Week 3 “Technical Review”: Pittsburgh 23 – Indianapolis 20
Il gioco degli Steelers, lo sappiamo, è facilmente riconoscibile anche all’occhio più profano: gran gioco di corsa in attacco ad alleggerire il pass game e a controllare l’orologio e quindi la partita, pressione sulla tasca avversaria in difesa regolata dai due esterni di DL e scandita da gran sortite in blitz, arresto quasi automatico del gioco downfield avversario etc.
Insomma, che si vinca o che si perda, da almeno un decennio tutti sanno cosa fare, come farlo e dove farlo.
Ebbene, a prescindere dai risultati, in 180 minuti di football abbiamo finora visto tutto e il contrario di tutto, e se c’è nel panorama NFL una franchigia la cui lineare regolarità del gioco è facilmente constatabile quella è proprio la nostra. Per tagliar corto, abbiamo alle spalle ormai tre giornate di regular season e ancora nessuno ha capito chi sono davvero gli Steelers ’11.
Dopo l’eclatante “default” di Baltimore si è cercata la vera, atavica, identità di Pittsburgh contro Seattle all’Heinz Field, e se in quest’ultima occasione abbiamo scorto parte dei tratti reali del volto B&G, questi sono tornati a celarsi in modo preoccupante lo scorso lunedì mattina.
La Win segnata sulla schedule Steelers alla voce “Week 3” ha in se il retrogusto acido di un dolce andato a male. Eppure la preparazione pareva sulle prime corretta. Contro gli Indianapolis Colts orfani del grande Payton Manning, al Lucas Oil Stadium i Black&Gold cominciano legando correttamente gli ingredienti giusti.
“Big Ben” Roethlisberger conduce con mestiere un opening drive che dalle 20 yards Pit porta il suo Kicker, Shaun Suisham, a piazzare il calcio da 3 punti in poco più di 2 minuti di gioco, e sul finire del primo quarto (minuto 4:22) manovra il suo caccia torpediniere, Mike “Fattore 17” Wallace, a sganciare sulla Endzone dipinta di blu dopo 81 yards di navigazione autopilotata in slant motion. La difesa controlla bene contenendo per tutto l’arco dei primi 15 minuti l’attacco guidato dal veteranissimo Kerry Collins non oltre la metà campo. Che dire, “un inizio niente male…se l’antipasto è questo sai il dolce…” pensai.
Peccato che i Colts avevano altri programmi per la serata.
Jim Caldwell ha studiato e preparato la gara ragionando sul rapporto di disequilibrio sussistente tra la debole e inesperta Offensive Line Steelers e la sua robusta ed esperta Defensive Line. Per far questo si è dovuto anzitutto preoccupare di arrestare il run game di Mendenhall e Redman costringendo Pittsburgh a lasciare il suo QB nella tasca quanto più tempo possibile.
Argomentando più tecnicamente.
– Le mosse tattiche difensive Indy e le mancate risposte offensive Steelers –
Si può bene osservare già dalle primissime battute della gara come i due DT Colts si settino specificamente per raggiungere l’obbiettivo su descritto, ossia fermare il gioco downfield Steelers: il RDT #99, Antonio Johnson, stringe verso l’interno sinistro posizionandosi a 1-Technique, prendendo quindi in consegna il Gap A, e lasciando il devastante Dwight Freeney largo in 5-Tech come di consuetudine (nota: in alcuni momenti della partita si vede addirittura Johnson lavorare come una vero Nose Tackle a 0-Tech); il LDT #68, Eric Foster, scivola ancora verso sinistra settandosi in 4-Technique a coprire dunque direttamente sul RT Gilbert; ancora, il LDE Robert Mathis scala a 9-Tech prendendo l’estremo bordo destro di Pit sulla spalla esterna del TE Miller.
Tale schieramento si vede bene anche negli Highlights della partita: pausare a o:o3 e a 0:23 secondi
http://www.youtube.com/watch?v=4KOHmLppjpE
Ora, è ben nota la propensione dell’HB Rashard “Bazooka” Mendehall a portare l’ovale correndo verso destra (sinistra difensiva Indy) anche per sfruttare al meglio la combinazione micidiale del Trap-block di Maurckice “The Quicksand” Pouncey aggiunto alla stupefacente Pull dell’Asfaltatrice Chris Kemoeatu (e senza parlare dell’appoggio fantastico che fino a scorso anno sapevano fornire in questo senso Flozell “The Hotel” Adams e Ramon “Amon” Foster, rispettivamente starter RT e RG). Caldwell questo lo sa bene, e vista anche la scarsa vena della nostra “piccola” starter RG, Doug “The Dog” Legursky (non certo un run blocker d’élite) e della modestissima esperienza del rookie RT Marcus Gilbert, decide di blindare perfettamente il suo lato sinistro nella maniera su descritta. Il risultato: Mendenhall, 18 tentativi di portata per le sole, misere, desolanti 37 rush-yards totali.
Allo squallore di questi numeri contribuiscono altri fattori semplicissimi da osservare: l’assenza di un run blocker nel backfield a trainare gli HB in molti (troppi) giochi di corsa; la moria di chiamate di formazione a favore della ormai “classica” Bunch Formation con 2 TE che, con la sua poliedricità e la sua versatilità, camuffa e insieme sostiene il gioco downfield (forse che ancora non ci si fidi ciecamente dell’undrafted rookie Saunders?); la partita fenomenale dello small MLB Pat Angerer, che chiude la sua prova con un luccicante 11-9.
Metti tutto insieme ed è chiaro che alla fine ti trovi davanti una dannata partita che sulla carta si doveva stravincere a mani basse.
Questa a mio giudizio è stata la chiave tattica che ha permesso ai Colts di forzare Pittsburgh, privata ormai del suo “mimetismo”, a giocare per aria. Costringere Roethlisberger a sostare per lunghissimi tratti dentro una tasca mollissima al fine di inseguire il pass play ha dato poi i suoi frutti. Mathis e Freeney martellano l’edge B&G che Thor in confronto pare uno scolaretto, e i nostri Tackle rischiano infarti multipli. Alla fine, tra l’ennesima penalità chiamata a Johantan Scott (se ho letto bene la grafica proposta durante la diretta, sono 10 su 11 partite filate tra holding e false start; leader assoluto per la specialità), e gli infortuni dello stesso LT (distorsione alla caviglia), della RG Legursky (dislocazione della spalla sinistra) e del RT Gilbert (rientrato non nelle migliori condizioni in campo dopo aver riassorbito un fastidio alla spalla), la Linea Offensiva B&G concede 3 sacks, 2 fumble (uno forzato da Freeney e riportato in TD dal DE Jamaal Anderson) e 1 intercetto (messo a segno dal DB Joe Lefeged). L’OC Pit, Bruce Arians, diciamocelo, ci mette del suo in molti offensive pass play B&G poiché decide di non sostenere il suo QB posizionando un uomo nel backfield che possa rattoppare gli strappi sulla LOS e fare da scudo al regista (o dare lui una variante rapida in screen).
Detto questo però, l’attacco Steelers ha saputo comunque fare due conti e tirare il minimo comune multiplo del suo gioco, se è vero che le stats finali indicano un total net yards di 408, un Big Ben con 25/37 per 364 yards e 1 TD, un Wallace ancora strepitosamente decisivo con 5 ricezione per 144 yards e TD, Brown con 4 ricezioni sfruttate per 77 yards, e ancora Miller con le sue 5 preziosissime ricezioni per un guadagno di 71 yards complessive.
– Le mosse tattiche offensive Indy e le mancate risposte difensive Steelers –
Se l’attacco ha avuto problemi seri per tutta la gara, la difesa certo non se l’è passata tanto meglio.
A parte l’incredibile prova di Troy “Hurricane” Polamalu (ho finito gli aggettivi per il nostro #43), ancora una volta tutti i nostri uomini (o quasi) hanno vissuto l’ennesimo stato di drammatico assopimento difronte ad un attacco che, dopo aver perso Payton Manning prima e Kerry Collins dopo (contusione alla testa, out alla fine del 3° quarto), si ritrova con un “certo” Curtis Painter in cabina di regia. Quindi, che Indianapolis chiedesse al gioco via terra di provare a mantenere la squadra dentro la partita appariva cosa lampante, eppure Joseph Addai in 17 tentativi di portata è comunque riuscito a sgommare in faccia alla sperduta difesa B&G la bellezza di 86 yards rifiniti da un TD siglato in prossimità dei due minuti finali. Insomma, il mondo ancora alla rovescia.
Anche in questo caso c’è una spiegazione tattica che giustifica l’incredibile risultato.
Questa mi pare si possa ricercare nella nefasta scelta di turnare il nostro NT, “Big Snack” Casey Hampton (che ormai manca di fiato per essere produttivo non oltre i 4/5 play consecutivi), con un Nickelback (nella fattispecie Keneean Lewis) piuttosto che con un altro uomo da trincea. Credo che questa scelta sia stata pesata da una bilancia esclusivamente tecnica, nel senso che evidentemente nè Chris Hoke nè Steve McLendon, i due backup Nose Tackle, offrivano importanti garanzie in fatto di tenuta fisica (eppure il solo McLendon ha in settimana evaso gli allenamenti per un qualche incognito problema fisico). Con Brett “Kaiser” Keisel KO per un infortunio al ginocchio, e con gli scompensi portati da un Aaron Smith ancora irriconoscibile, la tenuta della D-line Pittsburgh ha parecchio patito la fase di rotazione.
La difesa ha quindi assunto per larghi tratti la forma di un 6-front con Smith interno in LDT, Evander “AK-47” Hood in NG, e con Woodley ed Harrison che per forza di cose hanno dovuto fare gli END quasi puri.
Ora, è già tanto se il nostro amatissimo #91 riesce ancora a stare con entrambi i piedi in campo dopo tutto quello che ha passato scorsa season, ma se lo costringi a giocare per quasi tutti i 60 minuti di gara in 3-Technique UT, non puoi aspettarti una saldatura interna a tenuta stagna. Non è neppure immaginabile.
In aggiunta a quanto detto, è necessario sottolineare come anche il nostro capitano di difesa, James “The Jaws” Farrior, comincia a mettere in evidenza qualche cedimento in quanto a resistenza, e Larry Foote, che sta comunque mostrando da backup ILB il meglio di se sopratutto in fase di inside blitz, non ha vision e forza per essere un run stopper linebacker degno di questo nome.
A prescindere da questi elementi puramente tecnici (o forse proprio perchè determinati da questi), Lebeau ha chiamato Polamalu a replicare la straordinaria partita fatta scorsa season contro i Titans sempre guidati da Collins. Il #43 B&G si è visto spesso allineato sulla LOS a tentare la sortita dentro il backfield avversario o a supportare i compagni contro il running game di Addai. La partita del Defensive Player of the Year 2010 è apparsa brillante anche per questo motivo, ma ha senza dubbio alimentato e aggravato i problemi strutturali su descritti.
Il risultato alla fine è stato benevolo ma, come recita il sottotitolo del pezzo, ha un sapore amarissimo.
Tra due giorni entriamo nel Dome degli Houston Texans per giocarci Week 4, e sono sicuro che saranno dolori.
Replicare una partita come quella condotta al Lucas Oil Stadium di Indianapolis vorrebbe dire essere a 2-2 domenica sera, e gli Steelers non possono permetterselo.