi tifosi, ha abbattuto 44 a 6 St.Louis. Che le sorprese (e gli incubi) del povero Favre non siano finite qui?
NFC West: Arizona sorprende, Frisco anche (in negativo)
Della vittoria dei Cardinals su New Orleans si è detto. Il dopo Warner non si preannunciava semplice, e così è stato. Onestamente, in pochi avrebbero scommesso qualche dollaro sulla vittoria di Arizona contro i campioni del mondo in carica. Ma, oltre agli indubbi meriti della squadra di Ken Whisenhunt, a facilitare il cammino verso i play off contribuisce la concorrenza interna, non proprio delle più agguerrite. Seattle procede a singhiozzo, St.Louis (come si diceva) viene umiliata dai Lions, e San Francisco, pur avendo mostrato sprazzi di qualità (la partita persa di strettissima misura coi Saints, per esempio), ancora non ha trovato la prima vittoria stagionale. Tutto è ancora aperto. Per quanto riguarda Frisco, decisamente al di sotto delle aspettative dei propri tifosi, si tratta di una squadra cui Mike Singletary ancora non è riuscito a dare un’identità chiara e nella quale molte cose, sia in attacco che in difesa, sono ancora da registrare. E dire che, secondo molti, i 49ers erano oramai maturi per diventare campioni divisionali. Per i californiani, desta più di una perplessità il QB Smith, e sono davvero tanti i punti concessi in conseguenza di turnovers (43 in cinque partite…). La strada è parecchio in salita…
I Jets volano
Della partita coi Vikings si è detto. Ma non è certo stata una sorpresa. La squadra di Rex Ryan appare lanciatissima: una difesa quasi sempre autorevole (si veda, per fare un esempio, la sfida Moss-Cromartie del Monday night in questione), concentrata e potente, un gioco di corse efficace, ed un QB, Sanchez, alla sua seconda stagione NFL, che mostra già la sicurezza del veterano (nessun turnover fino ad oggi, grande freddezza anche sotto pressione). Senza contare che, oltre al già noto Braylon Edwards, quest’anno nella Grande Mela…verde gioca un certo Santonio Holmes.
Tempi duri per le avversarie: New England prosegue nell’opera di (s)vendita delle sue stelle, e forse non basteranno il talento indiscusso di Brady e le astuzie della vecchia volpe Belichick per colmare il gap con New York. Tacendo dei derelitti Bills, che se non altro con Jacksonville hanno tenuto per due terzi di gara, resta la grande incognita Dolphins. La squadra di Sparano appare schizofrenica: dopo l’affermazione stentata coi Bills alla prima di campionato, la vittoria a Minneapolis coi Vikings sembrava suggerire che questa stagione potesse ripetere e migliorare il risultato positivo del 2008. La sconfitta coi Jets aveva dato un responso inatteso: l’attacco, ed in particolare Chad Henne, vera incognita a inizio campionato, avevano giocato una partita più che positiva, mentre la “No name defense”, in teoria la vera sicurezza per la compagine della Florida, aveva dato una pessima prova a cominciare dai suoi uomini più rappresentativi (Vontae Davis su tutti). Ma perdere con i Jets, anche se doloroso, può starci. Il disastro con New England (41 a 14, con 35 punti incassati nella seconda metà), ha incrinato più di una certezza circa la tenuta dei Dolphins nel prosieguo della stagione: a parte la prova ridicola dello special team (avete mai visto qualcosa del genere in precedenza? Bonamego, allenatore dello special team, ha levato le tende il giorno dopo…), Henne è tornato a palesare molti limiti, concludendo con 3 intercetti che hanno definitivamente affossato le (poche) speranze dei Dolphins di rimettere in piedi la partita. Il calendario è tra i più duri della lega, le incognite più delle certezze. Dalla parte di Miami, il fatto di essere una delle squadre più “tough-minded” della lega: Sparano è un duro, la squadra spesso (si veda la stagione scorsa, benché non coronata dai playoff) è riuscita col carattere a supplire la oggettive carenze di organico (per chi scrive: Henne è un buon QB, ma dubito che sia all’altezza del compito di portare la squadra ai playoff). Miami, probabilmente, è la vera mina vagante di questa division.
AFC North: corsa a due?
Tutto può ancora accadere, ma in questa Division sembra piuttosto probabile che se la giocheranno fino alla fine Ravens e Steelers. Cincinnati non è troppo lontana, e certo i Bengals avranno occasione di rifarsi, ma Pittsburgh e Baltimore sono comunque in pole position.
Baltimore ha sconfitto Denver giocando più sulle corse che sui lanci di Flacco, e questo potrebbe essere il segnale di una rinnovata varietà di soluzioni tattiche che renderebbero meno prevedibile il pur forte attacco dei Ravens. Circa il reparto difensivo, su Lewis & co. c’è poco da dire se non che sono una garanzia almeno quanto Alllen e soci lo sono per Minnesota. Pittsburgh, sorniona, ha vinto 3 delle 4 partite senza Big Ben: ora che Roethlisberger rientrerà, è molto probabile che gli Steelers daranno parecchio filo da torcere alle dirette concorrenti. Cincinnati continua a perdere partite già vinte o comunque ampiamente alla sua portata (Cleveland, Tampa Bay), e sembra un po’ troppo legata alle prestazioni altalenanti di Palmer. Cleveland giace tristemente sul fondo della division, ma qualche segnale di vita lo ha dato sia nella vittoria con i Bengals che nella sconfitta di misura con i Falcons. Certo, magari senza Delhomme (intercettato dal DE Kroy Biermann (!) sul 13 a 10 per Atlanta con 4 minuti sul cronometro da giocare…), subentrato all’infortunato Seneca Wallace.
La grande bagarre dell’AFC South e la sorpresa Kansas City
Quanto meno intricata la situazione nella AFC South, al momento senza dubbio la più equilibrata di tutta la lega. Quattro team forti e interessanti, con le sorprese Houston (parziale, visti i segnali evidenti di crescita della passata stagione) e Jacksonville che condividono la vetta con Indianapolis e Tennessee. A modesto giudizio di chi scrive, è tutto da dimostrare che Indianapolis riuscirà a replicare i fasti degli anni passati, anche se è una delle squadre con il roster più forte dell’NFL e può affidarsi al talento straordinario di Peyton Manning. I Titans, che sono andati a imporsi sul campo dei Cowboys, sembrano aver trovato una quadratura che l’anno scorso è clamorosamente mancata per tutta la prima metà della stagione (0-8 il parziale-disastro). Probabilmente anche in questa Division gli scontri diretti saranno decisivi per decidere chi accederà ai playoff.
Un’ultima riflessione sulla AFC West: pochi avrebbero pronosticato Kansas City come ultima squadra imbattuta della lega dopo 3 giornate. Difficile capire, al momento, se la squadra riuscirà a tenere sul lungo periodo. Alla distanza, in teoria (ma molti sanno che, soprattutto nell’NFL, teoria e pratica non sempre vanno d’accordo), San Diego dovrebbe riuscire a imporsi sulle dirette concorrenti. Una delle grandi deluse del 2009, la squadra californiana ha un passing game esplosivo (al primo posto assoluto per yards guadagnate per tentativo di lancio), e il talentuoso Rivers condivide con Manning il record parziale di TD passes in questa prima fase della stagione (11). Non solo: l’attacco vanta il maggior numero di giochi offensivi da 20 o + yards dell’intera NFL. Malgrado questo, i Chargers sono 2-3. Cosa succede alla squadra di Norv Turner? Fondamentalmente, come nel caso dei Cowboys, gli special teams. Disastrosi. Se i “destrieri” aggiusteranno questo reparto cruciale, considerata la solidità della difesa e la loro forza offensiva, non dovrebbero avere troppi problemi a risalire la china.
Articolo di Antonio Portanova
Foto: NFL.com