Houston, di che pasta sei veramente?

Gli Houston Texans sono una squadra ancora molto giovane, sono difatti presenti nella National Football League oramai da otto stagioni e vorrebbero presto scrollarsi di dosso l’etichetta di ultimi arrivati, che così da vicino li accompagna ovunque essi vadano. Questo perché la squadra non ha goduto degli stessi successi di Carolina e Jacksonville, capaci di fare tanta strada in postseason sin dal loro arrivo nella lega a partire dal 1996, con i Texans ritrovatisi a dover fare i conti con una dura realtà perdente nonostante un incoraggiante gara di apertura, che li vide battere i rivali territoriali di Dallas alla prima uscita ufficiale della storia.

Da allora di bistecche texane ne sono state cucinate tantissime, di novità sotto il clima assolato della Lone Star ce ne sono state poche, tuttavia significative. Il nuovo corso cominciato nel 2006 ha presto fatto scordare le stagioni con 4, massimo 5 vittorie, concluse senza mai mostrare un segno di progressione o un lume di speranza per il campionato successivo, così come è stata premiata la generosa pazienza dimostrata da dei tifosi comunque felicissimi di poter riabbracciare il football dopo l’alto tradimento di Bud Adams, che da questa città si era portato via senza troppi patemi i mai dimenticati Oilers, poi trasformati in quelli che tutti oggi conosciamo come i Tennessee Titans.

Dopo gli anni di magra, passati sotto un Dom Capers capace di raccogliere solo 18 vittorie a fronte di 46 sconfitte, un futuro migliore è stato senza dubbio rappresentato dall’arrivo al comando delle operazioni di Gary Kubiak, allievo proveniente dalla scuola di Mike Shanahan con il quale aveva lavorato a Denver, giunto appunto nel 2006 sotto i migliori auspici e capace di rispettare degnamente le attese, per quanto ancora modeste queste fossero. Quattro anni dopo il suo esordio assoluto da head coach, Kubiak (34-35 al momento dell’articolo) ha portato stabilità ed un programma vincente in seno alla squadra, che sotto di lui ha concluso per la prima volta un campionato con un bilancio in attivo, 9-7 nel 2009, che tuttavia non è bastato per raggiungere l’altro grande traguardo che ogni squadra semi-esordiente si prefigga, ovvero il raggiungimento di quella postseason che sembra essere tanto un miraggio quanto l’obbiettivo minimo del presente torneo.

Le carte parevano essere tutte in regola anche l’anno passato, e se non fosse stato per qualche sconfitta di troppo nelle gare divisionali, il vero barometro per giudicare la consistenza di una franchigia, a Houston avrebbero sicuramente raggiunto i loro scopi già diversi mesi fa. Annate come il 2007, ad esempio, erano state emblematiche dal momento che nella Afc South i Texans avevano chiuso a quota 1-5, contrastandolo ad un ottimo 7-3 ottenuto contro le altre avversarie al di fuori del loro raggruppamento, e pure in seguito la squadra aveva dimostrato di meritare qualcosa di più di un 8-8, soprattutto grazie ad un attacco profondamente rinnovato dall’arrivo di Matt Schaub nel ruolo di quarterback (4.770 yards nel 2009 per lui) e dalla presenza della mente creativa di Kyle Shanahan nella veste di offensive coordinator, posizione occupata per un biennio fino alla fine del campionato 2009. Ma restava sempre un problema, e per giunta sempre lo stesso: negli scontri con Titans, Colts, e Jaguars, la dicitura loss era sin troppo presente. Solo vincendo nella Afc South i Texans avrebbero compiuto il salto di qualità che separa le squadre buone da quelle ottime.

Ed è proprio pensando a questo concetto che viene da abbinare l’aggettivo bizzarro ad un campionato attualmente in corso che ha visto Houston eccellere contro le suddette rivali, e fare molta fatica contro le avversarie affrontate ad esempio nella Nfc, contro le quali hanno un record di 10-5 nelle ultime 15 gare disputate consecutivamente. In qualche modo le parti si sono invertite. Dapprima un roboante esordio, andato finalmente a spezzare la maledizione Colts, contro i quali i texani avevano praticamente sempre perso (ultimamente anche con calci allo scadere e folli turnovers), sotterrando Peyton Manning e compagni sotto le 231 yards dello scatenato Arian Foster, uscito dal semi-anonimato per scrivere una delle più belle storie del presente torneo. Poi molta fatica nonostante l’ottenimento di altre due vittorie, una contro Oakland e l’altra a Washington, quest’ultima frutto di una rimonta conclusasi in overtime con un calcio di Neil Rackers, ex-Bengal che in estate aveva vinto la battaglia per il posto di kicker estromettendo Kris Brown.

La fatica cui accennavamo si è tramutata nelle due sconfitte con Dallas nella riedizione del Lone Star Bowl, ma soprattutto un evidente imbarazzo dimostrato nel confronto casalingo di domenica scorsa contro i Giants, in una partita dove Houston ha sofferto tantissimo il fatto di non imporre un gioco di corse consistente, fattore invece decisivo nelle gare vinte, con la conseguenza del non riuscire a rendere credibile il miglior schema offensivo a disposizione, la playaction in bootleg con cui Schaub normalmente sbilancia le difese avversarie. Non è certo stato d’aiuto l’infortunio alla caviglia di Andre Johnson, campione che di questa franchigia è l’elemento senza dubbio più rappresentativo, problema che gli aveva già fatto saltare il confronto con i Raiders, e che non gli ha comunque impedito di effettuare un paio di ricezioni davvero spettacolari contro New York.

I Texans sono questi, molto concreti, ma di tanto in tanto difficili da intepretare. Hanno, sulla carta, un grande potenziale da sviluppare che li potrebbe tranquillamente portare ad impensierire chi ha dominato la division fino a questo momento, nonostante la difficoltà di dover affrontare Peyton Manning, Dallas Clark, Chris Johnson e Maurice Jones-Drew due volte l’anno. L’attacco è rimasto creativo nei passaggi anche dopo il testimone lasciato da Shanahan a Rick Dennison, offensive coordinator a partire proprio da questo campionato, il gioco di corse è passato dall’essere deficitario ad incredibilmente produttivo, regalando un bilanciamento tutto nuovo ad una franchigia che storicamente non ha mai saputo correre sapientemente, sia per la mancata presenza di una linea offensiva dominante (a questa è indissolubilmente legato l’infame record di sacks concessi ai tempi di David Carr), sia per lo scarso talento avuto a disposizione, fattore che nei giorni odierni sembra invece abbondare soprattutto grazie alla sorpresa Foster, capace di far quasi sparire dalla rotazione uno Steve Slaton troppo propenso al turnover.

La difesa è giovane, molto più aggressiva di un tempo, e se da un lato avrà forze fresche per lungo tempo a venire, dall’altro dovrà fare i conti con la mancanza di esperienza di parte del roster. Il reparto è oramai saldamente capeggiato da Mario Williams, che a posteriori i Texans scelsero intelligentemente prima di Vince Young a Reggie Bush, un ragazzo che sta diventando un defensive end completo in special modo a livello caratteriale, specializzato in sacks ma autentica forza contrastante anche contro le corse, un giocatore senza dubbio dominante. Il reparto linebackers può contare su uno stantuffo come DeMeco Ryans e sul ritorno di Brian Cushing, un vero e proprio animale lasciato pericolosamente in libertà, bravo sia a fermare il running back penetrando nel backfield che a portare pressione sul quarterback, come ha dimostrato la scorsa domenica provocando i due intercetti subiti da Eli Manning, ed era solo la sua prima gara dopo il rientro dalla famosa squalifica di 4 giornate per uso di sostanze bannate dalla Nfl. Resta il problema delle secondarie, che vedono uno starter come Kareem Jackson, campione collegiale uscente con Alabama e matricola dalle belle speranze, ed altri compagni quasi del tutto privi di un sufficiente numero di snap giocati, vedi Glover Quin, Sherrick McManis, e Brice McCain, che stanno tentando di fare del loro meglio negli schemi a zona che la difesa è costretta a giocare (non c’è un corner dominante, in grado di francobollare il ricevitore avversario più forte), ma che concedono ben 326 yards su passaggio a partita, peggior statistica in assoluto della Nfl.

Ad ogni modo l’esperienza arriva giocando, i giovani non possono che migliorare, ed il futuro di Houston sembra per questo molto luminoso, con il lusso del potersi permettere delle scadenze a lungo termine. E’ in arrivo un altro test molto interessante, questa settimana si gioca contro la sorpresa Chiefs ed è importante una vittoria per non tornare nel baratro del record in pareggio, impegno che sarà seguito da una meritata settimana di riposo e da un a ripresa delle operazioni frenetica, che partirà con la seconda gara annuale contro Indy e con la polpa del calendario interno alla Afc South. Allora capiremo veramente di quale pasta sono fatti questi bizzarri Houston Texans, e se siano veramente pronti a sfatare il mito della loro prima partecipazione di sempre ai playoffs.