George Allen

In una professione dominata da stakanovisti degli schemi pieni di X e O, George Allen era lo stato dell’arte. Durante la stagione, era così concentrato sul football che non si sarebbe nemmeno accorto dello scoppio della Terza Guerra Mondiale. In ogni momento era concentrato sul Gioco, con la G maiuscola. Una visita a casa era una rarità per lui. Allen credeva che “Ogni giorno che sprechi è un giorno che non puoi mai recuperare”. Definiva il tempo libero come “quelle cinque o sei ore in cui dormi la notte”.
Vincere”, spiegò, “è la scienza dell’essere totalmente preparati”. E aggiunse: “Nessun dettaglio è troppo piccolo”. La sua attenzione maniacale ai dettagli si tramutò in vittorie.

In dodici anni da allenatore nella Lega, Allen non visse mai una stagione perdente. Il suo bilancio complessivo di 118-54-5 era il decimo miglior record nella storia della NFL al momento del ritiro. Le sue squadre parteciparono ai playoff per sette volte, e solo in due occasioni chiusero al terzo posto nella loro Division. La sua reputazione non era solo quella di vincente, ma di coach in grado di prendere in mano una squadra perdente e trasformarla. “Ogni volta che vinci, rinasci”, disse Allen. “Quando perdi, muori un po’”.
Certamente vincere era importante. Ma senza dubbio avrebbe seguito lo stesso ferreo regime se le sue squadre avessero giocato in una sorta di Lega improntata al “politically correct”, in cui nessuno avrebbe mai perso.
Però, laddove altri mentori risoluti si spegnevano, Allen prosperava. Il suo fanatico senso del dovere non era qualcosa che faceva per ottenere qualcos’altro; era fine a se stesso. “Doveva allenare per vivere”, secondo John Schulian, che scriveva dei Redskins per il Washington Post durante la gestione Allen. “Era molto semplice. Era la sua vita. Non avrebbe respirato se non avesse allenato”.

George Herbert Allen nacque il 22 Aprile 1922 a Detroit, dove il padre lavorava in uno stabilimento automobilistico.
Mostrò da subito la sua passione per lo studio e l’attività fisica, frequentando assiduamente i corsi e conseguendo ottimi risultati nel football, nel basket e nell’atletica alla Lake Shore High School. Pur essendo stato nominato All-Conference nel basket ed aver stabilito un record scolastico nel salto in lungo, il football era la sua predilezione.
Nel piccolo Alma College e poi alla Marquette University, dove fu mandato come allievo ufficiale nel programma V-12 della Marina U.S.A. per la Seconda Guerra Mondiale, Allen giocò in posizione di end. Le sue capacità erano tali che decise che allenare sarebbe stato il suo futuro.
Finì la guerra come aiutante atletico alla base navale di Farragut, per poi entrare all’Università del Michigan, dove conseguì il suo M.S. in educazione fisica nel 1947. Mentre si trovava a Lansing, fu assistente di Fritz Crisler, uno dei coach più rispettati e di maggior successo dell’epoca.
Nel 1948, Allen divenne allenatore al Morningside College, nell’Iowa. In tre anni, il suo record fu di 15-2-2. Dal 1951 al 1956, allenò al Whittier College in California, dove mise insieme un eccellente 32-22-5. All’epoca, aveva gli occhi su cose migliori. Partecipò a numerosi seminari sul football, sia per imparare che per conoscere gli allenatori di fama che li tenevano. Volle sempre essere certo che conoscessero il suo nome.
In seguito, glielo ricordò inviandogli telegrammi di congratulazioni, ogniqualvolta uno di essi conquistava un risultato importante.
Allen diceva: “La maggior parte degli uomini hanno successo perché sono determinati a farlo”.

Entrò a far parte dello staff di Sid Gillman con i Los Angeles Rams nel 1957. La sua determinazione l’aveva guidato fino alla NFL. Ma dopo una sola stagione, era già fuori. I Rams erano nel bel mezzo di una brutta disputa tra i proprietari, ed il coaching staff subì dei danni collaterali. In quello che avrebbe potuto essere il momento più buio della sua carriera, Allen fu costretto a gestire un lavaggio auto.
Fortunatamente, nel 1958 vi fu un’importante apertura da parte di George Halas, che gli offrì un posto nello staff dei Chicago Bears. I suoi contributi si accrebbero nei due anni successivi. Pur senza avere alcun ruolo specifico, Allen influenzò in larga misura il draft dei Bears, ed ebbe un peso importante nella scelta di alcuni giocatori che in seguito avrebbero condotto Chicago alla vittoria del campionato. Ciò è davvero ironico, considerato l’uso che in seguito Allen avrebbe fatto del draft.
Allen divenne responsabile della difesa nel 1962. Anche se i Bears mettevano in campo un attacco banale, Allen schierò una difesa a zona che portò la squadra alla finalissima NFL del 1963. Doug Atkins, Stan Jones e Bill George gettarono le basi della loro futura introduzione nella Pro Football Hall of Fame. Le altre stelle erano i DL Ed O’Bradovich e Fred Williams, i LBs Joe Fortunato e Larry Morris, oltre ai DBs Richie Petitbon, Bennie McRae, Dave Whitsell e Roosevelt Taylor.
Dopo la vittoria finale di Chicago per 14-10 sui New York Giants, la squadra consegnò ad Allen il game ball.

Allen fu uno dei prospetti più seguiti della Lega, come futuro HC, per diversi anni.
Nel 1966, i Los Angeles Rams, con il patron Dan Reeves saldamente al comando, offrirono ad Allen un contratto, che questi accettò. George Halas andò su tutte le furie. Dopo aver rilevato che il coach era ancora sotto contratto con Chicago, Papa Bear gli fece causa e vinse. Poi, avendo dimostrato la sacralità di un contratto NFL, Halas rilasciò Allen, consentendogli di approdare ai Rams.
Gli Arieti avevano chiuso con un pessimo 4-10 la stagione 1965. Allen cominciò ad apportare dei cambiamenti, che condussero la squadra al positivo record di 8-6 al termine del suo primo campionato sulla nuova panchina.

Il suo modo di fare divenne da subito evidente. Anzitutto, valutava i veterani più dei rookie. Negli anni successivi, Allen mostrò di apprezzare l’esperienza sul campo addirittura più del gelato con il quale veniva spesso fotografato. Convinse un navigato ex Ram come Jack Pardee a tornare in campo dopo essersi ritirato, portò veterani del calibro di Bill George, Maxie Baughan, Myron Pottios, Roger Brown, Rechie Petitbon, e Irv Cross, miscelandoli con la Fearsome Foursome composta da Deacon Jones, Lamar Lundy, Merlin Olsen e Rosey Grier.
Al contempo, le scelte al draft erano qualcosa da cedere per avere in cambio altri veterani. Un rookie in grado di far parte della squadra veniva considerato alla stregua di un portatore di una malattia contagiosa.
Quando veniva accusato di ipotecare il futuro della sua squadra non sviluppando i giovani, Allen rispondeva con la frase a lui più sovente associata: “Il futuro è adesso”.

La tecnica di Allen per le frasi di incitamento era leggendaria. Per un esterno, poteva sembrare il maestro dell’aforisma, ma i suoi giocatori l’accettavano – forse perché sapevano che lo stesso Allen credeva in ciò che diceva.
Nella sua seconda stagione con i Rams, la squadra chiuse sull’11-1-2, ma venne sconfitta per 28-7 dai Packers di Vince Lombardi nella finale di Conference giocata a Milwaukee.
Ciò nonostante, Allen fu nominato NFL Coach of the Year dall’Associated Press, dalla United Press International e dalla rivista The Sporting News.
Allen fu anche uno dei primi allenatori a mettere l’accento sugli special team. Ciò faceva parte della sua straordinaria attenzione ai dettagli. Qualcosa che sembrava andare agli estremi. Una volta ingaggiò un punter mancino per un allenamento prima di un incontro con una squadra che schierava un kicker anch’esso mancino. In un’altra occasione, tenne un allenamento alla stessa ora in cui il sole si sarebbe trovato in un imminente incontro. Allen credeva che una tale maniacale concentrazione sulle minuzie avrebbe potuto fare la differenza tra la vittoria e la sconfitta.

Ciò che invece mancava in una squadra allenata da Allen era un attacco esplosivo. Il reparto, guidato da Roman Gabriel ed improntato al controllo del pallone, puntava a ridurre al minimo gli errori.
L’attacco solitamente segnava quanto bastava per vincere, ma raramente spingeva i tifosi a gioire ed a brindare. Furono tanto quell’attacco così poco spettacolare quanto gli scambi di scelte al draft a spingere Dan Reeves ad una mossa scioccante per tutti, ovvero il siluramento di Allen dopo il campionato del 1968.
I Rams avevano appena chiuso un’ottima stagione col record di 10-3-1, riuscendo tra l’altro a superare una serie incredibile di infortuni. Reeves spiegò che “vincere con Allen non era divertente”.
Il licenziamento di Allen quasi provocò una sollevazione tra i giocatori dei Rams che, come un sol uomo, si ersero a difesa del loro allenatore. Alla fine, Reeves indisse una conferenza stampa per presentare il nuovo HC degli Arieti: George Allen.
La sospensione della pena fu temporanea. La squadra chiuse con un bilancio complessivo di 20-7-1 nelle successive due stagioni, e vinse un altro titolo divisionale nel 1968, ma un secondo posto nel 1970 fu fatale per Allen.
In cinque anni, aveva posto in essere qualcosa come 51 trade, che comprendevano la maggior parte delle scelte ai primi giri dei Rams. Inoltre, il monte ingaggi per la sua collezione di veterani era costantemente in ascesa. E l’attacco era davvero soporifero.

I Washington Redskins, che avevano vissuto solo quattro stagioni vincenti dal 1945, erano più che desiderosi di annoiarsi per qualche vittoria. Così, ingaggiarono Allen come allenatore e GM.
Ereditò una squadra che aveva chiuso con un record di 6-8-0. In una sarabanda di trade, portò nella Capitale Billy Kilmer, Roy Jefferson, Boyd Dowler, Ron McDole, Clifton McNeil, Verlon Biggs, Diron Talbert, Jack Pardee, Myron Pottios, John Wilber, Richie Petitbon e Speedy Duncan.
La stampa ribattezzò quella pattuglia di giocatori come “The Over-the-Hill Gang”, richiamandosi ad un film di grande successo, ma i veterani commisero ben pochi errori. Quando l’attacco si impantanava a causa degli infortuni, la difesa era in grado di far vincere la squadra. Il record di 9-4-1 rappresentò il maggior numero di vittorie di Washington in 29 anni. Nonostante la consueta rapida uscita di scena nei playoff, Allen venne nominato sia NFL che NFC Coach of the Year.

L’anno successivo fu addirittura migliore. Gli ‘Skins sconfissero Dallas, vincendo il loro primo titolo divisionale dalla Seconda Guerra Mondiale. Larry Brown fu il miglior runner della NFC e Kilmer, pur non essendo mai particolarmente elegante, fu un passatore efficace. Ma, com’era sempre accaduto con le squadre di Allen, la difesa imbottita di veterani fu la vera forza. Washington iniziò la postseason con una vittoria – la prima di Allen nei playoff – a spese di Green Bay, piegata per 16-3. Poi sconfisse i Cowboys per 26-3 conquistando il titolo di Conference. La fermata successiva era il Los Angeles Memorial Coliseum, ove si sarebbe giocato il Super Bowl VII.
Sfortunatamente, il destino tirò davvero un brutto scherzo agli ‘Skins. Gli avversari, i Miami Dolphins, erano imbattuti, ineguagliati e insensibili al trambusto del Super Bowl, essendoci già stati l’anno precedente. La difesa di Allen concesse ai Dolphins solo 14 punti e segnò addirittura un TD, con il fumble di Garo Yepremian riportato in meta da Mike Bass dopo una corsa da 49 yards.
L’attacco di Allen non diede alcun contributo, e Miami finì con l’imporsi per 14-7.

Dal 1973 al 1977, le sue squadre ebbero record positivi, e parteciparono ai playoff per tre volte, ma qualcuno storse il naso per il prezzo. Il suo roster pieno di veterani costava molto più di quelli di altre squadre, ed Allen veniva continuamente criticato per la sua tendenza a sacrificare il futuro dei Redskins cedendo scelte al draft. In tutti i suoi anni a Washington, gli ‘Skins ebbero una sola scelta prima del quinto giro.
Il coach che diceva “Il futuro è adesso” difese la sua strategia: “Un giocatore d’azzardo è un coach che usa una prima scelta per un lineman od un ricevitore da Illinois Normal non testato e senza esperienza. Un conservatore è un uomo che cede le sue prime scelte per dei veterani di comprovata esperienza…. A mio avviso, nel football le probabilità sono contro i giocatori d’azzardo, gli innovatori ed i battistrada. Chiamatemi pure conservatore”.
Il Presidente dei Redskins Edward Bennett Williams scherzò dicendo: “Suo padre gli diede un bambolotto di sei settimane quando aveva quattro anni, e lui lo scambiò per due gatti di dodici”.
Ma mentre sempre più numerosi erano i veterani di Allen che cedevano all’avanzare dell’età e si ritiravano, altri ammisero che gli slogan stavano perdendo il loro fascino. Un veterano chiese: “Per quante settimane di fila puoi giocare la partita più importante della tua vita?”.

Dopo la stagione 1977, Allen lasciò i Redskins. Carroll Rosenbloom, che era succeduto a Dan Reeves nel ruolo di Presidente dei Rams, convinse Allen a tornare a L.A. Il tanto atteso rientro durò solo due partite di preseason. Quattro giocatori si misero in holdout per motivi salariali, e la squadra era in tumulto. Rosenblum licenziò Allen.
Quest’ultimo rimase fuori dal football per cinque anni, quasi come se una tigre fosse diventata vegetariana. Nel 1983, divenne HC dei Chicago Blitz della USFL, portandoli ad un eccellente 12-6-0. L’anno successivo, i Blitz e gli Arizona Wranglers vennero scambiati. I Wranglers di Allen giunsero fino alla finale del campionato, perdendola contro i Philadelphia Stars. Quando si dimise, sembrò che la sua carriera fosse giunta al capolinea.

Anche se non aveva vinto tutto, era sempre in corsa. Pur non avendo al dito alcun anello del Super Bowl, solo Vince Lombardi, tra gli allenatori nella Pro Football Hall of Fame, aveva una percentuale di vittorie superiore alla sua.

Aveva dato al suo sport sufficienti frasi di incitamento da passare attraverso intere stagioni di porte di spogliatoio. Ma, soprattutto, aveva convinto i suoi giocatori di essere migliori di quanto avessero mai pensato.
Deacon Jones disse di lui: “E’ stato il più grande allenatore per il quale io abbia mai giocato. Credeva nella disciplina e nella preparazione fisica. Ci si dedicava totalmente. Era capace di lavorare 24 ore al giorno a quel proiettore, riuscendo a trovare qualcosa da usare contro chiunque”. Ma Jones rese merito ad Allen per molto di più. Giocava con i Rams da sei anni quando Allen arrivò a Los Angeles, ed era dolorosamente conscio dei problemi razziali degli anni ‘60. “Non mi piacevano i bianchi”, disse. “Sapevo cos’erano la segregazione e l’emarginazione. Poi incontrai Coach Allen. Mi portò ad un livello diverso, nell’unico campo in cui potessi emergere, e tutte le cose per le quali ero turbato nella mia vita cambiarono allo stesso modo”.
Allen aveva detto: “Ognuno di noi è stato messo su questa terra con la capacità di fare bene qualcosa. Inganniamo noi stessi ed il mondo intero se non utilizziamo quella capacità al meglio”.
L’uomo che doveva per forza allenare ritornò sulla sideline nel 1990 a Long Beach State.
Etty Allen, sua moglie, disse in seguito: “Mi accorsi che quando andammo a Long Beach State l’avevo finalmente capito. Ciò che conta non è il livello della competizione: è la competizione stessa”.
Fu la sua ultima stagione. Allen morì l’ultimo giorno dell’anno. La maggior parte dei tifosi apprese della sua scomparsa guardando in televisione le partite di Capodanno.
Il che, in qualche modo, parve appropriato.

Fonte: http://www.profootballresearchers.org/Coffin_Corner/24-05-950.pdf

Autore: Bob Carroll

Pubblicato su “The Coffin Corner

Il sopra riportato testo costituisce una traduzione dell’elaborato originale, i cui diritti di proprietà intellettuale ed economica spettano al relativo Autore.