L’ULTIMO DEI NEURONI (BLU)

Sono uno di quelli che vede sempre il bicchiere mezzo vuoto. A me l’espressione “l’importante è portare la vittoria a casa” non ha mai soddisfatto granché perché prima o poi i nodi vengono al pettine e allora della gioia temporanea non saprai cosa fartene. Che ci posso fare: vincere facendo schifo non mi esalta, e capisco pure l’amarezza di chi perde contro chi fa schifo, anche se per poco più di mezza partita ha fatto schifo pure lui.

A dire il vero in settimana c’era stato un segnale importante che chi, come me, è abituato a leggere nelle interiora degli animali nella speranza di scoprire segni premonitori, aveva trovato definitivo: “Dallas è un flop: Mediaset cancella il remake della serie TV già dopo la prima puntata.” È stato in quel momento che ho cominciato a sperarci perché il destino è destino e non lo si può ignorare. Le icone, serie TV Dallas o America’s Team che siano, sono fatte per cadere.

Ma resta la cicatrice di una prova sul campo che non saprei come definire (cioè sì, ma non sono in fascia protetta), e anche se alla fine vincere in casa dell’America’s Team lascia sempre un bel retrogusto in bocca (mica è colpa mia se fin da piccolo non mi piacevano i film coi Cauboi), ripensare alla partita mi regala un bel mal di pancia anche a tre giorni di distanza.

1) Per quanto io mi sforzi non ricordo una partita per la quale non riesco indicare un giocatore dell’attacco che si sia distinto. Ancora oggi penso che la squadra abbia fatto qualcosa di miracoloso, sì, perché arrivare quasi a fine partita senza che il tuo attacco sia di fatto sceso in campo non saprei in quale altro modo definirlo. Eli svanito e svagato, con palloni che assomigliavano a cani alla disperata ricerca di un albero su cui farla, e di conseguenza con ricevitori che facevano la parte di alberi, però capaci di muoversi schivando i cani. Running game tornato ai fasti passati, cioè quando il sedere degli uomini di linea era il bersaglio preferito, così grande e morbido. Quarantacinque minuti tra un drive con qualche punto messo in cassa e un altro sono ingiustificabili. Un TD segnato in tutta la partita è squallido, ridicolo, da oratorio. E senza contare il numero di yds guadagnate, persino una squadra di hobbit avrebbe fatto meglio.

Direte: “Sì, ma la difesa di Dallas…”. Quale? Quella martirizzata dai Seahawks? O quella capace di far guadagnare 328 yds (contro le nostre 290) ai Panthers (con due TD in carniere) soltanto la domenica precedente (e con Sean Lee in campo)?

Se hai i mezzi per fare di più, devi fare di più. Se ti trovi non so più quante volte nella Red Zone e più che collezionare FG non riesci (malgrado quelli con le maglie bianche in campo) principalmente la colpa è tua. E lasciamo stare l’ultimo drive nel quale, con la tattica degna del miglior ragioniere da quattro soldi, abbiamo palesemente giocato per l’ennesimo FG, confidando alla speraindio che la difesa mettesse in campo un ulteriore miracolo.

2) Ah, già, la difesa. Che i numeri non ingannino. Qualcuno guardando gli intercetti e i sack potrebbe pensare a chissà quale prestazione, e invece abbiamo ballato peggio del Triangolo delle Bermuda in una di quelle giornate. Dietro siamo sempre a pregare per il colpo di vento, per il drop, che si stacchi un tacchetto al WR o, in alternativa, fargli “buh!” nella speranza che si emozioni, unica strategia possibile. Amukamara e Webster nel primo tempo hanno goduto di un Romo in versione “dolcetto o scherzetto?”, ma nel secondo tutti i cioccolatini distribuiti con generosità si sono trasformati in sassate che facevano male e, alla fine, concedere agli avversari tre giocatori abbondantemente sopra le cento yds non te lo puoi permettere. E sì, Witten è un fenomeno, ma molti fenomeni vengono marcati tutte le domeniche, e se sappiamo che sette palloni su dieci Romo li destinerà a lui, possiamo e dobbiamo fare di più perché allora quando incontreremo Gonzalez che gli raccontiamo? Sono sempre stato convinto che dietro ogni grande giocata c’è un errore più o meno grande.

E per fortuna che in giro c’erano le safeties a tappare i buchi.

3) Ci sono pochi dubbi, questa settimana la statua in Times Square spetta a Stevie Brown, e non solo per i cinque intercetti in cinque partite, ma per la solidità che il ragazzo sta dimostrando tanto che, quando rientrerà Phillips, ho una mezza idea di telefonare a Coughlin e chiedergli se è tanto balzana la possibilità di giocare con tre safeties.

4) Lo so, la foto dell’articolo la meriterebbe proprio Brown, ma non ho resistito nel vedere quanto Canty giochi profondamente felice ogni volta che rivede i suoi ex compagni.

5) Dio, oltre che salvare la Regina, ci conservi anche Tynes. A me avere un kicker in testa a tutte le classifiche non piace perché, mi sembra ovvio, vuol solo dire che segniamo pochi TD. Ma anche con i FG si vincono le partite, e allora se proprio qualcuno deve metterla dentro, meglio lui che gli avversari.

6) Le partite tra l’America’s Team e i Giants sono piene di casi al limite delle comiche. Quindi possiamo mettere in archivio, dopo il colpo di tacco di Witten che qualche anno fa fu tramutato in intercetto, il sedere non meglio precisato di un texano che ha tenuto in aria il pallone di Eli giusto il tempo per produrre l’intercetto di Sensabaugh (e se proprio vogliamo parlare di sederi c’è anche quello di Cook che ha causato il fumble di Felix Jones). Quando si dice che il culo fa la differenza… Di solito è lo slogan preferito dai frustrati.

7) Ma devo trovare qualcosa di positivo, so di potercela fare. E l’unica cosa che mi viene in mente è l’atteggiamento mentale, la capacità che ha questa squadra di ricompattarsi quando serve, trovare le motivazioni per tener duro malgrado il bombardamento altrui e, dopo venti e passa minuti di sbandamento, sfoggiare una difesa in grado di bloccare quasi ogni azione messa in campo. I giocatori non si disuniscono e se portiamo a casa partite come questa, spero di soffrire meno quando anche l’attacco giocherà, prima o poi.

8) C’è un mistero che sfugge alle statistiche dei maestri americani, una situazione che spesso si verifica ma che non è possibile quantificare, né analizzare. Quell’enigma che va sotto l’espressione “cambio d’inerzia”. Per qualche congiuntura astrale che neanche Giacobbo in piedi su una piramide saprebbe spiegare, all’improvviso a una squadra va tutto storto e l’altra, che sembrava un pulcino bagnato in mezzo a un branco di lupi, gonfia il petto e capovolge le sorti di una partita. E domenica sera siamo stati fortunati perché il doppio cambio d’inerzia è ben più difficile da vedere, ma per nostra fortuna si è manifestato negli ultimi dieci minuti.

9) Dallas Cowboys. Li guardo in ogni reparto e penso “Be’, a loro non manca nulla”. Poi li guardo giocare e resto un po’ così, come se assaggiassi un tiramisù senza mascarpone e cioccolato. Rileggo il roster e non me lo spiego. Se trovassero per strada un po’ di Madama Costanza sarebbero una corazzata tutti gli anni, e invece… Però, al di là delle statistiche, delle recriminazioni, delle finestre che JJ apre e chiude a seconda di come si alzi la mattina nel suo ranch fatto di trivelle e muggiti, credo sia emblematico e impietoso un paragone possibile proprio grazie alla partita di domenica.

Secondo tempo: i Cowboys completano la rimonta sorpassando i Giants nel punteggio grazie a un 24 a 0 che taglierebbe le gambe a chiunque si sia trovato nella condizione di essere in vantaggio per 23 a 0. Sulla nostra sideline non vola una mosca.

Primo tempo: i Giants si portano sul 23 a 0. La regia inquadra impietosa la sideline dell’America’s Team dove parecchi giocatori litigano o discutono animatamente fra loro (impagabile il siparietto di Bryant che protesta all’indirizzo di Romo per qualcosa e quest’ultimo che, di suo, non se lo fila manco di striscio).

Credo sia un fatto di mentalità, disciplina e rispetto dei ruoli, e sono cose che solo un coaching staff può dare.

10) Avremmo le mani piene di anelli se potessimo giocare sedici partite l’anno tutte nel JerryJonesGuardaquantegrossoStadium di Arlington. Ma per i romantici come me la prima volta non si scorda mai quindi, eccezionalmente, vi lascio senza pistolotto finale ma con la foto che qualche bontempone di New York fece tre anni fa negli spogliatoi, dove un vandalo aveva lasciato un graffito…