Vikings, cronaca di un sogno spezzato
Quando si arriva ad un centimetro da un traguardo che per anni si è sognato di ottenere con il duro lavoro, oltre alla delusione per non essere riusciti nell’intento si forma contemporaneamente il desiderio di rivalsa, quello che porta l’individuo o la squadra a trovare la forza per tirare su la testa, dimenticare quanto accaduto e rimettersi, nel caso del football, in allenamento con ancora maggiore determinazione per tornare a quello stesso punto, ed eseguire il passo finale.
Era così che l’offseason dei Vikings si era sviluppata, con l’istantanea ancora in testa dell’errore che era costato il passaggio al Super Bowl di quella che sembrava una squadra destinata ad accedervi sin dal primo momento in cui Brett Favre aveva scioccato il mondo tornando di nuovo al football giocato con la maglia di una delle più grandi rivali dei suoi vecchi tifosi.
Poteva essere la tipica storia americana a lieto fine, con il campione che torna sui suoi passi per allacciare nuovamente il casco al mento nonostante i quarant’anni abbondanti, e vince il secondo Super Bowl di carriera facendo compiere alla sua nuova squadra un salto che nemmeno il leggendario Fran Tarkenton, l’icona più riconoscibile che il Minnesota individui come quarterback in porpora, era riuscito a fare in tanti anni. Sarebbe stato materiale per Hollywood, non c’è dubbio.
L’abbinata Favre-Vikings aveva i suoi potenziali difetti sin dal principio, tuttavia mascherati da un 2009 dove l’entusiasmo era sicuramente fresco e vigoroso, le prospettive di squadra erano state sparate ad altezze siderali e tutti quanti avevano lavorato per raggiungere l’obbiettivo comune. Che cosa si è inceppato nel presente campionato, dal momento che la conformazione tattica del team non è cambiata più di tanto ed i risultati minimi sarebbero potuti, sulla carta, essere ripetuti per poi tentare di superarli? Vediamo.
Il numero 4 viene alla mente come primo della lista, così come la sua testardaggine nel voler proseguire una carriera che gli ha dato ogni riconoscimento individuale possibile, tre titoli di Mvp della lega, ed un Super Bowl vinto nel gennaio 1997 facendo parte di una delle edizioni più forti di sempre dei Packers. Se una anno fa, di questi tempi, molti si erano fatti una colossale risata pensando all’ennesima uscita dal ritiro del mai domo Brett, altrettanti avevano dovuto accettare il fatto che la decisione fosse stata esattamente azzeccata, vista la sensazione di dominio data da Minnesota durante tutta la regular season, poi confermata da quella profonda cavalcata nei playoffs dove l’accesso al Super Bowl era mancato solamente di un soffio, ed i Vikings erano comunque usciti a testa altissima dall’autentica battaglia fisica messa in scena quella sera contro i Saints.
Quanto visto nel presente torneo, invece, conferma l’esatto contrario, ovvero che Brett Favre avrebbe dovuto capire che la corsa era terminata lì, sbagliando il calibrare di quel lancio ingurgitato dalla difesa avversaria, un lancio che avrebbe voluto vedersi restituito chissà quante volte, senza possibilità di cambiare un destino che proprio in quel momento non poteva più essere cambiato.
Quella osservata fino ad oggi è stata facilmente la peggior stagione giocata da Brett in carriera, non che sia completamente colpa sua quanto accaduto perché parliamo pur sempre dello sport di squadra per eccellenza, ma si resta di stucco di fronte alle appena 2.500 yards lanciate con soli 11 passaggi da touchdown e ben 19 intercetti, un segno chiaro delle forzature tipiche del personaggio che non sono altro che andate ad accentuarsi ulteriormente, aiutate da una linea offensiva che non ha protetto alcun quarterback che abbia vestito l’uniforme porpora quest’anno in maniera vicina alla decenza. Tutti gli infortuni patiti da Favre, e coraggiosamente portati avanti dallo stesso come suo solito, sono la testimonianza sia della sua mancata protezione, e sia del suo evidente calo fisico, aspetti che certamente avranno gran peso su quel suo ritiro definitivo che oramai incombe.
Considerazioni, queste, che portano inevitabilmente a Brad Childress, la persona che ha pagato tutto questo con un licenziamento tutto sommato corretto, un licenziamento che andava deciso prima della stagione 2009 da parte di una proprietà che non aveva al tempo capito di avere a che fare con un allenatore ottimamente preparato offensivamente, ma in difficoltà nel prendere le decisioni scottanti che toccano ad un head coach, troppo propenso a rischiare quarti down alla mano senza riuscire a convertirli, e soprattutto non capace di trovare dal draft una soluzione duratura nel ruolo di quarterback per il futuro di questa squadra, azione le cui conseguenze sono state pesantemente patite nello svolgersi del deludente campionato 2010.
Childress è sostanzialmente restato al suo posto per merito di quello che Favre aveva fatto l’anno scorso per questa squadra, non certo per meriti suoi, ha lentamente perso il controllo di uno spogliatoio composto da giocatori che si additavano i motivi delle sconfitte tra loro, e non ha saputo mediare il rapporto tra quarterback ed offensive coordinator, che nelle ultime settimane avevano cominciato ad esporre anche troppo chiaramente le rispettive diversità sul gameplan di squadra. Childress ha creduto in Tarvaris Jackson quando era chiaro che non avrebbe portato Minnesota da nessuna parte, e senza l’intervento di Favre, questa scelta avrebbe portato a risultati ben più mediocri di questi, sprecando le prestazioni ottimali di una difesa molto valida, e lasciando, un giorno, la squadra impegnata a ricostruire senza una direzione precisa, e con molto del personale in fase discendente dopo aver toccato l’apice del rendimento.
Un caso altrettanto evidente della confusione regnante a Winter Park è stata la gestione di Joe Webb, preso al sesto giro del draft per farne un wide receiver da situazioni particolari ed occasionali, da mettere sotto il centro in qualche situazione di wildcat, che poi, durante il minicamp primaverile, è stato convertito nuovamente a quarterback, una posizione che non si riteneva di fargli giocare per via del sistema spread option che lo stesso aveva praticato con successo nella Conference Usa ad Alabama-Birmingham, finendo per essere eletto Mvp del raggruppamento per il 2009 con la conseguenza di essere tatticamente comunque non adeguato a guidare un attacco di tipo professionistico senza lavorare in aspetti tecnici per diversi anni.
Webb non ha assolutamente convinto contro Chicago, ma ha giocato con convinzione e determinazione nella recente vittoria contro gli Eagles, ma una sua valutazione dovrà essere estesa a molte più partite per avere un’idea migliore di quale potrà essere il suo contributo nel futuro della squadra.
Tutto questo senza considerare una decisione che si è rivelata determinante nell’economia stagionale, ovvero quella presa da Sidney Rice circa l’infortunio all’anca patito nei playoffs del 2009, una situazione gestita molto male sia dal giocatore che dall’organizzazione stessa. L’intervento chirurgico per sistemare il problema è stato annunciato solamente il 24 agosto scorso, quando è diventato chiaro che Rice non ce l’avrebbe mai fatta a giocare sopportando quel tipo di dolore, e che la cosa poteva essere sistemata solamente attraverso l’operazione.
L’intervento, se eseguito per tempo e non a ridosso dell’inizio del campionato, avrebbe restituito il miglior ricevitore dei Vikings al roster senza danneggiare il reparto offensivo, che l’ha aspettato per tutta la permanenza in PUP list (6 settimane, come da regolamento) e oltre, potendo contare su di lui quando la stagione era abbondantemente andata a sud.
Il draft 2011 andrà in due direzioni diverse, perché sono emerse lacune da ambo i lati del campo, ed il colmarle con urgenza è proprio ciò che serve a questa squadra per tornare nel giro di pochi mesi ad essere considerata da playoffs.
La già menzionata linea offensiva ha perso i pezzi per gli infortuni di Anthony Parker e soprattutto del grande Steve Hutchinson, due elementi fondamentali per il gioco di corse, ma i problemi più gravi sembrano essere ai lati, dove il left tackle Bryant McKinnie sembra essere sempre in posizione di dominare gli avversari finendo per elargire prestazioni spesso molto deludenti, mentre dall’altra parte il gigantesco Phil Loadholt cerca di imparare alla svelta i trucchi del mestiere, aspetto che gli potrebbe permettere di mettere in secondo piano la sua lentezza nell’arretrare e la tendenza a commettere penalità futili, che hanno danneggiato in diverse occasioni le possibilità di segnare per l’attacco. Il tutto senza considerare i problemi di snap del centro Jonathan Sullivan, che ha causato più di qualche fumble per questo problema tecnico.
Non troppo simpatica la situazione delle secondarie, che hanno nel solo Antoine Winfield un giocatore estremamente affidabile, che tuttavia si porta dietro già 12 stagioni di football giocato in maniera molto fisica alle spalle, e non ha un grande futuro agonistico davanti a sé.
I Vikings hanno cercato di rimediare all’infortunio grave di Cedric Griffin selezionando Chris Cook da Virginia nel draft, ma il rookie si è trovato comprensibilmente spesso in difficoltà prima di terminare in injured reserve e diventare una speranza da riutilizzare solo dall’anno venturo.
Nel ruolo di safety, Tyrrell Johnson si è rivelato molto al di sotto di ciò che si pensava all’epoca della sua scelta (secondo giro 2008), Madieu Williams ha fatto vedere numerose lacune in fase di copertura prima di fermarsi per una commozione celebrale, e Jamarca Sanford si è dovuto schierare da free safety, quando le sue attitudini sarebbero meglio adattabili al ruolo di strong, con Husain Abdullah a giocare con risultati altalenanti e confermare che il rimpiazzo per Darren Sharper non è ancora stato reperito.
In tutto questo, l’head coach ad interim Leslie Frazier (3-2 nelle cinque gare allenate) deve gestirsi per provare ad avere una possibilità di essere confermato, proprio lui che ogni anno affronta almeno un colloquio per un posto di rilievo in un’altra squadra, ma che vorrebbe far parte integrante di questo nuovo progetto che dovrebbe trovare un nuovo regista (Donovan McNabb?) mentre continua a vedere se quanto presente a roster può essere un’alternativa a lungo termine, e che si spera possa presto usufruire di un nuovo impianto rispetto al vetusto Metrodome (ora Mall Of America Field), che si è sgonfiato inesorabilmente sotto il peso della neve, facendo disputare ai Vikings due gare casalinghe in altri stadi.
Domenica, intanto, a Detroit, Brett Favre darà luogo al suo ultimo spettacolo, dopodiché dovrebbe (ci permettiamo il condizionale) appendere casco ed uniforme al chiodo lasciando che Minnesota ricominci daccapo senza perdere troppo tempo, e ritorni competitiva nel giro di breve tempo. Per un giorno ancora, le luci della ribalta saranno completamente del leggendario numero 4. Ma dopo, si ricomincia sul serio.
Mi sembra un’analisi molto precisa e condivisibile. Secondo me in aggiunta a ciò che hai detto, bisogna considerare la totale e ridicola presunzione di Brett Favre, che all’alba dei 40 anni e sapendo che Rice e Harvin sarebbero stati fuori le prime settimane, si permette di saltare tutto il training camp e le prime 2 partite di preseason per rimanere a grattarsi le balle nel suo ranch. Mi dispiace perchè Brett mi è sempre piaciuto essendo un’icona e per la sua incrollabile determinazione, tuttavia negli ultimi anni e soprattutto all’inizio di questa stagione ha palesato un’incredibile presunzione e un’immotivata fiducia in mezzi che da anni non ha più. L’anno scorso tutto ha girato per il verso giusto dato che in attacco non ci sono mai stati infortuni, ma quando le due migliori armi aeree vengono meno, faresti meglio ad alzarti dall’amaca e provare le tracce con Berrian e gli altri, visto anche che guadagni svariati milioni di dollari l’anno.
Analisi molto precisa, non mi dimenticherei di sottolineare il crollo di prestazioni della linea difensiva.
Colpisce in particolare il declino del “Williams Wall” (anche per comprensibili ragioni anagrafiche) ma soprattutto di Jared Allen che, statistiche alla mano, sembra essere solo un triste ononimo del giocatore dello scorso anno..