La sicumera non porta alla vittoria
Come al solito prima di ogni commento la notizia della settimana: Brad Childress è stato licenziato e non è più il capo allenatore dei Minnesota Vikings.
Fin da quest’estate la sensazione che la stagione dei Minnesota Vikings fosse iniziata col piede sbagliato attanagliava un po’ tutti i commentatori, ma sicuramente in pochissimi avrebbero pronosticato la finalista della NFC dello scorso anno ridotta in queste misere condizioni.
La situazione è per certi versi simile a quella che ha portato alla cacciata di Phillips a Dallas, ovvero una squadra piena di talento che non rende, ma forse i motivi che hanno causato questa pochezza sono più simili a quelli che stanno causando a Denver una stagione altrettanto disastrosa.
Posto che Childress ha comunque fatto buone cose e ha portato la sua squadra al Championship, oltre a mettere insieme un gruppo di talento, esattamente l’opposto fatto da Josh McDaniels, la cosa che accomuna questi due coach è stata la presunzione di essere una sorta di messia, in grado di portare la squadra alla gloria, grazie alle proprie presunte straordinarie capacità di guida, senza peraltro doverle dimostrare.
Ecco la serie di operazione disastrose poste in atto da Childress fin dal training camp.
Dopo una serie infinita di speculazioni sul ritorno o sul ritiro, con una scena degna dei peggiori momenti di “Beautiful”, Brad Childress organizza una missione di recupero in cui il futuro Hall of Famer Steve Hutchinson, il kicker veterano Ryan Longwell e il grande defensive end Jared Allen prendono un aereo per il Mississippi per convincere l’eterno indeciso futuro Hall of Famer Brett Favre a giocare ancora per una stagione. Posto che Favre aveva comunque un altro anno di contratto e che era reduce dalla migliore stagione della sua carriera, statisticamente parlando, questa ridicola pantomima, per quanto efficace dal punto di vista mediatico, non può che aver insinuato nei giocatori la convinzione che nel roster ci sono giocatori che contano più di altri, e che possono comportarsi come vogliono al di fuori di ogni regola di squadra.
Come sappiamo, la scorsa strepitosa stagione di Favre era stata caratterizzata dall’esplosione di Sidney Rice e dalla prepotente ascesa di Percy Harvin. Durante il training camp di questa stagione era apparso chiaro che entrambi, per motivi fisici, avrebbero saltato molte partite; tuttavia, invece di prendere per le orecchie Favre e costringerlo a presentarsi agli allenamenti in modo da affinare l’intesa con Bernard Berrian e gli altri WR a sua disposizione, Childress decide di assecondare i capricci della superstar, aspettando ben oltre la prima partita di pre-season e organizzando poi la suddetta pantomima.
Così mentre da una parte il middle linebacker E.J. Henderson, lavorando durissimo, recuperava da un terrificante infortunio subito lo scorso anno (rottura del femore) e si presentava puntuale al training camp, Favre, che pure aveva subito un’operazione, ma di entità nettamente inferiore, poteva fare i suoi comodi nel suo ranch fino a inizio agosto.
Non dimentichiamo, inoltre, l’inopinata mossa di non rifirmare Chester Taylor, RB di grande versatilità e strepitoso ricevitore fuori dal backfield al terzo down.
Se a tutto questo aggiungiamo l’ennesimo infortunio all’ottimo CB Cedric Griffin, i primi segni di vecchiaia dell’altro CB Antoine Winfield e l’involuzione della talentuosa SS Tyrell Johnson, il quadro si completa.
Inutile soffermarsi troppo sulla vicenda Randy Moss, preso per un terza scelta e rilasciato meno di un mese dopo senza nemmeno avergli dato la possibilità di incidere. Ennesima prova del pressapochismo con cui è stata gestita la stagione.
Tuttavia, c’è dell’altro, a mio avviso, e quest’altro si riallaccia ancora a Brett Favre. Il messaggio lanciato inconsapevolmente da Childress con il trattamento di favore a Favre non ha fatto altro che rammollire la squadra. E’ apparso chiaro in molte partite come i Vikings scendessero in campo convinti di aver già vinto prima di giocare. Emblematica è stata l’ultima partita, quella contro i Packers che, privi del RB titolare e dell’inside linebacker titolare, hanno maramaldeggiato.
Da non sottovalutare inoltre il clamoroso sotto-impiego di Adrian Peterson. Uno dei migliori RB, se non il migliore, della Lega, relegato a 15-18 portate a partita, sempre per accontentare le manie di grandezza della superstar. Nonostante questo, Peterson ha corso per quasi 1.000 yards e 7 TD ed è forse grazie a lui che i Vikings oggi non si trovano a zero vittorie.
Infine, la sostanziale incapacità di inventare qualche nuovo schema, sia in attacco che in difesa. La sicumera di Childress si è manifestata anche in questo aspetto, la linea difensiva, devastante lo scorso anno, è stata sostanzialmente dominata in tutte le partite, al di là di qualche sprazzo di Jared Allen. Nessun nuovo blitz o formazione, nessun accorgimento per arginare i passaggi lunghi, aspetto del gioco dove i Vikings avevano denunciato problemi già lo scorso anno e che quest’anno, a causa delle defezioni, è diventato mortifero.
Insomma, nella sostanza un coach che non sviluppa la squadra che ha a disposizione perchè pensa di aver già vinto prima di giocare, trasmette questo messaggio negativo alla squadra, che si affloscia di conseguenza, e infine permette a qualche (in particolare a uno) giocatore di comportarsi a proprio piacimento, compresi litigi sulla sideline con il coaching staff.
Il bilancio di Childress in questi 5 anni non si può definire certo fallimentare, considerando anche le acquisizioni che sicuramente permetteranno al futuro allenatore di non ripartire da zero, tuttavia resta la sensazione che, con una gestione meno presuntuosa e più ferma, i Vikings avrebbero potuto fare meglio.